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“The Working Class is Back!” – La controffensiva dei lavoratori britannici è un esempio da studiare

Da quasi un anno ormai il Regno Unito è attraversato da un’ondata di scioperi quale non si vedeva da decenni. Ferrovieri, postini, portuali e aeroportuali, infermiere, lavoratori delle ambulanze, delle telecomunicazioni, dell’università sono protagonisti di scioperi e manifestazioni che fanno del movimento sindacale la vera opposizione al governo del Partito conservatore.

La Gran Bretagna è uno dei paesi con l’inflazione più alta: l’ultimo dato ufficiale è del 10,7% dopo avere superato l’11% in ottobre. Alla corsa dei prezzi si aggiunge una distribuzione del reddito sempre più diseguale, con interi settori della popolazione lavoratrice che sprofondano nella povertà.

I giornali riportano di continuo storie dickensiane di povertà estrema, di lavoratori costretti a ricorrere alle mense pubbliche o di pensionati costretti a scegliere se fare la spesa o riscaldare la casa. Una organizzazione assistenziale stima che ci siano 800mila bambini che saltano pasti perché le famiglie non possono permettersi di pagare la retta dei pasti scolastici.

Si aggiunga che decenni di moderatismo dei sindacati hanno permesso al padronato di fare arretrare salari e condizioni di lavoro. Secondo uno studio del TUC, la confederazione sindacale, i salari reali del 2021 erano avevano perso in media 70 dollari al mese rispetto all’inizio della crisi del 2008.

Gli aumenti salariali offerti (laddove questo è avvenuto) sono ben lontani dal coprire l’aumento dei prezzi. Si chiede di fatto ai lavoratori di accettare un taglio del salario reale mentre i manager e gli azionisti continuano a riempirsi le tasche. Un articolo di Labornotes del 18 novembre riporta il caso di Philip Jansen, AD del gruppo BT (l’ex monopolista British Telecom, ora privatizzato), che nel 2021 ha intascato 3,5 milioni di sterline di compenso, con un aumento del 32 per cento. Pochi mesi dopo lo stesso Jansen ha troncato la trattativa col sindacato CWU(1) imponendo unilateralmente un aumento di 1770 dollari annui, ossia un taglio in termini reali, per i 40mila addetti ai call center del gruppo.

Estate 2022 – Sciopero dei ferrovieri del RMT

Nella scorsa estate è stata la vertenza dei ferrovieri organizzati dall’RMT(2) a conquistare l’attenzione generale. Le ferrovie sono privatizzate da tempo e la trattativa riguarda sia le società private concessionarie, sia la rete (che è rimasta di proprietà statale). Le imprese hanno proposto un aumento del 4 per cento all’anno per due anni, ma vogliono recuperare le risorse attaccando pesantemente le condizioni di lavoro. Pretendono che sui treni rimanga solo il macchinista, senza altro personale, che dovrebbe quindi anche sorvegliare l’apertura e chiusura delle porte. Vogliono inoltre la chiusura totale degli sportelli di biglietteria e l’equiparazione delle domeniche ai giorni feriali.

Nei mesi estivi il sindacato Unite(3) con uno sciopero combattivo che ha bloccato l’aeroporto di Heathrow, ha ottenuto aumenti del 13 per cento per il personale aeroportuale di terra e per gli equipaggi. Allo stesso modo i portuali di Liverpool hanno conquistato il 18,5 per cento di aumento dopo due settimane di sciopero.

In questo clima, nell’estate del 2022, l’allora primo ministro Boris Johnson attaccava pubblicamente “i sindacalisti marxisti che vogliono rovesciare il governo”. Il giornale “popolare” Sun usciva con una prima pagina intitolata “Class War” (guerra di classe). Ma era solo l’inizio.

A ruota dei ferrovieri si è sviluppata la vertenza dei postini di Royal Mail, anch’esso privatizzato una decina di anni fa. Un gruppo che nel 2021 ha fatto 758 milioni di profitti e ne ha distribuiti 500 milioni in dividendi agli azionisti, con un amministratore delegato che ritenendo insufficiente il suo stipendio di 63mila sterline al mese si è attribuito un bonus una tantum di altre 142mila sterline, per poi presentarsi al tavolo delle trattative offrendo un aumento del 2 per cento.

