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Torna la lotta di classe in Europa

L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

 

Dichiarata ad intervalli regolari morta e sepolta dai pennivendoli della stampa borghese, la lotta di classe in Europa è in una fase di ascesa.

Le lotte per aumenti salariali in Gran Bretagna e la mobilitazione dei lavoratori francesi contro l’innalzamento dell’età pensionabile sono stati, sinora, i punti più alti raggiunti da questa ondata. Ma è necessario richiamare anche il possente sciopero generale dell’8 marzo in Grecia, scatenato dalla tragedia ferroviaria di Tempi causata dalla privatizzazione, e quello dei trasporti in Germania, il più consistente dal 1992; nella stessa Germania, alcuni mesi fa i postini hanno conquistato aumenti salariali dell’11,5%. Su scala inferiore, crescono mobilitazioni ancora parziali in Finlandia (commercio e porti), Spagna (sanità), Portogallo e Lettonia, dove gli insegnanti condurranno il primo sciopero nazionale di categoria dopo la restaurazione del capitalismo negli anni ‘90.

Il processo, connesso alla crisi organica del capitalismo, è generale e profondo. Ritmi di lavoro massacranti, salari tagliati dall’inflazione, precarietà ed una crescita colossale delle diseguaglianze ne sono il carburante. Oltre ai marxisti, lo comprendono anche i settori più attenti della classe dominante. Commentando lo sciopero dei trasporti in Germania Hagen Lesch, membro dell’Istituto per la ricerca economica di Colonia, ha affermato che “la cultura dello sciopero alla francese” sta diventando un modello per i lavoratori tedeschi, aggiungendo che esiste il “pericolo” che lotte economiche assumano un carattere politico.

Al di là di ovvie differenze radicate nelle specifiche traiettorie nazionali, nessun paese sfuggirà a questo processo, neanche l’Italia, poiché la stessa dinamica socio-economica opera a livello continentale. Ed il governo Meloni continua a gettare benzina sul fuoco. Una riforma fiscale che scarica la crisi sui redditi medio-bassi, lo smantellamento del reddito di cittadinanza e la continuazione delle politiche di tagli nei servizi sociali e nella sanità alimentano il vento della rivolta sociale. Prima o poi, anche in Italia lavoratori e giovani troveranno il modo per superare l’inerzia degli apparati sindacali e delle loro mobilitazioni poco più che mimate, centrate su manifestazioni al sabato prive di qualunque efficacia.

Davanti a questa ondata, l’apparato statale ed il padronato stanno inasprendo la loro azione sul terreno politico, poliziesco e giudiziario. In Francia, Macron ha usato l’articolo 49.3 della Costituzione per approvare la riforma delle pensioni senza voto parlamentare, poi ha provato a precettare i lavoratori delle raffinerie e della nettezza urbana in sciopero ad oltranza, ha inviato la Celere dove i lavoratori continuavano a resistere e, infine, ha promulgato in fretta e furia la legge nella notte successiva al pronunciamento sulla costituzionalità del provvedimento. Stessa musica in Gran Bretagna, dove la stampa non lesina sforzi per dipingere come “avidi” e “gretti” gli infermieri e i medici in sciopero, o in Finlandia dove il governo utilizza i poteri di arbitrato assegnati allo Stato per rimandare di due settimane lo sciopero dei lavoratori del commercio in nome della tutela del cosiddetto ordine pubblico.

Nonostante tutto questo, la fiducia ed il coraggio dei lavoratori sono in crescita. Ed anche gli scioperi selvaggi e non autorizzati, come è stato il caso il 9 febbraio per i lavoratori del commercio finlandesi. Alla raffineria della Total in Normandia, la più grande di Francia, gli operai hanno resistito alla precettazione e con un’azione di massa sono riusciti, per alcuni giorni, a riconquistare il picchetto che era stato “occupato” dai celerini. Nel corso di queste azioni, inoltre, settori della classe lavoratrice stanno misurando direttamente una verità elementare: senza i lavoratori la società non va avanti. Così, dopo alcuni giorni di sciopero dei netturbini, le strade di Parigi erano invase da più di 10mila tonnellate di rifiuti, mentre il blocco delle raffinerie ha costretto gli aeroporti francesi a chiedere alle compagnie aeree di fare il possibile per evitare di rifornirsi di kerosene negli scali parigini.

Infine, in ogni conflitto scoppiato negli ultimi mesi, la gran parte della popolazione sostiene i lavoratori in sciopero, infischiandosene delle calunnie diffuse dai mezzi di comunicazione controllati dal padronato. In altre parole, in un paese dopo l’altro si stanno riunendo le condizioni per un’offensiva sindacale e politica della classe lavoratrice. In questo quadro, la questione della direzione del movimento è cruciale. La ripresa del conflitto, in effetti, in sé non risolve ma anzi indica con asprezza ancora maggiore il compito, per i marxisti, di contendere l’egemonia degli apparati riformisti, politici e sindacali, sulla classe lavoratrice.

