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Trasferimenti a Cassino, per i lavoratori Fca non c’è mai pace

Non c’è pace per i lavoratori Fiat dello stabilimento G.B.Vico di Pomigliano d’Arco. Turni massacranti, contratti di solidarietà, sabati lavorativi ed ora una nuova tegola in testa.

Fca in autunno ha annunciato l’esigenza di trasferire temporaneamente 550 lavoratori dello stabilimento di Pomigliano a quello di Cassino per esigenze produttive.

Detto fatto! A ridosso delle festività natalizie con un accordo sottoscritto con Fim, Uilm, Fismic e AqcfL (Associazione dei quadri Fiat, ndr), senza consultare i lavoratori, la richiesta è diventata operativa. I trasferimenti partiranno da fine febbraio, inizio marzo.

La richiesta nasce dall’esigenza di Fca di garantire l’avvio del nuovo Suv Stelvio aumentando di circa 1.200 unità la forza lavoro dello stabilimento ciociaro, 650 assunzioni e 550 lavoratori da Pomigliano. Se poi le quote di mercato della Stelvio prospettate dall’Fca dovessero essere confermate l’organico potrebbe essere implementato di altri 600 lavoratori. A oggi tutto ciò è solo un’ipotesi, ma è evidente che se se fosse necessario integrare l’organico e ci fosse la richiesta di farlo con altri operai di Pomigliano questo aumenterebbe il rischio di ridimensionamento dello stabilimento di G:B:Vico.

L’accordo prevede: un impiego temporaneo fino ad agosto 2018, ai lavoratori trasferiti verrà garantito il servizio navetta e 550 euro di bonus tassati, in base alle nuove normative, al 10%.

La Fiom a dicembre decise giustamente di non sottoscrivere l’accordo in quanto mancava la clausola di volontarietà, ovvero la libera scelta dei lavoratori di poter decidere se accettare o no il trasferimento.

Seguono giorni concitati in cui in fabbrica si susseguono voci discordanti sull’accordo. I sindacati firmatari e azienda tendono ad incensare l’accordo, che a loro dire, porterà ad una diminuzione delle ore di solidarietà per chi resta e garantirà ai 550 trasferiti uno stipendio pieno oltre il bonus.

La Fiom sottolinea gli elementi negativi dell’accordo, si arriva dunque ad assemblee indette da chi ha sottoscritto l’intesa, in cui l’ambiente è alquanto pesante.

Nel dibattito emergono subito alcune criticità. Il bonus ha innanzitutto un limite massimo economico, stabilito legalmente a 4mila euro annui, a tassazione agevolata. La tassazione agevolata però è utilizzata anche per altre voci, come il premio che Fiat eroga annualmente. Questo causerà la fine della tassazione agevolata già entro i primi mesi dell’anno, dunque non si garantirà più l’intera somma pattuita per tutto il periodo di permanenza. Ma è soprattutto il sacrificio richiesto a pesare. Al di là che l’azienda metta a disposizione la navetta resta comunque il forte disagio di chi dovrà svegliarsi o rientrare a casa un’ora prima dallo stabilimento di Cassino. Non è un aspetto da poco per chi lavora su turni che iniziano alle 6.00 o finiscono alle 22.00. E nell’arco del turno deve lavorare a ritmi estenuanti e pause ridotte all’osso.

A questo si aggiunge che per lo stabilimento di Pomigliano a oggi non ci sono assolutamente prospettive certe. Il rischio è che al termine del periodo di lavoro a Cassino questi operai potrebbero trovarsi senza ammortizzatori sociali (la solidarietà guarda caso scadrà nell’agosto del 2018), e nei fatti diventare esuberi. Per questo la situazione in fabbrica risulta sempre più pesante e indigeribile, tanti lavoratori si sono indignati per il modo in cui si firmano accordi del genere senza nemmeno consultarli.

A gennaio la Fiom convoca le assemblee per decidere il da farsi sull’accordo già operativo in azienda. Nonostante venga ribadito che l’accordo non è condivisible si chiede il mandato a sottoscriverlo per poter così partecipare a pieno titolo al tavolo delle trattative sul piano industriale per Pomigliano previsto per fine marzo.

Una scelta giustificata, a detta della dirigenza Fiom, dal fatto che tra i lavoratori manca la spinta necessaria ad opporsi all’accordo. Fatto seppur vero, che non giustifica un avallo politico ad una simile deportazione, specie se accostata alla mancanza di un piano produttivo futuro.

