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Sudan: scontro cruento all’interno della controrivoluzione

In Sudan, uno scontro apertosi all’interno della controrivoluzione ha fatto sprofondare il paese in una spirale di violenza, che ha già portato alla morte di circa cento persone e al ferimento di altre centinaia. Questo conflitto, da lungo tempo atteso, per stabilire quale cricca di banditi assassini abbia il diritto di saccheggiare il Sudan è la tragica conseguenza del fallimento della presa del potere da parte delle masse dopo la rivoluzione del 2018-2019.

I combattimenti hanno avuto inizio sabato tra le Rapid Support Forces (RSF) [Forze di Intervento Rapido], un gruppo paramilitare composto dalle brutali milizie Janjaweed al comando del Generale Mohamed Hamdan Dagalo (meglio noto come Hemedti) e le regolari Sudanese Armed Forces (SAF) [Forze Armate Sudanesi], sotto il Generale Abdel Fattah al-Burhan, il padrone de facto del paese.

Queste sono le due figure principali della controrivoluzione in Sudan. Le RSF hanno agito come forze di avanguardia della reazione fin dal rovesciamento rivoluzionario del Generale Omar al-Bashir nel 2018, e hanno represso il presidio di massa a Khartoum nel 2019 in un bagno di sangue.

Burhan e Hemedti hanno in seguito cooperato in un colpo di stato contro il Primo Ministro civile, il liberale Abdallah Hamdok nel 2021, sbarazzandosi del governo di transizione fantoccio e restaurando a tutti gli effetti la dittatura militare. L’alleanza con i liberali è sempre stata nient’altro che una copertura per il potere dei generali controrivoluzionari.

I due generali lottano per la supremazia fin dal colpo di stato, appoggiandosi a differenti potenze imperialiste nel tentativo di rafforzare la propria posizione. Entrambi hanno partecipato alle negoziati, presiedute dal “Quad” (Stati Uniti, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita), per la transizione a un governo civile.

Questi incontri, che in maniera vergognosa hanno coinvolto le Forces of Freedom and Change (FFC – Forze della libertà e del cambiamento) -una coalizione di organizzazione cosiddette democratiche, fondata durante la rivoluzione- sono una totale messinscena. Le masse non hanno alcuna illusione rispetAto a un’uscita di scena dei generali e un qualsiasi “governo civile” organizzato con la loro benedizione sarebbe una foglia di fico della dittatura militare.

Le tensioni tra Burhan e Hemedti nelle ultime settimane si sono inasprite, entrambi progettano di governare il paese e hanno costantemente rimandato di firmare un accordo sulla data per una nuova costituzione e elezioni civili.

L’imminenza dello scontro si è palesata quando le SAF hanno riorganizzato lo schieramento delle truppe e costruito nuove imponenti fortificazioni intorno ai quartieri generali dell’esercito a Khartoum, oltre a predisporre nuovi posti di blocco nella capitale e effettuare controlli su tutti i passeggeri in arrivo all’aeroporto.

Anche lo scontro verbale si è inasprito tra Burhan e Hemedti, quando quest’ultimo ha detto che il colpo di stato del 2021 è “fallito” e ha (incredibilmente) denunciato Burhan di opporsi alla transizione democratica – e questo da parte dell’uomo che comandò le forze che affogarono la rivoluzione del 2018-2019 nel sangue! Burhan, da parte sua, ha cercato di creare un Alto Consiglio Militare per rimuovere Hemedti dalla sua carica di vice presidente del Consiglio Sovrano che attualmente detiene il potere.

In effetti, questi due banditi stanno utilizzando la minaccia della violenza per assicurare una migliore posizione alla propria banda all’interno del regime – partecipando alla messinscena dei “negoziati” per un governo civile, mentre lasciano intendere la propria volontà di trascinare il Sudan ancora più nel caos. Come ha spiegato Kholood Khair, un analista di Khartoum, al Middle East Eye:

“Essi lasciano che le tensioni si accumulino per accrescere i propri arsenali e le proprie truppe, al fine di impiegarle in un possibile scontro per ottenere concessione dagli attori democratici, in particolare l’FFC”.

 

Una guerra tra banditi

Apparentemente, le concessioni strappate ai collaborazionisti del FFC non erano abbastanza e l’integrazione pianificata delle RSF nell’esercito regolare, come parte di un accordo che doveva essere firmato a aprile, a fornito un pretesto per saldare i conti con la forza.

I fatti sono precipitati sabato, quando le RSF hanno dichiarato di aver preso il controllo di alcune postazioni cruciali a Khartoum, come il palazzo presidenziale, la residenza del capo dell’esercito, la stazione televisiva nazionale e l’aeroporto, ma anche altre siti a Omdurman, nel Darfur occidentale e l’aeroporto di Merowe nel nord.