 

Il riformismo non paga

I dirigenti sindacali riformisti sono spaventati dalla ripresa del conflitto, ma la montante pressione dal basso li sta costringendo, per non perdere la loro posizione, a convocare un numero crescente di scioperi. Non per questo la loro strategia diventa adeguata ai compiti che la situazione impone. In Francia, nessun segretario nazionale, compresa la nuova leader della CGT Sophie Binet, s’è mai anche soltanto presentato davanti ad un picchetto di lavoratori in sciopero a oltranza o ha proferito parola contro l’uso di precettazione e polizia contro gli operai. In Gran Bretagna, dove abbiamo visto parecchie lotte di categoria molto combattive, i vertici dei vari sindacati non stanno nemmeno prendendo in considerazione l’idea di unificare tutte queste mobilitazioni di settore in un unico sciopero generale, che potrebbe avere un impatto gigantesco nella società britannica.

La prima pagina del nuovo numero di Rivoluzione

Consapevolmente o meno, questi dirigenti non si considerano come combattenti che devono rappresentare fino in fondo gli interessi della classe operaia, ma piuttosto come “negoziatori” o mediatori tra lavoratori e padroni, con l’obiettivo di raggiungere la pace sociale tramite il “dialogo” tra le parti. Questo spiega come mai, dopo una mobilitazione riuscitissima, i dirigenti dei sindacati tedeschi dei trasporti cerchino già di preparare un compromesso con la controparte.

L’allargamento e il coordinamento delle lotte in corso non trovano spazio nelle strategie sindacali. Ciò ha prodotto già numerosi accordi al ribasso, dalla sanità in Gran Bretagna ai portuali in Finlandia, e ne prefigura altri, se i lavoratori non riusciranno a scavalcare l’inerzia burocratica dei gruppi dirigenti.

Né la situazione migliora se guardiamo ai capi dei partiti riformisti. La socialdemocratica tedesca Karin Welge, presidentessa dell’associazione dei Comuni incaricata di negoziare coi sindacati dei dipendenti comunali, ha sprezzantemente definito “del tutto eccessivo” il recente “mega-sciopero” poiché “danneggia la reputazione della Germania come paese favorevole agli affari”!

D’altra parte, il leader della France Insoumise, Mélenchon, benché su posizioni di un riformismo di sinistra, non ha offerto alcuna direzione alternativa ai lavoratori e imposta la sua battaglia contro la legge sulle pensioni su un farraginoso e velleitario meccanismo referendario. Ma per piegare Macron, che di determinazione ne ha dimostrata, l’unica strada è la costruzione di un rapporto di forza favorevole ai lavoratori tramite lo strumento dello sciopero, che permette di bloccare l’economia e fare male alle tasche dei padroni.

Le pur relative forme di compromesso sociale rese possibili in passato da un altro contesto economico stanno crollando sotto il peso delle contraddizioni del capitalismo. Gli apparati riformisti sembrano ormai l’ultimo settore della società incapace di riconoscerlo, aggrappati come sono al miraggio di un ritorno ad una “normalità” che non tornerà.

 

Effetti politici

Marx ha scritto che “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Si tratta di una verità profonda, utile per comprendere il mondo ma anche per agire. Questo, infatti, è ciò che abbiamo sotto gli occhi. La coscienza di decine di milioni di giovani e lavoratori sta mutando in modo brusco e talora repentino.

Ormai lo rilevano anche i grandi istituti di sondaggi. Così, secondo un’inchiesta dell’IFOP, il 19% dei francesi pensa che il comunismo sia un’idea del futuro e la cifra tocca il 29% tra chi ha meno di 35 anni, con cifre simili tra gli operai; inoltre, ben l’80% degli intervistati pensa che la sanità, la scuola e la casa dovrebbero essere sottratte all’economia di mercato. In Gran Bretagna, analogamente, per il Fraser Institute il 43% della popolazione indicherebbe il socialismo come sistema economico ideale ed il 70% sarebbe favorevole ad una tassazione speciale sull’1% più ricco.

Questi cambiamenti spiegano gli interventi allarmati e apparentemente sopra le righe di molti politici del campo borghese. Le stesse critiche a esponenti riformisti di sinistra, accusati di non moderarsi a sufficienza, sono un indice di paura. Così il ministro della Giustizia francese, Dupond-Moretti, non ha avuto paura del ridicolo dichiarando che Melenchon vorrebbe “far saltare in aria le istituzioni” mentre il suo collega agli Interni, Darmanin, ha condiviso con noi le sue “scoperte” dichiarando al Journal du Dimanche che il progetto di Mélenchon è “la rivoluzione”. In loro soccorso ha preso parola anche Courtois, anticomunista viscerale travestito da storico, negli anni ’90 curatore del Libro nero del comunismo.

Il tempo è maturo per un’avanzata delle idee del marxismo tra i giovani ed i lavoratori. Si tratta anche di una necessità. Quella di costruire una direzione all’altezza dei compiti posti dalla crisi di un sistema decadente. È quello che hanno chiaramente espresso anche i lavoratori ed i delegati della CGT della raffineria Total Normandia durante la lotta sulle pensioni: “Se oggi la mobilitazione arranca, non è per mancanza di determinazione della base che è in sciopero da settimane, ma per il rifiuto dell’Inter-sindacale nazionale di costruire un rapporto di forza all’altezza dei progetti ambiziosi dei nostri avversari. Piuttosto che convocare sette giornate d’azione in un mese, avrebbe dovuto unire queste giornate di sciopero per bloccare sul serio l’economia, il che avrebbe cambiato il destino del movimento”. È con queste prospettive e questa determinazione che ci prepariamo, anche in Italia, alle lotte davanti a noi!

17 aprile 2023

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