I lavoratori, nonostante una evidente contrarietà all’accordo, votano a favore della sua sottoscrizione, sulla base della fiducia riposta nella Fiom in mancanza di una valida alternativa.

Nei giorni successivi si scatenano critiche furiose alla Fiom dovute al modo ondivago con cui è stata gestita la vicenda. Da un lato ci sono i sindacati firmatari che fanno comunicati ironici che invitano la Fiom a questo punto a firmare anche il CCSL (contratto aziendale) e rinnegare le battaglie portate avanti un questi anni.

Dall’altro lato invece Slai cobas e SI Cobas che invitano i lavoratori a cause legali contro le scelte aziendali e promuovono, con scarsi risultati, iniziative fuori dallo stabilimento per innescare la mobilitazione.

Insomma nel bailamme tra scontri di sigle sindacali i lavoratori a Pomigliano continuano ad essere oggetto di sfruttamento alla mercé delle Fiat.

La Fiom ha sbagliato a sottoscrivere l’accordo. L’azienda non sta andando tanto per il sottile coi lavoratori da trasferire, la disponibilità spesso è strappata a colpi di pressioni indebite. Ha sbagliato perché la battaglia contro questo accordo era giusta e compresa da tutti i lavoratori, iscritti o meno ai sindacati, e perché dopo tanti anni di repressione e isolamento l’obbiettivo di ricostruire un rapporto con i lavoratori sta riuscendo. Il miglioramento, seppur minimo, del tesseramento negli ultimi 6 mesi, lo testimonia, come lo testimonia il fatto che le ultime assemblee sono state molto partecipate.

In un contesto difficile nel quale interveniamo lo sforzo dei delegati può essere reso vano se tra i lavoratori passa l’idea che oggi l’obbiettivo principale della Fiom è rientrare nelle grazie dell’azienda, quell’azienda che sistematicamente, quotidianamente, calpesta la dignità degli operai.

È molto difficile ricostruire un radicamento, soprattutto dopo un attacco così feroce come quello di Fiat alla Fiom in questi anni, il più duro dagli anni cinquanta, firmare un accordo come questo può far perdere la stima ed il consenso che con tanta fatica ci si è riguadagnati in tanti anni di duro lavoro.

Il clima in Fca sta cambiando, più lentamente di quanto vorremmo ma sta cambiando. Giustificare la firma dell’accordo col fatto che i lavoratori non sono sufficientemente disponibili a scioperare per contrastarlo non è un argomento, anzi, detto sinceramente sembra più un alibi.

Ad oggi, il punto vero resta come e se si vuole contrastare la Fiat, costruendo le condizioni per avere i rapporti di forza adeguati per poter domani organizzare la mobilitazione necessaria capace di portare risultati concreti ai lavoratori.

Ma per far questo bisogna in primo luogo avere una strategia e questa oggi non c’è, e firmare accordi come quello sui trasferimenti non aiuta la Fiom a continuare a rappresentare quella alternativa che ai lavoratori serve più di ogni altra cosa e che le ha permesso di vincere le elezioni degli Rls su scala nazionale nel gruppo Fiat un anno fa.

Le ultime assemblee organizzate dalla Fiom che si sono tenute il 20 febbraio hanno ribadito che tra i lavoratori c’è una rabbia come non si vedeva da anni. Le difficoltà nel mobilitare dopo le gigantesche pressioni psicologiche, esercitate da azienda e sindacati firmatari, non potranno perdurare ancora per molto. Specie se le contraddizioni, come la mancanza di una missione produttiva, in uno stabilimento medaglia d’oro nelle classifiche WCM restano. Il rischio che lo stabilimento di Pomigliano possa diventare un satellite dell’impianto di Cassino non è del tutto campata in aria.

I delegati e gli iscritti Fiom a Pomigliano in questi anni hanno profuso enormi sacrifici, venendo esclusi dal ciclo produttivo, patendo l’isolamento e gli stenti di una lunga cassa integrazione. Tutto questo sacrificio non può essere ripagato con il solo rientro al tavolo delle trattative, che partirà a fine marzo, ma attraverso il raggiungimento dell’obbiettivo principale, riportare in fabbrica lavoro, dignità e diritti, senza ulteriori cedimenti.

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