Dopo un primo giro di scioperi, l’azienda ha proposto il 7 per cento in due anni e un piano di “modernizzazione” che scardinerebbe completamente i diritti dei lavoratori introducendo tra gli autisti una sorta di “modello Uber”, nonché la disdetta di tutta la precedente contrattazione. Il sindacato ha risposto convocando 19 giornate di sciopero nel periodo fino a natale, compreso il Black Friday e altre date chiave per gli acquisti online.

Le norme antisciopero

Il Regno Unito ha una delle legislazioni più restrittive del diritto di sciopero, che per essere convocato deve essere preceduto da un referendum fra i lavoratori interessati con il quorum del 50 per cento di partecipanti. La nuova legge in discussione potrebbe alzare ulteriormente queste soglie.

Non sorprende tuttavia che, date le premesse, le consultazioni svolte con voto postale abbiano restituito maggioranze larghe e talvolta schiaccianti in favore del mandato di sciopero, fino al 97,6 per cento (77 per cento di affluenza) dei lavoratori di Royal Mail e al 91,7 per cento dei ferrovieri.

In novembre sono scesi in campo 70mila lavoratori di 150 università con tre giornate di sciopero. Un settore, quello universitario, che nel 2021 ha generato un’entrata record di 41,1 miliardi di sterline, mentre il personale che le gestisce ha visto 12 anni consecutivi di offerte salariali inferiori all’inflazione, con un calo medio del salario reale del 20 per cento complessivamente, oltre a centinaia di esuberi dovuti alla chiusura di corsi e dipartimenti.

Un picchetto delle infermiere

La tegola forse più grossa per il governo conservatore è lo sciopero delle infermiere. Il sindacato che le organizza, il Royal College Nursing (RCN), con 465mila aderenti è probabilmente il più grande sindacato del mondo nel settore e non aveva mai convocato uno sciopero in oltre un secolo di storia. Inutile sottolineare l’impatto pubblico di questa vertenza di una categoria di lavoratori applauditi come eroi della lotta alla pandemia e poi cinicamente scaricati dal governo. Decine di testimonianze di infermiere e personale medico hanno denunciato lo stato disastroso del NHS, il servizio sanitario nazionale, massacrato non solo dai bassi salari, ma ancora più dai tagli al personale e dai sovraccarico intollerabile di lavoro: “Penso siamo tutti semplicemente esauriti, fisicamente e mentalmente. Ogni giorno che vado al lavoro sento che sto facendo il lavoro di due o tre persone, e questo è ingiusto. Davvero non possiamo continuare così”. Queste le parole di una infermiera intervenuta nel picchetto di Cardiff durante lo sciopero di dicembre.

Il RCN rivendica un aumento del 19 per cento, il governo per ora offre il 4,75 e sono convocate due nuove giornate di sciopero. Contemporaneamente si è aperta la anche la vertenza dei lavoratori delle ambulanze (organizzati da un altro sindacato).

Alle vertenze nazionali si somma uno stillicidio crescente di scioperi locali, dei quali alcuni hanno condotto ad aumenti oltre l’inflazione (netturbini, conducenti di autobus).

Sono in corso, infine, le consultazioni per possibili scioperi degli insegnanti e dei vigili del fuoco, mentre le guardie doganali degli aeroporti hanno scioperato in dicembre (il governo ha inviato personale militare per sostituire gli scioperanti).

Lo scontro nel movimento sindacale

È importante comprendere come questa importante ondata di scioperi sia stata preceduta da alcuni anni di intense battaglie interne alle organizzazioni sindacali. Per quanto il sindacato britannico non si sia differenziato per moderatismo e burocratismo dai propri omologhi europei, mantiene alcune procedure democratiche. In particolare il fatto che i congressi si tengano annualmente ha permesso una riorganizzazione delle correnti di sinistra che con battaglie sistematiche da un anno all’altro (e non prive di divisioni e contraddizioni interne sulle quali non abbiamo qui lo spazio per addentrarci) hanno saputo conquistare posizioni maggioritarie negli organismi dirigenti ed eleggere segretari generali in diverse categorie.

