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Su i salari! Giù i profitti!

L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

La situazione economica è diventata intollerabile. Sono ormai due anni che l’inflazione divora i salari dei lavoratori italiani e nessuna contromisura è stata presa. Ci dicevano che l’esplosione dei prezzi era passeggera, ma non si vede la fine di questo incubo.
L’inflazione non è una sventura caduta dal cielo. È una conseguenza diretta della crisi del sistema capitalista a livello internazionale e delle politiche applicate in questi anni. Gli enormi piani di spesa finanziati stampando denaro sono risultati in un fiume di spese speculative che hanno fatto saltare i prezzi, a cui oggi si aggiunge l’aumento delle spese militari. La guerra, le sanzioni, il protezionismo economico aumentano i prezzi e favoriscono le rendite e i profitti a spese dei consumatori e dei salari.
La BCE e le altre banche centrali stanno alzando i tassi d’interesse nel tentativo di frenare l’inflazione, ma i prezzi continuano a correre. In compenso con queste politiche spingono l’economia verso la recessione, mentre il conto lo paghiamo sempre noi con l’aumento dei mutui e delle rate.
Non siamo tutti nella stessa barca: mentre i salari sono al palo, i profitti di diversi settori sono schizzati alle stelle. Ormai lo ammettono apertamente anche istituzioni come la BCE, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca d’Italia. Così nel 2022, mentre i salari reali calavano di almeno il 6%, i margini delle imprese sono saliti del 7%.
Sappiamo poi bene che gli aumenti peggiori dei prezzi si concentrano nei beni essenziali di largo consumo. Per chi è povero l’inflazione è peggiore. E anche quando le condizioni esterne migliorano, ad esempio coi prezzi del petrolio in calo, il prezzo della benzina o delle bollette è rapido a salire, ma molto lento a scendere.
Come se non bastasse, è arrivato il governo Meloni a metterci altre due dita negli occhi col decreto del 1° Maggio. Fanno il gioco delle tre carte con gli sgravi fiscali, dandoci qualche spicciolo già nostro (esattamente come fece Renzi con gli 80 euro), e mentre con una mano fingono di dare, con l’altra tagliano la spesa per la sanità, le pensioni, i servizi. Si accaniscono su chi sta peggio, precari e disoccupati, tagliando il reddito di cittadinanza e allargando ancora di più le maglie del precariato. In particolare i voucher, oltre ad essere un sistema di super-sfruttamento, sono anche una facile copertura per il lavoro nero.

 

Ci vuole un’offensiva generale dei lavoratori

Secondo l’INPS, i lavoratori dipendenti nel settore privato hanno una retribuzione media annua di 21.868 euro lordi (2021). 4,7 milioni di persone guadagnano meno di 10mila euro lordi l’anno; 2,7 milioni meno di 5mila euro lordi all’anno; 3,5 milioni di lavoratori sono a tempo determinato, oltre a 600mila stagionali.
La cosa più grave di fronte a questo scempio è l’immobilismo totale dei dirigenti della CGIL. Mentre in Francia, in Gran Bretagna, in Grecia, in Germania, i lavoratori scendono in campo con scioperi e lotte imponenti, qui si resta fermi da mesi a ripetere come un disco rotto che il governo ci deve ascoltare, nonostante la Meloni abbia detto in tutte le salse che non ha alcuna intenzione di trattare con i sindacati.
Dopo mesi e mesi di paralisi, CGIL, CISL e UIL hanno convocato tre manifestazioni di sabato a Bologna, Milano e Napoli. La presenza di decine di migliaia di lavoratori testimonia come ci sia la voglia di rispondere a questa situazione. Ma la distanza tra l’urgenza dei problemi e la risposta dei dirigenti sindacali rimane abissale.
Il segretario Landini dice che anche uno sciopero generale non servirebbe. No, caro Landini: quello che non serve è un gruppo dirigente sindacale che non ascolta i lavoratori, che di fronte a un padronato aggressivo e a un governo che ci provoca ogni giorno mette la testa sotto la sabbia. Quello che non serve sono mobilitazioni di facciata, senza programma, senza continuità, senza che siano i lavoratori a decidere.
La questione non è fissare una data per uno sciopero, andare in piazza un giorno e poi ripiegare, come troppe volte è stato fatto in questi ultimi dieci anni. Serve una stagione di mobilitazione generale, diffusa e articolata in tutti i settori della classe lavoratrice, con momenti di lotta unificata (inclusi, certo, gli scioperi nazionali), ma soprattutto con un lavoro capillare di organizzazione e conflitto.

 

Scala mobile, contratti, precarietà

Alla manifestazione di Milano (13 maggio) Landini ha fatto molte critiche condivisibili al governo e alla situazione sociale, dalla precarietà all’ingiustizia del sistema fiscale, ma ha mantenuto un silenzio assordante sulla questione salariale. Non una parola, su quello che è il primo, anzi il primissimo problema di cui ogni giorno milioni di persone discutono, dentro e fuori dai luoghi di lavoro.
Un sindacato che non contratta il salario, tanto più in un momento come questo, non può avere una vera credibilità fra i lavoratori. È da qui che bisogna ripartire, se si vuole dare una base solida a tutte le altre battaglie.
Ci sono quasi 7 milioni di lavoratori con i contratti nazionali scaduti, ma anche i contratti firmati negli ultimi anni non coprono minimamente l’aumento dei prezzi, non parliamo poi di aumenti reali. Ogni giorno perdiamo soldi, questa è la verità che tutti tocchiamo con mano.
È urgente lavorare a una seria controffensiva di tutta la classe lavoratrice, che parta dai luoghi di lavoro per discutere rivendicazioni all’altezza delle necessità e metodi di lotta incisivi per ottenerle.
1) È essenziale ritornare a un meccanismo automatico come la Scala Mobile, che protegga il salario reale dall’inflazione per tutti i lavoratori. Ricordiamo che a questa proposta, secondo i sondaggi, si è dichiarato favorevole l’87% degli italiani.
2) Contratti: con l’inflazione i salari hanno perso in media il 15%, ovvero ci mancano in media quasi 300 euro in busta solo per recuperare quanto abbiamo perso. Questa deve essere la base di partenza sulla quale costruire le piattaforme per i rinnovi dei contratti scaduti: recupero del salario reale e aumenti non inferiori all’inflazione.
3) Per una offensiva generale contro la precarietà, a partire dal decreto del 1° Maggio, ma anche per attaccare i veri
pilastri del precariato: la legge 30, il lavoro interinale, il sistema degli appalti e subappalti, con l’obiettivo di far tornare il contratto a tempo indeterminato il contratto di lavoro normale.
è necessario aprire una vera discussione nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro su queste rivendicazioni. Lavoriamo per fare assemblee, incontri, coordinamenti fra aziende e fra delegati, come primo passo per questa lotta. Su questa strada possiamo anche creare la compattezza e la fiducia necessaria fra i lavoratori per sostenere forme di lotta incisive, a partire da veri scioperi sia articolati che di categoria o generali, che sono chiaramente necessari per affrontare la situazione.
Sappiamo bene che i lavoratori hanno bisogno di organizzazione e di unità. Il primo passo per raggiungerle è mobilitarci dal basso e suonare la sveglia nei piani alti sindacali, dove si dorme da troppo tempo mentre le nostre condizioni sprofondano.
Il sindacato deve tornare ad essere uno strumento di lotta e di difesa dei lavoratori.

23 maggio 2023

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