L’esercito regolare ha risposto con la fanteria e con attacchi aerei e di artiglieria, colpendo le basi del RSF, molte delle quali si trovano all’interno o nei dintorni delle aree urbane. Un breve cessate il fuoco concordato domenica per evacuare i feriti è saltato quasi immediatamente. Burhan ha fatto da allora dichiarazioni molteplici e contraddittorie per incrinare le RSF, invitando i suoi membri a unirsi all’esercito regolare.

Il cosiddetto Consiglio di Pace e Sicurezza per l’Unione Africana ha convocato un incontro che include il Sudan del Sud, il Kenya e Gibuti, ma l’aeroporto di Khartoum è stato il sito principale degli scontro tra l’RSF e l’esercito regolari, così rimane poco chiaro come i delegati dovrebbero giungere nel paese.

L’ex portavoce dell’RSF ha fatto una dichiarazione nella quale annunciava di aver perso il contatto con la sua unità e di parlare solo in proprio nome dicendo di essersi posto sotto gli ordini dell’esercito regolare. L’esercito ha anche fatto sapere che il Commando di Intelligence delle RSF si è unito alle sue fila.

Nel momento in cui scriviamo, è molto difficile capire quale fazione detenga il controllo e in quale zona. Ciò che è chiaro è che i civili sono intrappolati in un fuoco incrociato in tutto il paese.

L’avvertimento dell’esercito alla popolazione di ‘restare in casa’ ha garantito una protezione ben misera, visto l’intensificarsi di alcuni combattimenti.

Finora, sono stati registrati attacchi aerei a Khartoum, Bahri, Burri, Riad e Omdurman e sono scoppiati scontri armati in molti altri luoghi, come Karari, Port Sudan e El’Obeid. Le regioni occidentali, dove la gran parte dei miliziani delle RSF vengono reclutati, sono state anch’esse scenario di scontri significativi, in particolare nel Darfur, nel Kordofan e nella regione del Nilo Bianco.

La gente è intrappolata nelle case, nelle scuole e negli ospedali, le tentativo di fuggire i combattimenti. Ci sono interruzioni su larga scala nella fornitura di acqua e di energia elettrica a Khartoum e molte persone non riescono a procurarsi del cibo – durante il Ramadan, quando quasi tutti sono già a digiuno- e alle medicine. Sono stati registrati anche saccheggi selvaggi nei mercati e nelle case, in particolare a opera delle RSF.

Come se non bastasse, dopo che tre dipendenti del World Food Programme (Programma Alimentare Mondiale – WFP) sono stati uccisi durante una battaglia in una base militare di Kabkabiya, nel Darfur settentrionale, il WFP ha sospeso tutte le operazioni nel Paese, privando le masse sudanesi da aiuti alimentari di vitale importanza.

Huda, un residente di Khartoum intervistato dalla Reuters, ha spiegato la situazione sul campo: “Siamo spaventati, non dormiamo da 24 ore a causa dei rumori e della casa che trema. Siamo preoccupati di rimanere senza acqua, cibo e medicine per mio padre che soffre di diabete”.

 

Cinismo imperialista

Gli imperialisti hanno prevedibilmente versato lacrime di coccodrillo per l’ultimo fallimento della “transizione alla democrazia” del Sudan. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha chiesto un cessate il fuoco immediato e il ritorno ai “colloqui che sono stati molto promettenti per mettere il Sudan sulla strada di una piena transizione verso un governo a guida civile”.

“La gente in Sudan vuole che i militari tornino nelle caserme, vuole la democrazia, vuole un governo guidato da civili”.

Naturalmente, nessuna cosa del genere emergerebbe mai da un mercanteggiamento dietro le quinte con gli stessi generali dell’esercito assassini che hanno già massacrato una quantità innumerevole di persone innocenti nel loro assalto risoluto contro la rivoluzione sudanese nel 2019 e da allora contro qualsiasi parvenza di governo democratico.

La stessa assurdità è stata ripetuta dal segretario agli Esteri del Regno Unito, James Cleverly, che ha affermato che: “In ultima analisi, il futuro immediato è nelle mani dei generali che sono impegnati in questo scontro. Li invitiamo a mettere la pace al primo posto, a porre fine ai combattimenti, a tornare ai negoziati” [corsivo nostro].

Riporre qualsiasi speranza nel “lato buono” di Burhan e Hemedti è il massimo dell’ingenuità e, dalla bocca degli imperialisti, puzza anche di cinismo.

Le potenze occidentali coinvolte nella cosiddetta transizione al governo civile non hanno fatto mistero dei loro secondi fini: mantenere una presa salda sul Sudan, contenere il movimento rivoluzionario iniziato nel 2018 e respingere l’influenza dei loro rivali geopolitici.