Se il RMT e il CWU sono tradizionalmente sindacati collocati a sinistra, le due maggiori organizzazioni, UNISON e UNITE, sono state teatro di scontri senza esclusione di colpi. La sinistra ha conquistato la direzione di UNITE eleggendo a segretaria generale Sharon Graham. UNITE ha circa 1,2 milioni di iscritti soprattutto nei trasporti, edilizia, logistica e nel settore manifatturiero. L’elezione di una nuova direzione ha portato a un forte aumento delle vertenze e degli scioperi promossi da questa sigla (circa 9 volte di più che nel 2019).

Il sindacato più grande è UNISON, con quasi 1,3 milioni di iscritti prevalentemente nei servizi pubblici, educativi e sanitari. Qui la sinistra ha conquistato nel 2021 la maggioranza della direzione eleggendo a presidente il leader della sinistra Paul Holmes. Si è aperta allora una vera guerra civile interna che dura tutt’ora, aggravata dal licenziamento di Holmes dal suo posto di lavoro presso un Comune controllato dalla destra del Partito laburista in un chiaro tentativo di farlo dimettere dalla sua carica.

Il dibattito nel movimento sindacale si è riproposto nell’ultimo congresso del TUC (Trades Union Council, la confederazione sindacale), dove le categorie più impegnate nella mobilitazione hanno promosso o sostenuto diverse mozioni che impegnano la confederazione a promuovere mobilitazioni comuni tra le categorie. (4)

Già in questi mesi ci sono stati moltissimi momenti di azione comune concordati tra ferrovieri e postini (mobilitazione comune il 1 ottobre) e tra i postini e i dipendenti delle università (25-29 novembre). In generale c’è stata una forte spinta all’unità soprattutto nei presidi e picchetti diffusi in tutto il territorio nazionale, che sempre più spesso vedono la presenza di delegazioni di diversi sindacati, così come di semplici cittadini e attivisti che vengono a portare solidarietà. Il sito strikemap.uk, aggiornato in tempo reale, offre un quadro impressionante della diffusione capillare delle mobilitazioni.

La solidarietà è stata particolarmente sentita nei picchetti delle infermiere, salutati ovunque dai clacson di automobili e mezzi pubblici e dalla presenza organizzata di lavoratori di altri settori.

L’oltranzismo del governo

Finora il governo conservatore ha mantenuto una posizione oltranzista e provocatoria. I tabloid non si sono risparmiati le prevedibili accuse contro l’egoismo dei sindacati che lasciano morire la gente convocando scioperi nel settore sanitario e il deputato conservatore Nadhim Zahawi ha accusato le infermiere in sciopero di essere alleate di Putin!

Al di là delle campagne denigratorie, il governo è direttamente implicato in alcune delle vertenze che coinvolgono dipendenti pubblici, a partire dalla lotta del RCN, ma anche nei settori privatizzati (ferrovie e poste) i ministri hanno per legge notevoli poteri in fatto di contrattazione sindacale. Più di un indizio, riferito anche da giornali come il Financial Times e l’Economist, indica che anche laddove le aziende parevano disposte a minime aperture, i ministri competenti abbiano invece lavorato attivamente per chiudere gli spiragli di trattativa.

Il premier Sunak sta riprendendo in mano proposte dei governi precedenti per rendere ancora più stringente la legislazione antisciopero varando una legge sui “servizi minimi obbligatori” che di fatto renderebbe illegale lo sciopero nelle ferrovie. Recentemente il governo di Londra ha reso pubblico un progetto di legge che comprende norme più restrittive per dichiarare lo sciopero, riduce lo spazio per i ricorsi al tribunale del lavoro da parte dei sindacati, obbliga a garantire una soglia di “servizi minimi” e autorizza le aziende a fare causa agli scioperanti se tali livelli non vengono rispettati.

