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Sul dibattito ne “Il sindacato è un’altra cosa”

La divisione emersa nella riunione dell’11 aprile dell’esecutivo nazionale dell’area Il sindacato è un’altra cosa non è un fulmine a ciel sereno. È invece la dimostrazione che ci sono dei nodi di fondo nell’orientamento dell’area che non sono mai stati risolti, e che oggi vengono al pettine.

Dobbiamo trasformare questo dato di fatto negativo in un fattore positivo di chiarificazione e approfondimento della nostra azione sindacale. Ma questo può essere fatto solo con una discussione aperta, senza ipocrisie, nella quale ciascuno si assuma la responsabilità di ciò che propone.

Non vogliamo quindi cadere nell’aneddotica, ma provare a indicare quelli che sono i punti decisivi. Siamo certi che questa esigenza di chiarezza sarà condivisa da tutti i compagni e le compagne, quale che sia la loro posizione.

La vicenda Fca da un certo momento in avanti è diventata un’altra cosa, ossia la vicenda Sergio Bellavita, ed essendo il compagno Bellavita il coordinatore dell’area, la vicenda di tutta l’area.

Qui si pongono due domande:
– era giusto che fosse così?
– era inevitabile che fosse così?

Per noi la risposta a entrambe le domande era NO. Non era la strada giusta, e non era inevitabile. E per quanto la responsabilità sia da attribuire principalmente alla segreteria nazionale della Fiom bisogna tuttavia riconoscere che la nostra area non è priva di colpe.

Era giusto sostenere fino in fondo i compagni in Fca, e peraltro questa esigenza che si porrà ancora nel prossimo futuro (elezioni Rls a Melfi) viene resa molto più difficile da quanto avvenuto in queste settimane. Era giusto mantenere inchiodata questa discussione sul merito: quale linea assumere per contrastare la Fiat? E su questo non spostarsi di un millimetro, costringendo la segreteria Fiom a misurarsi con questa domanda.

Peraltro una discussione su questo punto era e rimane quantomai necessaria anche per noi. La linea degli scioperi ripetuti, anche laddove l’adesione è minima, è l’unica da perseguire? Il bilancio a Termoli e Melfi, qual è? Le differenze nelle adesioni e nei risultati (più avanzati a Termoli, meno a Melfi) sono irrilevanti, o dovrebbero suggerire tattiche diverse? E per quanto riguarda gli altri stabilimenti Fca, che valutazione diamo della situazione e delle iniziative possibili?

Nessuno ha in tasca facili verità, sappiamo di confrontarci con uno dei punti più difficili dell’azione sindacale per i metalmeccanici. L’unica certezza che abbiamo è che deve essere difeso e garantito a ciascun delegato il diritto di proclamare sciopero anche se si ritiene che stia sbagliando. L’unico strumento in mano ai gruppi dirigenti per correggere eventuali errori (o ritenuti tali) dei delegati deve essere il convincimento politico. L’unica arma da usare deve essere l’autorevolezza politica e non i mezzi disciplinari. Proprio per questo riteniamo un grave errore di superficialità aver permesso che tutto questo venisse trasformato in una “singolar tenzone” tra la nostra area e il segretario Landini, col risultato obiettivo di chiudere la discussione di merito e di aiutare la maggioranza ad erigere un muro tra noi e quegli altri lavoratori, iscritti e anche delegati che pure vogliamo puntare a raggiungere e a convincere con le nostre posizioni.

Certo, è stato il gruppo dirigente a dare fuoco alle polveri con la decisione del segretario della Fiom del Molise, che ha sconfessato i delegati a Termoli impegnati in uno sciopero piuttosto partecipato, con gli interpelli al Collegio statutario, con la decisione di impedire l’entrata del compagno Mimmo Destradis nel CC della Fiom e di Stefania Fantauzzi nell’assemblea generale, nonostante ancora non si fosse pronunciato alcun organismo di garanzia sulla vicenda che li riguardava.

La risposta dell’area a questa offensiva doveva essere fermamente ancorata al merito. Invece si è iniziato a scivolare sul piano inclinato dei proclami, delle parole altisonanti e dei gesti simbolici come l’adesione di diversi dirigenti nazionali dell’area al comitato dei lavoratori Fca del Centro-sud, un organismo che, lo ribadiamo, non ha svolto alcun ruolo e funzione dal momento in cui formalmente è nato. Non si può accusare di parasindacalismo dei compagni per aver aderito a un organismo che nella realtà non esiste. Il fatto che provocatoriamente, dei dirigenti nazionali dell’area abbiano dato la loro adesione a tale comitato non è un gesto di solidarietà nei confronti dei compagni di Fca, ma un semplice atto di superficialità.

