Unione Europea – Turchia: l’accordo della vergogna
Il 19 marzo è stato firmato l’accordo sui rifugiati tra Turchia ed Unione Europea che, nelle speranze della borghesia europea, dovrebbe avere l’effetto di ridurre l’afflusso dei migranti, appaltando di fatti la gestione dei rifugiati e richiedenti asilo all’autoritario stato turco.
L’accordo prevede la deportazione forzata in Turchia dei migranti entrati in Grecia all’indomani della firma dell’accordo. In cambio, la Turchia ottiene la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che a partire dal primo giugno potranno circolare liberamente in Europa, 6 miliardi di euro di aiuti economici e la riapertura del processo di adesione della Turchia all’Unione Europea.
L’accordo prevede inoltre l’apertura di improbabili canali umanitari secondo il principio per cui per ogni profugo siriano che viene rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano verrà trasferito dalla Turchia all’Unione europea, fino ad una massimo di 72.000 persone, un numero davvero ridicolo. Tuttavia, è molto improbabile che ciò avvenga se consideriamo l’origine questo accordo e cioè la totale indisponibilità dei governi europei, in primis quelli dell’Europa orientale, ad accogliere richiedenti asilo sul proprio territorio. Indisponibilità che ha già fatto miseramente fallire il piano di ricollocamento dei richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia (solo 953 richiedenti asilo sono stati effettivamente accolti da altri paesi) e che inevitabilmente decreterà l’insuccesso di questa parte dell’accordo.
Inoltre, nei mesi passati molti paesi hanno reintrodotto i controlli alle frontiere nel tentativo di respingere i profughi, mettendo in soffitta il trattato di Schengen e la libera circolazione nelle frontiere interne dell’Europa.
Un carcere a cielo aperto
Ora per salvare Schengen, migliaia di profughi saranno deportati verso la Turchia, un paese ipocritamente definito “sicuro”, ma nel quale i diritti umani sono sistematicamente violati e dove i rifugiati sono sistemati in campi caratterizzati dalla miseria più assoluta. Secondo Amnesty International, le condizioni in questi campi sono spaventose, senza acqua pulita né servizi igienici e in essi avvengono persino dei rapimenti a scopo di riscatto. Inoltre sempre Amnesty International ha denunciato che proprio nelle giornate immediatamente successive alla firma dell’accordo, le autorità turche hanno radunato ed espulso quasi ogni giorno verso la Siria centinaia di siriani. Come esempio più generale del modo in cui lo Stato turco si preoccupa dei diritti umani non possiamo d’altra parte dimenticare il trattamento riservato alla minoranza curda. Solo tra agosto e marzo, 450 civili sono stati assassinati ed altri 350.000 sono stati sfollati nel corso delle operazioni di coprifuoco (in realtà dovremmo dire di pulizia etnica) decise dal governo di Erdogan. Infine, l’ambiguità con cui il regime di Erdogan ha intrattenuto rapporti politici e militari con le milizie dell’Isis e di Al Nusra in Siria, sperando di poterle utilizzare per aumentare la propria sfera d’influenza in Medio Oriente, ha finito per destabilizzare la stessa Turchia, esponendo sempre più il paese agli attentati terroristici.
Ma questo progetto così sprezzante delle sofferenze dei profughi potrà davvero funzionare? è possibile fermare chi scappa da Aleppo, Kobane, Mosul, Kabul o pensare che chi è alla ricerca di un futuro di dignitàe sicurezza possa accettare di vivere in campi di concentramento a cielo aperto, in un paese sempre più autoritario, dove guerra civile e terrorismo rischiano di diventare, anche lì, una realtàdella vita quotidiana?
Innanzitutto, l’accordo con la Turchia prevede che d’ora in avanti i nuovi arrivati saranno ammassati in “hotspot” sulle isole, in attesa che la loro domanda d’asilo sia esaminata. Nella realtà, tuttavia, le isole greche non sono in grado di smaltire le pratiche dei richiedenti asilo in tempi accettabili. Gli “hotspot” diventeranno delle prigioni e le condizioni di vita diventeranno intollerabili scatenando proteste anche violente.
Ma più probabilmente, invece che continuare a seguire la rotta che li porta verso le isole greche, i profughi proveranno altre rotte, anche più pericolose. Anzichè distruggere il traffico di persone, questo accordo lo renderà invece ancora più redditizio. Significativo il fatto che dopo la firma dell’accordo, gli arrivi sulle coste delle isole si siano ridotti dagli inizi 2.000 al giorno registrati prima del 20 marzo, ai 600 al giorno rilevati nei giorni successivi. Questi numeri sono pero’ lontani dal mostrare che l’accordo stia già funzionando quale nuovo deterrente per il flusso dei migranti. In realtà nuove rotte sono state aperte dai trafficanti: quella che attraverso il mar Nero porta alla Bulgaria, quella che dall’Albania conduce all’Italia, ma soprattutto potrebbe potenziarsi la rotta che dalla Libia porta a Lampedusa. Tutto questo lascia presagire che l’Italia, dopo la Grecia, possa diventare il prossimo gigantesco “hotspot”.
La fine di Schengen
In un contesto di questo genere, le recenti tensioni che per esempio abbiamo visto al confine con l’Austria, con la chiusura del valico del Brennero, potrebbero ulteriormente esasperarsi arrivando a lacerare l’Unione Europea ancora una volta. Come effetto di questa continua torsione tra tentativi di espulsione dei profughi verso le frontiere esterne, conseguenti fallimenti e chiusura delle frontiere interne, il trattato di Schengen e l’Unione Europea come l’abbiamo conosciuta negli ultimi vent’anni potrebbero andare letteralmente in frantumi.
La cosiddetta “crisi dei rifugiati” è un problema solo da un punto di vista capitalista. Di certo, in un momento storico in cui il capitalismo europeo attraversa una profonda crisi e in cui i governi applicano dure misure di austerità perchè a pagare siano i lavoratori, è utopico pensare che i capitalisti trovino un modo per garantire un’esistenza dignitosa a centinaia di migliaia di esseri umani in fuga dalle barbarie. Al contrario, i governi europei sono disposti a spendere miliardi di euro per erigere muri, pattugliare i mari ed appaltare le proprie frontiere a regimi autoritari.
L’ampio movimento europeo di solidarietà con i rifugiati deve andare oltre il pur importante obiettivo degli aiuti e trasformarsi in un movimento politico che affronti il problema alla radice, opponendosi a qualsiasi guerra imperialista e rivendicando il fatto che nella società ci sono risorse sufficienti per organizzare gli aiuti necessari ai rifugiati e che queste si trovano nei conti concorrenti delle grandi multinazionali e delle banche.
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