Contro il progetto di legge è annunciata una data di mobilitazione nazionale dei sindacati il 1 febbraio. Si tratta di una nuova accelerazione in uno scontro che cresce ormai da tempo.

Se il TUC finora si è limitato ad annunciare ricorsi in tribunale contro possibili nuove leggi antisciopero, sia Sharon Graham (UNITE) che Mick Lynch (RMT) hanno apertamente dichiarato che i loro sindacati non rispetteranno la nuova normativa e non accetteranno una proibizione di fatto degli scioperi.

Lo sciopero dei portuali a Felixstowe

Al tempo stesso, cercando di alternare bastone e carota, Sunak ha tentato di vestire i panni del dialogo, proponendo ai sindacati di discutere aumenti “sostenibili e ragionevoli”, ma al momento non ha messo niente di serio sul piatto. Anzi, diversi ministri competenti sulle vertenze hanno detto che ormai di aumenti per il 2022 non se ne parla (l’anno fiscale finisce il 31 marzo) e se ne parla solo per il 2023, facendo ulteriormente alzare i toni dei dirigenti sindacali.

In generale ci sono stati molti momenti in cui governo e aziende hanno provocatoriamente alzato la temperatura, con ultimatum, incontri disdetti all’ultimo momento, continui cambiamenti delle condizioni discusse in precedenza, ecc.

È lecito aspettarsi che il governo tenterà di disinnescare lo sciopero delle infermiere, quello che gode del maggior sostegno del pubblico e politicamente più pericoloso, per poi tentare di dividere il fronte sindacale, frantumando le vertenze e puntando a risolverle al ribasso. Tuttavia non sarà facile, perché qualsiasi accordo che si dovesse firmare con il RCN sarà preso a riferimento anche dalle altre categorie, e con una richiesta sindacale iniziale del 19 per cento di aumento non è pensabile che la vertenza possa essere risolta con qualche spicciolo.

Nel frattempo, come già detto, altre categorie si preparano a scioperare, dagli insegnanti ai vigili del fuoco.

I risvolti politici

Non è un caso che questa ondata di scioperi si sia sviluppata in un contesto politicamente fragile e destabilizzato. I paradossi non mancano, soprattutto per chi consideri la situazione in modo superficiale.

Il Partito conservatore gode di una solida maggioranza parlamentare, eppure è debole e diviso come mai lo è stato. L’avvicendarsi nel corso del 2022 di tre primi ministri (Boris Johnson, Liz Truss– durata solo 49 giorni! – e ora Rishi Sunak) è stato il frutto di una guerra intestina lacerante che è tutt’altro che risolta. Anzi, è luogo comune fra gli analisti politici che l’attuale primo ministro abbia alte probabilità di essere defenestrato dai suoi compagni di partito prima delle elezioni politiche, la cui scadenza naturale cade nel 2024.

Sul fronte opposto, i laburisti godono di un largo vantaggio nei sondaggi (circa 20 punti) e apparentemente non dovrebbero fare altro che sedersi sulla sponda del fiume ad aspettare che passi il cadavere dei tories. Tuttavia le cose non sono così semplici. Dopo la sconfitta di Corbyn nel 2019 la destra interna al Labour ha ripreso il pieno controllo del partito, avviando una sistematica campagna di espulsioni contro centinaia e centinaia di militanti, tra i quali in prima fila i compagni della nostra sezione britannica, il Socialist Appeal, la cui organizzazione è stata formalmente bandita dal Labour nel 2021. Il leader sir Keir Starmer non perde occasione per ribadire che il suo partito sarà amico delle imprese, che quanto a patriottismo non saranno secondi a nessuno, e così via. Non a caso ha diramato una direttiva che proibisce esplicitamente ai parlamentari più in vista di partecipare ai presidi e ai picchetti sindacali di questi mesi, e non ha detto una sola parola di sostegno ai lavoratori in lotta.

Giustamente il segretario del RMT Mick Lynch in un comizio ha chiamato direttamente in causa Starmer e i leader laburisti: “La domanda che vi sentirete fare in futuro è da che parte stavate nel 2022, nel 2023? Non vi chiederanno se siete stati fermi a giocare di sponda, stando in disparte mentre i lavoratori lottavano, e limitandovi ad aspettare le prossime elezioni”.