In particolare, l’Occidente teme l’influenza della Russia nella regione. Sia Hemedti che Burhan hanno cercato di stringere legami più stretti con Putin, che avrebbe ricevuto ingenti quantità d’oro dal Sudan per sostenere lo sforzo bellico russo in Ucraina con fondi che aggirano le sanzioni occidentali.

Il gruppo di mercenari Wagner sarebbe presente in Sudan e avrebbe fornito addestramento ed equipaggiamento alle forze armate. Inoltre, i generali sudanesi hanno manifestato la volontà di permettere alla Russia di costruire una base navale sul Mar Rosso.

L’imperialismo statunitense è ansioso di porre un freno a questi legami tra il Sudan e il Cremlino, e a riguardo non si fa scrupoli a collaborare con carnefici controrivoluzionari. Un articolo del National Interest mette in chiaro la questione:

“La posta in gioco è davvero alta per gli interessi degli Stati Uniti. Per questo motivo, gli Stati Uniti devono lavorare con i leader sudanesi che hanno appoggiato l’Accordo quadro per creare una struttura di incentivi per le élite sudanesi affinché attuino l’accordo e perseguano un corso filoamericano per il Paese…”.

“Sebbene gli attori militari in Sudan e in tutta la regione abbiano una scarsa reputazione in materia di diritti umani e di gestione del potere, è fondamentale che gli Stati Uniti riconoscano quando questi attori si allineano alle politiche filoamericane e che Washington aumenti la cooperazione con loro quando lo fanno”.

Da parte loro, anche l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto si sono appoggiati a una cricca assassina o a un’altra per estendere la loro influenza e avanzare pretese sulle risorse del Sudan, in particolare sulle sue ricchezze agricole, sulle miniere d’oro e sui porti.

Il regime di El-Sisi al Cairo, in particolare, ha costantemente sostenuto gli sforzi di Burhan per schiacciare le masse sudanesi, poiché teme che un’ondata rivoluzionaria in un Paese vicino possa ravvivare la lotta delle masse egiziane contro il proprio dittatore militare.

In breve, il Sudan si trova al centro di un covo di ladri e fra imperialisti predatori, che intonano il canto delle sirene del “governo civile” e della “democrazia”, mentre allo stesso tempo trattano con i generali controrivoluzionari per spartirsi il Paese per i propri fini.

Una cosa che hanno tutti in comune è l’interesse per la “stabilità”. Naturalmente la stabilità di cui parlano si basa sulla conservazione del sistema capitalista e sul contenimento della lotta rivoluzionaria delle masse che potrebbe provocare un’ondata di insurrezioni nella regione. È soprattutto per questo motivo che collaborano con gangster come Burhan e Hemedti.

 

Tradimenti della direzione

La rivoluzione sudanese è stata tradita in ogni occasione dai suoi leader, che si sono sempre rifiutati di sostenere la necessitò di una resa dei conti finale e armata tra le masse e la classe dominante. Hanno invece optato per un accordo con i gangster capitalisti.

Gli elementi più infidi, come la FFC, sono entrati in trattative dirette con la controrivoluzione, distruggendo la loro credibilità agli occhi delle masse e aprendo la strada a una sconfitta sanguinosa del movimento.

Anche la Sudanese Professionals Association (SPA, Associazione delle Professioni sudanese, una confederazione di 17 sindacati), che ha svolto un ruolo positivo nei primi giorni della rivoluzione, è degenerata pesantemente). Il 15 aprile, l’associazione ha pubblicato una dichiarazione in cui affermava il proprio sostegno all'”accordo politico quadro” per l’instaurazione di un governo civile, messo a punto durante i colloqui con i generali:

“L’accordo quadro, e la fase finale per raggiungere l’accordo finale e la costituzione transitoria, sono una base oggettiva e accettabile per il ripristino della transizione democratica e della trasformazione civile, e sottolineiamo all’assemblea dei sindacati sudanesi il nostro impegno in tal senso”.

Ha inoltre invitato “i leader delle forze armate, dell’RSF, della polizia e dell’intelligence a compiere il loro dovere nazionale di proteggere la sicurezza interna e nazionale”.

Seminare illusioni in questa congrega di assassini per difendere la “sicurezza” e la “transizione democratica” è un palese tradimento delle masse, che per anni hanno versato il loro sangue per combattere questi mostri.

Nel frattempo, il Partito Comunista Sudanese ha rilasciato una dichiarazione che sembra prendere le parti di Burhan e delle SAF rispetto alle RSF! Chiede di “sciogliere rapidamente tutte le milizie, raccogliere le armi sparse nelle città e nelle zone rurali e ricostituire l’esercito nazionale professionale unificato” [sottolineatura nostra]!