A quel punto la strada è stata spianata per la segreteria nello spostare il mirino sul gruppo dirigente della nostra area.

Il comunicato della segreteria nazionale Fiom del 22 marzo concentra l’attacco sul gruppo dirigente dell’area, mentre mette, almeno temporaneamente, tra parentesi le possibili sanzioni ai compagni Fca (a tutt’oggi, ricordiamolo, non è stata presa nessuna misura disciplinare nei loro confronti), come mostrano queste righe:

“Per quanto ci riguarda a un problema sindacale e politico va data una risposta sindacale e politica in applicazione dello Statuto della Cgil e nel rispetto della storia sindacale e democratica della nostra organizzazione”.

Una annotazione che aveva avuto i suoi effetti. Infatti dopo una discussione travagliata e difficile all’interno dell’esecutivo dell’area si era giunti a una presa di posizione più equilibrata rispetto alle precedenti e nel comunicato del 24 marzo si diceva:

In primo luogo ci preme ricordare nuovamente che il “coordinamento dei lavoratori Fca del centro sud”, oggetto della presunta incompatibilità, non ha mai svolto ruolo alcuno in concorrenza con la nostra organizzazione. Non esiste un solo atto, un volantino, una richiesta di incontro o una proclamazione di sciopero che possa testimoniare il suo carattere parasindacale e la conseguente rottura dell’unità della Cgil come soggetto contrattuale in rapporto con Fca.(…) Ma se, nel definire FALSA la nostra accusa di epurazione e espulsione, si intende dire, e ci si assume la responsabilità, che non ci saranno espulsioni, ne’ destituzioni da RSA e da organismi dirigenti, ne’ incandidabilita’ nelle prossime elezioni RSA RLS allora siamo noi i primi ad auspicare che si possa avviare una discussione politica nei territori e nazionalmente, come peraltro gli stessi compagni e compagne Fca da mesi richiedono insistentemente. Siamo certi che proprio in preparazione delle elezioni Rls nello stabilimento oggi più rilevante del gruppo Fca, la Fiom non procederà a sanzioni o ad esclusioni di lavoratori oggi giudicati “incompatibili”. Diversi di loro sono un pezzo della storia più nobile della nostra organizzazione in quello stabilimento (…) Per la nostra organizzazione, nella sua lunga storia, il pluralismo, la democrazia sindacale, anche lo scontro rude sulle idee, hanno sempre rappresentato la difesa dell’unità della Cgil.

Questa presa di posizione, l’unica razionale in tutta la vicenda, veniva però vanificata dal proseguimento di una campagna il cui scopo non era chiarire le questioni e allargare il consenso, ma alzare i toni alla ricerca evidente di una risposta simmetrica da parte della maggioranza.

Esempio da manuale (in negativo), la citazione da parte di diversi giuristi (alcuni di area Usb) che “intimavano” alla Fiom di non espellere i compagni della Fca di Termoli e Melfi. Operazione priva di senso se si fosse voluta gestire la controversia in termini politici evitando rotture insanabili. È noto infatti che solo ai divorzi ci si presenta con gli avvocati.

È dopo questi passaggi che si inserisce l’attacco diretto alla nostra area con la revoca del distacco di Sergio Bellavita, una misura che colpisce politicamente la nostra area nella persona del suo portavoce.

La reazione a questo attacco frontale mette a nudo tutti i nodi irrisolti. Anziché compattare le fila per una risposta coordinata e politica, si imbocca la strada della fuga in avanti e dei fatti compiuti.

La riunione dell’11 aprile

Il 10 aprile, senza nessuna consultazione e alla vigilia della riunione già convocata del gruppo dirigente dell’area, il compagno Bellavita pubblica sul sito dell’area un testo intitolato “La Fiom e la Cgil chiudono l’opposizione interna”, che termina con le seguenti valutazioni:

L’abbraccio tra Landini Camusso cgil cisl uil chiude ogni spazio di possibile opposizione. In totale coerenza con il modello che si sta costruendo intorno a esigibilità e diritto di sciopero. Landini colpisce perché deve ridurre all’obbedienza tutti coloro che ancora, dalla fabbrica agli apparati, non vogliono diventare agenti di un sindacato fondato sulle risorse degli enti bilaterali, sulla vendita di assicurazioni private, sulla complicità con le aziende. Oggi siamo costretti a misurarci con questa dura realtà e decidere il che fare.”