La critica coglie sicuramente nel segno e trova eco in uno strato di migliaia di attivisti di sinistra che si sono ritirati delusi dal Labour dopo la sconfitta di Corbyn. Obiettivamente oggi il movimento di scioperi è l’unica vera opposizione in campo e come tali vengono visti anche i dirigenti sindacali che ne sono alla testa.

Il rapporto tra i sindacati e il partito laburista è storicamente strettissimo e la maggior parte dei sindacati, e fra questi tutti i maggiori, hanno formali vincoli organizzativi col partito e godono di una ampia rappresentanza nei congressi del Labour. I pacchetti di voti congressuali controllati dalle burocrazie sindacali sono stati più volte determinanti per impedire che il Labour, sotto la spinta di una base di iscritti che si era radicalizzata a sinistra durante la gestione di Corbyn, assumesse posizioni troppo spostate a sinistra.

Oggi i rapporti sono invertiti, coi sindacati più a sinistra del partito, e come tali percepiti dai lavoratori. Al tempo stesso è chiaro che appena si presenterà l’occasione elettorale, milioni di lavoratori turandosi il naso proveranno a usare la scheda elettorale per liberarsi dei conservatori. (Questo non significa che Starmer abbia la vittoria già in tasca. Molte cose succederanno ancora da qui alle elezioni, ma non è scopo di questo articolo sviluppare le prospettive elettorali).

Il TUC ha anche avanzato la richiesta di elezioni anticipate, ma è una rivendicazione piuttosto platonica, dato il meccanismo istituzionale e la larga maggioranza di cui dispongono i conservatori.

Si pone quindi la questione della prospettiva per questo movimento.

Lo sbocco obbligato delle lotte economiche è chiaramente in un accordo (più o meno avanzato a seconda dei rapporti di forza e della determinazione dei lavoratori e soprattutto della loro direzione), ma questa constatazione elementare non esaurisce la questione. Esiste un enorme potenziale per un movimento generale della classe e per lo sviluppo di forme di organizzazione dal basso (comitati di sciopero, coordinamenti tra diversi settori, ecc.), sia per estendere il movimento ai settori che ancora non sono in campo, sia per controllare le azioni dei dirigenti sindacali.

Inoltre nelle condizioni odierne anche lotte che hanno una natura economica inevitabilmente chiamano direttamente in causa fattori politici. Basti pensare all’effetto delle sanzioni e del protezionismo, o al ruolo crescente svolto da tutti gli Stati nell’orientare in modo sempre più esplicito le scelte economiche anche del settore privato. I bruschi cambiamenti in corso nella situazione economica mondiale pongono al movimento operaio la necessità di sviluppare la propria azione ben al di là della sola lotta salariale.

Il ruolo politico di questo movimento si lega anche all’esperienza della fase precedente. Per circa 5 anni, dal 2015 al 2019, le spinte a sinistra nella società si sono espresse soprattutto nell’ascesa di Jeremy Corbyn alla guida del partito laburista, che aveva catalizzato l’attenzione e la mobilitazione attiva di centinaia di migliaia di militanti che avevano contribuito a spostare significativamente a sinistra il programma del partito e la sua immagine pubblica.

Sconfitto Corbyn, principalmente a causa dei suoi errori politici e della sua titubanza nello spingere a fondo lo scontro con le ali apertamente borghesi del Labour, la prospettiva di un cambiamento per via politico-elettorale si è chiusa. Ma le contraddizioni sociali che l’avevano generata non sono per questo scomparse, e si stanno precisamente esprimendo nel movimento sindacale e negli scioperi.

