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Vince Biden, la crisi di sistema continua

“Bisogna imparare a distinguere sotto tutte le maschere gli sfruttatori, gli schiavisti e i ladri.”
(Lev Trotskij)

Le elezioni presidenziali negli Usa hanno alla fine dichiarato un vincitore: Joe Biden, il candidato del Partito democratico. Le elezioni che hanno visto la più grande affluenza da 120 anni a questa parte sono state un referendum su Donald Trump. Quest’ultimo ha mobilitato la sua base come mai prima d’ora, ma le masse che si sono recate alle urne per cacciarlo dalla Casa bianca sono state di più. Hanno votato contro Trump nonostante Biden.

Le elezioni si sono tenute nel bel mezzo della peggiore crisi economica degli ultimi 100 anni e di una pandemia che solo negli Usa ha fatto 250mila morti. Non c’è dubbio che coloro che sono stati più colpiti abbiano voluto dare un segnale con il loro voto. Secondo le prime indagini, al di sotto dei 50mila di reddito il 58% ha votato per Biden, al di sopra dei 100mila il 54% ha votato per Trump.

Che sia stato un voto sulla figura del presidente, lo confermano i risultati delle altre competizioni elettorali. I democratici non riescono a riconquistare il controllo del senato, e perdono seggi alla camera. Joe Biden si appresta ad essere “un’anatra zoppa”, un presidente le cui azioni saranno costantemente messe in discussione dal Congresso.

Ma tant’è, pensano molti a sinistra anche in Italia, “L’importante è avere cacciato Trump!”, tanto la sua figura provoca (a ragione) disgusto e repulsione.

Purtroppo, con Biden non arriverà alla Casa bianca alcun cambiamento. Arriva l’uomo dell’establishment, che cercherà di riportare l’ordine, la stabilità e il controllo totale del grande capitale sulla politica e sull’economia.

Quando Biden parla di “guarire una nazione divisa” vuole significare che vuole farla finita con le mobilitazioni e le rivolte (la “rabbia”) che da marzo in poi hanno portato in piazza il 10% degli americani (oltre 30 milioni di persone). Quando parla di “unità” intende la sottomissione delle classi oppresse alla classe dominante.

Una campagna da 14 miliardi

In una campagna elettorale dove sono stati spesi oltre 14 miliardi di dollari, i democratici hanno speso il doppio dei repubblicani. Big Pharma ha versato 5,9 milioni a Biden contro 1,5 per Trump. Dati simili per il settore della finanza. Il grande capitale ha favorito Biden, non Trump.

Il neopresidente è contro la sanità pubblica: durante i due mandati di Obama, si è opposto ad ogni riforma, anche timida, in tal senso. È contro la regolarizzazione degli immigrati illegali: “Se fossi eletto non cambierebbe nulla”, ha spiegato in un dibattito elettorale. Vuole aumentare i fondi alla Polizia, respingendo le rivendicazioni dei movimenti di massa. In politica estera sarà ancora più aggressivo non solo contro la Cina, ma anche la Russia e in Medio Oriente, riprendendo la linea di Hillary Clinton.

Le vaghe dichiarazioni progressiste di Biden e della sua vice, la “superpoliziotta” Harris si dimostreranno aria fritta: la recessione impone politiche di austerità e impopolari. La sinistra del partito che tante illusioni ha seminato su Biden e il “male minore” dovrà fare da foglia di fico e ne pagherà il prezzo.

Biden vuole un paese pacificato, ma non lo avrà.

Il voto del 3 novembre ci consegna una polarizzazione vista poche volte nella storia degli Usa. Trump, pure sconfitto, ottiene oltre 70 milioni di voti. Non ha alcuna intenzione di concedere la vittoria a Biden, grida alla frode e al furto delle elezioni e minaccia ricorsi alla magistratura. Dispone di una base reazionaria attiva disposto a seguirlo, che si è già mobilitata aggressivamente contro i movimenti antirazzisti nei mesi scorsi.

Dall’altra, sono proprio i movimenti di massa di questi mesi che faranno pochi sconti ai democratici. La luna di miele di Biden sarà probabilmente breve. Come spiegano i nostri compagni negli Usa: “La classe operaia non aveva un candidato a queste elezioni. George Floyd e Breonna Taylor non avevano un candidato.” Nonostante l’affluenza record, decine di milioni di persone si sono astenute, per non parlare di altrettante che sono prive dei diritti civili in un sistema elettorale profondamente antidemocratico.

Nonostante l’offerta politica ufficiale si limiti a due partiti a servizio del capitale, la società americana si sta spostando inesorabilmente a sinistra. Il 59% di chi ha fra i 18 e i 39 anni dichiara nei sondaggi che preferirebbe vivere in una società socialista. Queste giovani generazioni, protagoniste delle mobilitazioni antirazziste e contro le violenze della polizia, non torneranno semplicemente a casa.

L’esperienza di una nuova amministrazione democratica in una società così divisa e in crisi, imporrà la ricerca di un’alternativa, che passa per la costruzione di un partito dei lavoratori con un programma rivoluzionario.

 

 

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