23 Febbraio 2021 Claudio Bellotti

Stampare denaro: il nuovo verbo del capitale?

La Modern Money Theory diventa di moda

La Modern Money Theory, teoria monetaria moderna o Mmt, è una scuola di pensiero economico che si oppone alle politiche di austerità e a quello che è stato definito neoliberismo. Se per diversi anni ha vissuto come una specie di culto alquanto marginale, più recentemente pare essere uscita dai sottoscala conquistando spazio nel dibattito mediatico e politico.

Ne è un esempio il libro di Stephanie Kelton, Il mito del deficit, che è entrato nelle classifiche di vendita negli Usa e anche in Italia ha raccolto un certo successo. Kelton svolge il ruolo di consigliera economica per i deputati del Partito democratico Usa.

La proposta pratica della Mmt si riassume in un punto principale: il debito pubblico non è un problema in quanto uno Stato sovrano può sempre emettere tutta la moneta di cui ha bisogno per finanziare le proprie spese.

La proposta di espandere il debito statale viene legata a obbiettivi di giustizia sociale: sanità pubblica universale, abolizione del debito studentesco, politiche ambientali. La Mmt in particolare propugna la cosiddetta job guarantee, la proposta di un lavoro pagato dallo Stato per tutti i disoccupati che ne facciano richiesta.

Va subito detto che tra la parte teorica della Mmt, la sua analisi della moneta e del debito, e la sua parte “prescrittiva”, le misure di politica sociale che propugna, non c’è alcun legame obbligatorio. Del resto già Keynes, che resta comunque un riferimento obbligato per tutte le scuole di pensiero riformista, segnalava che dal punto di vista economico era indifferente che le sue ricette venissero impiegate per produrre burro o cannoni.

La Mmt rientra quindi nella produzione letteraria che dopo la crisi del 2008 si sforza di indicare delle strade per curare il capitalismo dai suoi mali più evidenti, senza però metterne in discussione la struttura e senza lotta di classe. Da questo punto di vista potrebbe essere tranquillamente archiviata come una delle tante utopie riformiste.

 

Esplodono i bilanci delle Banche centrali

A motivare l’interesse tuttavia c’è un dato obiettivo: le politiche di austerità, il dogma dei bilanci pubblici in pareggio e in generale tutto l’armamentario politico e ideologico della fase liberista sono ormai finiti in soffitta. Ovunque la classe dominante si dedica a spendere e spandere. Il patto di stabilità nell’Ue è stato sospeso, di fatto sine die, gli Stati stanziano cifre astronomiche per sussidi di ogni tipo nel tentativo disperato di arginare la crisi.

Ancora più importante è il fatto che tutte le principali banche centrali del mondo stiano pompando incessantemente denaro nell’economia, acquistando titoli di tutti i tipi, pubblici e privati, in cambio di denaro sonante. Così se il bilancio della Federal Reserve ha superato i 7.000 miliardi di dollari (oltre un terzo del Pil), quello della Bce supera il 60 per cento del Pil, e quello della Banca centrale giapponese è oltre il 130 per cento.

Non è questa la sede per trattare le basi teoriche della Mmt, che erroneamente considera la moneta come una semplice misura di conto il cui valore è stabilito arbitrariamente dallo Stato, non riconoscendo il fatto che essa è una merce e, nella società attuale, è anche capitale e che questo in ultima istanza ne determina il valore.

Il successo o meno di una teoria del resto non dipende solo dalla sua coerenza interna, ma dal fatto di rappresentare determinati interessi reali che operano nella società, e in questo senso la Mmt ha uno spazio non per le sue prediche riformiste, ma perché corrisponde a un’evoluzione reale del capitalismo odierno.

A parole, i suoi propugnatori non negano i due rischi impliciti nella loro proposta, ossia 1) il rischio inflazionistico derivante dall’espansione della base monetaria e 2) Il rischio del crollo di una valuta sul mercato internazionale.

Sul primo pericolo Kelton risponde alquanto vagamente che fintanto che esiste una forte disoccupazione, redditi bassi e bassi investimenti, la domanda di beni difficilmente sarà tale da spingere a un rialzo generale dei prezzi. Alla peggio, scrive, si possono alzare un po’ le tasse per “raffreddare” l’economia.

 

Un’altra veste del “sovranismo”?

Ma è il secondo punto ad assumere centralità. La Mmt si applica, come ripete decine di volte il libro della Kelton, a chi detiene la sovranità monetaria. In realtà è chiaro leggendo il suo libro che tutta la prospettiva è riferita alla condizione degli Stati Uniti, paese detentore della valuta di riferimento degli scambi mondiali. Non a caso sostiene che l’abbandono nella parità aurea del dollaro (gold standard) nel 1971 è stata una grande conquista per l’economia a stelle e strisce.

In questa prospettiva la Mmt, o perlomeno la logica che ne è alla base, può assumere il senso di una nuova interpretazione della lotta che il capitalismo Usa deve condurre per difendere la propria egemonia oggi minacciata. Negli anni ’90 e 2000 questa lotta si è condotta con l’apertura estrema dei mercati per merci e capitali. Questa fase di libero scambio è finita violentemente con la crisi del 2007-2008, alla quale, dopo pochi anni, è subentrata la fase protezionista alla quale Trump ha dato un’espressione consapevole.

Tuttavia l’interpretazione di Trump è stata confusa e unilaterale, concentrandosi unicamente sui saldi commerciali. Una visione “neomercantilista” che si è affidata, senza grandi risultati, ai dazi su beni e servizi o alle sanzioni mirate su determinati settori dell’economia.

Kelton viceversa sostiene che gli Usa possono e devono continuare ad assorbire ricchezze dal resto del mondo facendosi forza del dollaro e applicando il controllo non tanto ai movimenti internazionali delle merci, ma a quelli del capitale.

Il cerchio qui si chiude e il tanto vituperato “sovranismo” si ripresenta in una forma più compiuta. C’è un parallelo con le proposte sul Green New Deal (che non a caso la sinistra Usa e la stessa Kelton associano alle loro ricette economiche), che da posizioni eccentriche circoscritte a un settore del mondo ambientalista, sono via via impugnate da settori centrali della classe dominante come strumento di competizione economica. Non ne nascerà un pianeta più pulito e vivibile, ma semplicemente una nuova gerarchia del potere industriale.

Allo stesso modo dalle teorie sulla sovranità monetaria propugnate dalla Mmt non nascerà una maggiore giustizia sociale, ma una diversa tappa nello scontro mondiale fra capitali. Con buona pace dei riformisti di mezza Europa, persi a combattere una lotta al “neoliberismo” che non esiste più da un pezzo.

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