Lo illustrano chiaramente le parole di Mick Lynch nelle assemblee di sostegno allo sciopero dei ferrovieri organizzate dal movimento Enough is enough (“Quel che è troppo è troppo”), promosso da attivisti della sinistra del Labour: “La classe operaia è tornata! Non siamo tornati solo come un’idea, siamo di nuovo qui come un movimento, come un’energia. Sono finiti i tempi per essere miti, ci rifiutiamo di essere umili, non accettiamo più di aspettare i politici e non accettiamo più di essere poveri. Vogliono impastoiare i sindacati più ancora di quanto lo siano, e perché lo fanno? Lo fanno nell’interesse della loro classe, perché è così che funziona la società. E quanto prima lo capiranno i dirigenti laburisti, tanto meglio. Loro (il governo – nda) agiscono nel loro interesse di classe, è ora che noi agiamo nel nostro!

Il compito degli attivisti più avanzati da un lato è partecipare attivamente al movimento e contribuire alla sua crescita, alla chiarezza delle sue rivendicazioni e alla sua organizzazione capillare nella classe lavoratrice. Al tempo stesso è proprio in questo processo che lo scontro con le idee borghesi e riformiste trova un terreno nuovo e più avanzato.

Come abbiamo già detto, il rapporto tra sindacato e partito in Gran Bretagna ha caratteristiche peculiari (dovute alla storia del movimento operaio). Se in un paese come l’Italia i dirigenti sindacali si nascondono ipocritamente dietro la foglia di fico della cosiddetta “autonomia sindacale”, nel Regno Unito esiste un legame organico tra sindacati e partito laburista, e i sindacati prendono regolarmente e ufficialmente posizione. Questo complesso rapporto assume un significato concreto differente nelle diverse fasi politiche, e se spesso è stato lo strumento attraverso il quale le due burocrazie, sindacale e di partito, si sono sorrette a vicenda, in altre fasi è stato invece un canale usato dalla classe lavoratrice per esercitare una pressione a sinistra anche sul Labour, soprattutto nelle stagioni di forte lotta sindacale.

Non è un caso quindi se la destra laburista, oggi al comando del partito con Starmer, vede con preoccupazione queste mobilitazioni e, pur volendosene giovare sul piano elettorale, cerca di impedire qualsiasi “contagio” politico.

Un episodio recente lo illustra chiaramente: in novembre la presidente di UNISON Andrea Egan è stata espulsa dal partito laburista per avere condiviso sui social due articoli del Socialist Appeal, (SA è il giornale della sezione britannica della Tendenza Marxista Internazionale, che è stato formalmente bandito dal Labour nel 2021). Una clamorosa arroganza burocratica che si spiega anche con il fatto che con l’espulsione della Egan la sinistra interna perde la maggioranza che aveva nell’organismo di raccordo tra l’UNISON e il partito laburista.

Come dimostrano le parole di Mick Lynch sopra citate, esiste uno strato di attivisti, sindacali e non, che vede con chiarezza il ruolo pernicioso di Starmer e dell’attuale direzione laburista e lo considera se non proprio un avversario, certo non come un alleato. Contribuire a riaggregare questo settore più avanzato su un programma esplicitamente socialista e anticapitalista è un compito decisivo, che deve andare di pari passo con la costruzione del movimento di massa.

Il ritorno in campo della classe lavoratrice in un paese chiave come la Gran Bretagna è uno sviluppo fondamentale ed entusiasmante, che deve essere studiato da vicino anche qui da qualsiasi militante voglia seriamente impegnarsi per rompere la paralisi burocratica che attanaglia i lavoratori italiani.

È un primo passo in una lunga strada. Molte illusioni dovranno essere dissipate, programmi e dirigenti saranno più e più volte messi alla prova, ogni tendenza politica apparirà in una luce più netta e dovrà dimostrare di essere all’altezza dello scontro. Attraverso questo processo si porranno le basi per una svolta decisiva, non solo in Gran Bretagna.

23 gennaio 2023

Note

(1) Communication Workers’ Union, sindacato delle telecomunicazioni.

(2) National Union of Rail, Maritime and Transport Workers: è il più grande sindacato dei lavoratori dei trasporti a livello nazionale.

(3) UNITE è il principale sindacato del settore privato.

(4) Vedi Congresso TUC 2022: “La rinascita del movimento sindacale è iniziata” sul rivoluzione.red

 

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