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Tra gli sconfitti anche un antifascismo di cartapesta

L’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato con i voti decisivi di parlamentari dell’opposizione dimostra tutta la validità di questo articolo scritto a inizio ottobre.

Non c’è niente da fare. Quando ci si mettono di mezzo i capi del PD, le cose serie diventano infallibilmente una farsa.

L’antifascismo è una cosa seria e non è solo argomento da libri di storia, ma una volta impugnato dalle impavide mani di Letta e compagni si trasforma in una barzelletta.

Era partito l’ex sindaco di Bologna Merola: “Abbiamo il fascismo alle porte”, dichiarava nei giorni della caduta di Draghi, offrendo il petto in difesa di Letta: “Le cose sono molto chiare: o con il Partito democratico e i suoi alleati o con la Meloni e i suoi alleati. È una scelta di campo molto chiara (…) Non voglio rivedere i fascisti tornare al governo”.

La stampa progressista si è allineata, con Repubblica in prima fila a sfornare inchieste sui candidati impresentabili delle liste di destra, sulla formazione politica e sentimentale della Meloni nelle file della destra sociale, e via di seguito.

Tutto vero, intendiamoci: dalla coalizione di destra e in particolare da Fratelli d’Italia arriva un ben distinguibile profumo di cloaca. Per essere precisi, arriva il solito odore di demagogia bigotta e patriottica a confezionare le più brutali politiche filopadronali.

Il punto però è che questa denuncia, in bocca al PD, non solo non è efficace, ma diventa un vero e proprio boomerang.

Ad ogni legislatura il centro-sinistra si sdraia a tappetino davanti a Confindustria, si prosterna davanti alla NATO, fa il chierichetto per il Vaticano, sforna leggi antioperaie sulla precarietà, la scuola, le pensioni, l’immigrazione; poi per due mesi di campagna elettorale si sveglia al canto di “Bella Ciao” e cerca di convincerci che nelle urne si sceglierà tra Almirante e Berlinguer, tra fascismo e democrazia, tra la Luce e l’Oscurità.

Niente di nuovo: nel 1994 quando Berlusconi vinse, alleato alla Lega e all’allora Movimento Sociale, per un mese il quotidiano il Manifesto uscì con la prima pagina a lutto e il titolo “Allarmi son fascisti”… Dieci mesi dopo un movimento di scioperi gigantesco scavava la fossa al governo di destra. A dimostrazione che i piagnistei non servono, ma la lotta di classe sì.

Nel 2019 il cattivo di turno era diventato Salvini, in procinto di chiedere “i pieni poteri”. E giù lacrime sugli imminenti funerali della democrazia. Eravamo in pochi a sostenere che Salvini era uno sceriffo di cartone, cosa che si è poi rapidamente dimostrata, ridimensionando il “capitano” a caporale.

Oggi è il turno di Giorgia Meloni. E giù altre lacrime sul “governo più a destra della storia repubblicana”, su gli italiani che dimenticano, sul medioevo alle porte.

E quale sarebbe secondo questi signori “progressisti” la difesa contro il fascismo alle porte? Arruolarsi nella guerra, ubbidire all’UE, subire in silenzio sanzioni, inflazione e crisi, in nome della “democrazia”.

È ben meritata quindi la sconfitta anche di queste posizioni. E il vero antifascismo vivrà non nelle ipocrite lamentele dei salotti illuminati, ma come parte integrante delle lotte che si preparano per difendere i salari, il lavoro, i diritti della classe lavoratrice e dei giovani.

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