Si tratta di una posizione assolutamente ripugnante (condivisa e approvata dal cosiddetto Partito Comunista della Gran Bretagna) che equivale a legittimare un’ala della controrivoluzione sull’altra e a raggruppare tutte le armi e il potere statale presso Burhan e il SAF.

Ironia della sorte, questi stessi personaggi sono rimasti in silenzio nel 2019, quando la necessità del momento era l’armamento delle masse e l’invito ai soldati a unirsi alla rivoluzione contro i generali.

La dichiarazione chiede inoltre: “l’unità del nostro popolo, di tutte le forze nazionali, delle forze di cambiamento radicale e dei comitati di resistenza intorno agli obiettivi della rivoluzione, ripristinando la pace, la sicurezza e la stabilità”.

Di quali forze nazionali stiamo parlando? Includono forse i vertici dell’esercito regolare? I borghesi sudanesi parassiti? Queste “forze” si oppongono direttamente alla rivoluzione. Questo è un appello all’unità (parafrasando il leader del Fronte popolare di liberazione della Palestina Ghassan Kanafani) tra la spada e il collo.

Anche gli elementi più coerenti e coraggiosi alla guida della rivoluzione, come i Neighbourhood Resistance Committees (Comitati di resistenza di quartiere), stanno ripetendo tutti i loro vecchi errori.

Un comunicato del Coordinamento dei Comitati di Resistenza a Khartoum ha ripetutamente enfatizzato la “battaglia pacifica” delle masse contro i generali, affermando che: “Abbiamo iniziato con in maniera pacifica e continueremo così per raggiungere i nostri obiettivi contro tutte le parti della guerra in corso nelle strade del Paese”.

La dichiarazione prosegue affermando che le masse devono “innalzare lo slogan ‘No alla guerra’ e non rispondere a nessuna richiesta di armare [il popolo], perché ci porteranno alla guerra civile. L’unico perdente della guerra è il popolo, quindi uniamoci per superarla”.

Ancora una volta assistiamo al fallimentare pacifismo del Coordinamento dei Comitati di Resistenza. Lo spettro della guerra civile è stato usato più volte da questi dirigenti per giustificare il loro rifiuto di armare le masse per una resa dei conti finale con i generali.

Di conseguenza, il popolo è stato vittima di una guerra unilaterale per mano della controrivoluzione, che ora rischia di trascinare il Sudan in una guerra civile tra cricche concorrenti di macellai, entrambi nemici mortali dei lavoratori e dei poveri.

 

La tragedia e i compiti che ci attendono

L’attuale situazione in Sudan avrebbe potuto essere evitata solo con una vittoria della Rivoluzione sudanese. In una parola, avrebbe significato portare avanti un’implacabile guerra di classe contro la controrivoluzione.

Ci sono state molte occasioni per armare e preparare il popolo a un’insurrezione decisiva contro i generali reazionari e prendere il potere nelle loro mani. Tutte sono state vanificate da una direzione vacillante, che si è rifiutata di fare ciò che era necessario.

Una volta ottenuto il controllo del potere, il popolo sudanese non solo avrebbe instaurato un governo democratico, ma avrebbe gettato le basi per attuare riforme radicali in ogni settore della vita: dalla sanità, all’istruzione, alle infrastrutture e così via, finanziate attraverso l’esproprio delle ricchezze illecite dell’élite sudanese e ripudiando il debito imperialista del Paese.

Sarebbe stata aperta la strada per la trasformazione socialista della società, l’unica strada per un’esistenza dignitosa e decorosa per la popolazione del Paese. Qualsiasi partito, anche su scala modesta, con un programma di questo tipo avrebbe potuto svolgere un ruolo decisivo in questi eventi. Purtroppo, questo partito non esiste.

A prescindere da chi emergerà in questa lotta intestina nello schieramento controrivoluzionario, nulla migliorerà per le masse sudanesi. Come ha detto una donna sudanese, citata sui social media:

“Loro [RSF e SAF] stanno lottando per le poltrone. Il resto di noi lotta per il cibo e l’acqua. Loro lottano per il potere, per derubare il popolo… mentre il resto del Paese lotta per il cibo, l’acqua, l’istruzione e la sanità”.

In questo momento, le masse stanno pagando un prezzo terribile per il fallimento dei loro dirigenti. Ma nonostante tutta la stanchezza e la demoralizzazione, il popolo ha continuato a marciare e a lottare fino ad oggi.

Non si può avere fiducia nella “comunità internazionale” per risolvere questa nuova esplosione di violenza, che gli imperialisti hanno contribuito a provocare. L’unica via d’uscita da questo incubo sarà la rivitalizzazione della rivoluzione sudanese, che deve imparare le lezioni delle sconfitte passate, difendersi da tutte le forze della reazione attraverso i propri organismi di lotta e liberarsi di tutti gli elementi che la ostacolano.

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