Ora, se le parole hanno un senso, questo testo pone la questione di uscire dalla Cgil per fondare un nuovo sindacato o per aderire a uno dei sindacati di base esistenti. Se “ogni spazio possibile di opposizione” è chiuso, e non si pone la questione di riconquistarlo, l’unica conclusione che si può trarne è quella della scissione.

Sbagliamo? Non è così? Stiamo facendo il processo alle intenzioni? La controprova arriva il giorno dopo nella riunione dell’esecutivo dell’area. Quando si giunge alle decisioni finali, proponiamo una aggiunta al testo proposto dal compagno Bellavita. Nella nostra proposta (ripetiamo aggiuntiva, ossia non cancella nulla delle cose proposte da Sergio), sono contenute le seguenti righe:

L’Esecutivo inoltre dichiara che questo attacco all’area non farà arretrare di un millimetro la nostra battaglia in Cgil per difendere le istanze dei lavoratori, e che proseguiremo convintamente la nostra battaglia d’opposizione.

Le ragioni della nostra opposizione in Cgil e in tutte le categorie restano intatte, e anzi, si intensificano.

Pertanto l’esecutivo nazionale invita tutti i compagni e le compagne, i delegati, i lavoratori e le lavoratrici che si riconoscono nel dissenso sempre più ampio alle posizioni della maggioranza, perchè non abbandonino questa battaglia e continuino a costruire l’opposizione in Cgil.

La maggioranza dei compagni dell’esecutivo respinge questo emendamento e i due testi vengono votati in modo contrapposto. Con 13 voti a favore passa il testo Bellavita, mentre il nostro viene respinto (5 voti a favore).

Parlano quindi i fatti: di fronte a una richiesta di dichiarare in modo chiaro e inequivocabile che continueremo la battaglia nella Cgil, la maggioranza del gruppo dirigente dell’area rifiuta il suo sostegno, mantenendosi su una linea volutamente ambigua, che ammicca alla scissione senza tuttavia proporla apertamente.

Un altro passaggio chiarisce ulteriormente la fonte di questa ambiguità. L’Esecutivo dell’area decide di chiedere un incontro a Susanna Camusso e alla segreteria nazionale Cgil, proposta giusta e che condividiamo. Ma la posizione del compagno Bellavita espressa nella riunione dell’11 aprile è la seguente: gli spazi per una opposizione in Cgil sono chiusi, tuttavia se intervenisse la segretaria generale potrebbero riaprirsi.

Domandiamo: le sorti di un’area dipendono dalle decisioni riguardanti un singolo compagno, sia pure un dirigente? Se un sindacato è talmente degenerato da essere completamente impermeabile alle istanze di base e dei lavoratori, può essere la scelta contingente di una segretaria generale a mutarne la natura? Questo equivale a valutare la Cgil, secondo la qualità dei suoi dirigenti, e non a partire dalle sue caratteristiche di sindacato di massa che organizza milioni di lavoratori in questo paese. Si tratta di una visione che non esitiamo a definire verticistica per quanto possa essere accompagnata da proclami “incendiari”.

La solidarietà con Sergio è fuori discussione. Ma le sorti di un singolo non possono essere separate dalla prospettiva politica più generale. Se si propone di fare una campagna, i compagni dell’area, e non solo loro, hanno ben diritto di sapere se ci si propone di difendere un dirigente della Cgil che intende guidare una lotta contro la linea dell’attuale maggioranza, o se ci si chiede di difendere un compagno che decide individualmente sulla testa di tutti e che domani potrebbe decidere in totale autonomia di militare in un’altra organizzazione.

Se ci si propone per ruoli di direzione, non si può prescindere dall’assunzione di una responsabilità collettiva. Se si ritiene che non ne esistano più le condizioni politiche, allora è giusto porre apertamente la questione e trarne le dovute conseguenze.

