WHIRLPOOL – Lotta dura, accordo al ribasso

Governo, sindacati e azienda si uniscono in un coro entusiasta: l’accordo firmato il 2 luglio salvaguarda, a loro dire, i posti di lavoro, cancella la minaccia dei 2.060 esuberi e scongiura la chiusura degli stabilimenti di Carinaro (Caserta) e None (Torino). Ma i proclami di vittoria di Fiom-Fim-Uilm vanno come minimo ridimensionati. Certo, il panorama è diverso da quello di cinque mesi fa, e questo grazie alla mobilitazione messa in campo dai lavoratori, in particolare dai blocchi dello stabilimento di Caserta. Ma le ombre sono numerose.

Renzi, che aveva definito “fantastica” l’acquisizione di Indesit da parte di Whirlpool, ha dovuto spendersi per rimediare alla figuraccia. L’attivismo del governo si traduce in valanghe di ammortizzatori sociali (soldi nostri) che permettono all’azienda di prendere tempo e riorganizzarsi. Per quanto riguarda Carinaro, epicentro della lotta, il quadro è il seguente: degli 815 lavoratori oggi in forza, solo 320 verranno reimpiegati in un polo logistica e ricambi per l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa): niente produzione, quindi, ma solo magazzino, ossia una attività a basso investimento di facile ridislocazione. Per gli altri ci saranno incentivi all’esodo (quindi posti di lavoro che comunque si perdono) o il trasferimento a Napoli o a Varese. Ancora più vago l’impegno alla reindustrializzazione di Teverola, subordinata alla ricerca di un partner per attività non meglio definite.

Il sito di None finisce esternalizzato a un consorzio di imprese piemontesi del settore logistico, la Mole scpa, anche qui con incentivi all’esodo o al trasferimento. È una clausola che ne prevista utralizza gli effetti del Jobs act per i lavoratori che passano alla nuova azienda. Nelle Marche, lo stabilimento di Melano concentrerà la produzione di piani di cottura, assorbendo gli addetti di Albacina che chiude. Si accentreranno poi le attività degli uffici in due centri direzionali, uno nell’area di Fabriano, l’altro a Comerio o in altra sede da definirsi tra Varese e Milano. In sintesi l’azienda “compra” la pace sociale, in larga misura con soldi dei lavoratori, con garanzie limitate e l’impegno a non produrre esuberi non si estende oltre il 2018. Nulla si dice, infine delle condizioni di lavoro una volta che il piano vada a regime, considerato che si programma di incrementare la produzione con un numero di addetti ridotto di circa 500 unità attraverso le dimissioni incentivate. La lotta messa in campo dai lavoratori meritava e poteva strappare risultati ben più consistenti, e la responsabilità è innanzitutto dei dirigenti sindacali che non hanno mai seriamente messo in campo una strategia complessiva di lotta per tutto il gruppo, limitandosi a incanalare l’esplosione di rabbia dopo l’annuncio della chiusura di Carinaro e dei 2.060 esuberi. Ora si terranno i referendum negli stabilimenti e sappiamo bene che in assenza di una chiara alternativa non è facile chiedere ai lavoratori di respingere l’accordo. Ma i frutti della lotta non devono andare dispersi, non ci si può cullare sulle promesse dell’azienda e dei dirigenti sindacali.

La lotta dei lavoratori Whirlpool ha impedito una disfatta, ma soprattutto ha dimostrato una volta di più la totale insufficienza dei metodi di lotta e della gestione dei dirigenti sindacali, che continuano a usare i “normali” strumenti della contrattazione sindacale in una fase di crisi nella quale i padroni non si fermano davanti a nulla. Sta a tutti noi partire dalle assemblee in programma e dal no all’accordo e farne la base per riorganizzare i settori più combattivi su una prospettiva diversa.

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