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Ungheria – La lotta di classe fa tremare Orban

L’Ungheria è attraversata da un’ondata di proteste e manifestazioni. Il Primo ministro Viktor Orban, forte di una maggioranza di oltre due terzi di cui gode la coalizione di governo guidata dal suo partito, Fidesz, ha fatto approvare in Parlamento una legge che rappresenta un gigantesco regalo alle aziende, soprattutto alle multinazionali che dominano l’economia ungherese. Ecco la vera faccia del sovranismo, uno specchietto per le allodole che cerca di deviare l’attenzione delle masse dai veri problemi, mentre in realtà è a completo servizio del capitale, nazionale e internazionale.

La “riforma” modifica il codice del lavoro ed è stata subito soprannominata “legge schiavitù”. Aumenta le ore di straordinario che i datori di lavoro possono chiedere ai dipendenti (portandole da 250 a 400 l’anno, pari a 8 ore la settimana); triplica portando da uno a tre anni i tempi massimi di pagamento degli straordinari e, infine, prevede che gli accordi sullo straordinario possano essere conclusi direttamente tra dipendenti e aziende, senza alcun ruolo da parte dei sindacati.

Non è la prima controriforma rispetto alle leggi sul lavoro introdotta dal governo ungherese che nei mesi precedenti aveva già limitato il diritto di sciopero.

Assieme alla “legge schiavitù” il parlamento ha approvato una legge che limita l’indipendenza della magistratura, introducendo un sistema parallelo di tribunali amministrativi alle dirette dipendenze del ministro della Giustizia. Un altro passo verso la limitazione delle libertà democratiche, uno dei capisaldi della politica di Orban, in questi anni dominus quasi incontrastato del paese.

L’eccesso di fiducia nella propria forza, tuttavia,  gli ha fatto compiere un passo falso: la legge schiavitù è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. I salari ungheresi con infatti tra i più bassi d’Europa, occupano il 33esimo posto tra i 35 paesi Ocse. Secondo quest’ultima, nel 2017 i lavoratori ungheresi erano pagati il 5% di meno degli slovacchi e il 10% in meno dei polacchi. Il tutto mentre 600mila ungheresi negli ultimi 10 anni sono emigrati in Occidente, in cerca di miglior fortuna.

Le proteste sono iniziate già l’8 dicembre, son continuate durante la seduta del parlamento dove si sarebbe approvata la legge, e sono culminate in un corteo di 15mila persone per la strade di Budapest la scorsa domenica, 16 dicembre che hanno sfidato temperature sotto zero.

Gli slogan erano eloquenti: “aumenta i salari, non l’orario di lavoro”, “Orban traditore”.

Anche in altre città ungheresi, da Szeged a Debrecen e a Gyor, migliaia di lavoratori e studenti sono scesi in piazza domenica.

Il governo ha usato il pugno duro contro i manifestanti. Le forze dell’ordine hanno picchiato due parlamentari che erano entrati nell’edificio della televisione di Stato per protestare contro il black-out informativo; tv e giornali controllati da Fidesz ripetono che le proteste sono coordinate da agenti sul libro paga di Soros.

Ma la propaganda pare avere ben pochi risultati. Secondo un sondaggio riportato da Al Jazeera, il 63% degli elettori di Fidesz è contro la legge schiavitù, come lo è la quasi totalità (il 95%) degli elettori dell’opposizione.

L’offensiva di Orban ha avuto l’effetto di ricompattare la classe lavoratrice su linee di classe. Il problema che deve affrontare il movimento ora è quello della direzione.

Il Partito socialista ungherese (MSZP) è il più grande partito di opposizione e il principale partito della cosiddetta “sinistra”. Ma quando è stato al governo si è comportato come qualsiasi partito borghese, portando avanti l’austerità e privatizzazioni. Agli occhi dei lavoratori ordinari, il partito è diventato completamente screditato, soprattutto dopo il suo disastroso governo del 2006-2010.

MSZP e gli altri partiti di opposizione, in accordo con la direzione dei sindacati, incentrano tutti loro sforzi sulla speranza che il presidente della repubblica non controfirmi la legge approvata dal Parlamento.

Nella piattaforma delle opposizioni non mancano anche gli appelli a un intervento dell’Europa. Appelli vani: non abbiamo dubbi sulla scelta dei Commissari dell’Ue, tra i lavoratori in protesta e una legge che favorisce i colossi dell’auto tedesca.

Se questi appelli alle istituzioni falliranno, i vertici sindacali si dicono pronti a convocare uno sciopero generale, con blocchi stradali, a gennaio.

Il momento per fermare Orban è ora! Ogni esitazione o ritardo non farà altro che aiutare il governo a recuperare il consenso perduto, facendo leva sul disorientamento dei manifestanti.

La classe operaia ungherese ha una grande tradizione rivoluzionaria, che sta riscoprendo in questi giorni. Solo basandosi sulla lotta di classe e per mezzo di un programma anticapitalista si potrà rovesciare il governo Orban e sviluppare una reale alternativa a beneficio della maggioranza della società.

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