La questione dei sindacati di base

Come è noto, la contestazione principale che viene rivolta all’area e ai compagni di Fca riguarda la formazione di cosiddetti coordinamenti assieme a rappresentanti di altri sindacati. Su questo vogliamo ribadire la nostra posizione.

Siamo stati e saremo sempre a favore di azioni unitarie anche con altri sindacati, laddove questi sono effettivamente rappresentativi di almeno un settore di lavoratori. Siamo a favore non solo a parole ma anche nei fatti. Solo per citare alcuni esempi, abbiamo portato la Fiom di Modena a un fronte unico col SiCobas nella vertenza Carpigiana. Abbiamo proposto nel settore del trasporto merci un fronte unico al SiCobas, proposta finora fallita per il rifiuto da parte loro di un confronto.

Fronte unico significa azioni comuni per obiettivi comuni, discussi e decisi dai lavoratori, dicendo chiaramente su cosa si è d’accordo, su cosa si hanno differenze, e cosa è possibile fare in comune. Peraltro questo principio non vale solo per i sindacati di base, vale per tutti i sindacati che in determinati settori hanno un insediamento reale.

Ma i coordinamenti fittizi, le “intersindacali”, ecc. sono un’altra cosa. Giocare alla “diplomazia fra stati maggiori” con questo o quel sindacato di base, fare un’assemblea per firmare documenti altisonanti che poi non hanno alcuna reale ricaduta fra i lavoratori, significa fare l’esatto opposto di quanto si dovrebbe fare. Anziché agire unitariamente sui terreni possibili, senza confondere strategie e prospettive obiettivamente diverse, si agisce separatamente (perché al di là delle dichiarazioni non sono mai state poste le condizioni per una azione comune) mentre si pretende una unità generale di intenti che in realtà non esiste. Risultato: la confusione non potrebbe essere più totale.

La crisi attuale dell’area non è quindi casuale. Da tempo in realtà la questione della permanenza o meno nella Cgil aleggia nella discussione, senza tuttavia mai essere posta in una discussione democratica e a carte scoperte. È perlomeno dal tempo dell’uscita del compagno Cremaschi dalla Cgil che il gruppo dirigente dell’area gira attorno a questo punto. Si lancia il sasso in riunioni ristrette, dichiarando “siamo un corpo estraneo nella Cgil”, si gioca con le dichiarazioni di “incompatibilità”, ecc. si alzano continuamente i toni salvo poi fare ogni volta il passo indietro.

È precisamente per queste vie che quest’area ha ridotto la sua presenza in questi anni, perdendo pezzi sia a destra (verso la maggioranza) che a sinistra (verso sindacati extraconfederali).

Non siamo più disposti ad assistere a questo gioco irresponsabile, che ha senso solo per chi abbia deciso di andarsene e intenda quindi avvelenare i pozzi e rendere il più possibile impraticabile la battaglia di chi invece intende restare nella Cgil. Altrettanto grave ci pare l’atteggiamento di quei compagni che hanno sostenuto tutte le prese di posizione più avventuriste per poi fare marce indietro precipitose.

La scelta di condurre la nostra battaglia nella Cgil non è subordinata alle vicende dei singoli, ai mal di pancia di questo o quello, o alla pur legittima indignazione di fronte a questa o quella scelta del gruppo dirigente. È ora che tutti noi impariamo a valutare queste scelte in funzione della realtà obiettiva che coinvolge milioni di lavoratori, e non delle impressioni e delle pulsioni di piccole cerchie di attivisti quale, purtroppo, anche la nostra area rimane.

Noi pensiamo che la strada da fare sia ancora tutta davanti a noi, chi non la ritiene più valida ha tutto il diritto, anzi il dovere, di sostenere la sua tesi.

Nella riunione dell’11 aprile sono emerse due posizioni. L’assemblea già convocata per il 29 aprile deve discutere apertamente innanzitutto di questa discriminante. Se i compagni della maggioranza dell’esecutivo intendono rifiutare la prospettiva della scissione, devono dirlo apertamente e proporre una linea d’azione che sia coerente con questa premessa.

Abbiamo alle spalle anni di battaglie per contrastare la linea concertativa e le capitolazioni del gruppo dirigente di maggioranza, non intendiamo disperdere questo patrimonio per scelte avventuriste e irresponsabili che niente hanno a che fare con la difesa intransigente degli interessi della nostra classe.

 

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