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Spagna – La lotta dei portuali: “Nessun passo indietro!”

Negli ultimi cinque anni, la Spagna è stata scossa da grandi movimenti che hanno sconvolto il panorama politico e sociale del paese, e nei quali la classe lavoratrice ha giocato un ruolo centrale. Se nel 2012 la lotta dei minatori focalizzò l’attenzione del paese e diventò un punto di riferimento per milioni di giovani e lavoratori, adesso i portuali stanno organizzando una lotta che ha il potenziale di sconvolgere la società spagnola.

Il 6 marzo comincerà uno sciopero di nove giorni (non consecutivi) contro una riforma del settore portuario promossa dal governo di destra di Rajoy. Questa riforma prevede la distruzione dei diritti e delle condizioni dei portuali, liberalizzando i licenziamenti. Attualmente, le contrattazioni dei portuali sono gestite attraverso società di lavoratori, che ripartiscono l’impiego e garantiscono le condizioni dei portuali, fornendo una certa stabilità in un settore la cui la domanda fluttua molto. Questa riforma ha l’intenzione di smantellare queste società, stabilendo un sistema in cui i lavoratori saranno contrattati direttamente dalle aziende su base individuale. Le aziende portuarie potranno licenziare fino a un 75% dei loro dipendenti dopo tre anni.

Sin dall’inizio la controriforma è stata accompagnata da un’offensiva mediatica isterica e sistematica contro i portuali, che sono stati trattati da privilegiati. L’obiettivo di questa campagna è di minare le simpatie del resto dei lavoratori spagnoli verso i portuali e recedere i legami di solidarietà di classe, isolando lo sciopero. In realtà, questo settore è tutt’altro che privilegiato. I portuali hanno un salario base di circa 1000€ mensili, che integrano con ore di strairdinario. La natura di questo lavoro fa che ci siano periodi di attività frenetica, quando arrivano grandi carici e i lavoratori sono messi sotto pressione per scaricare le navi il più presto possibile. Spesso, i portuali lavorano 10 o 12 ore senza pausa. È anche un settore contraddistinto dagli infortuni. Nell’anno 2016 sono morti tre portuali nel loro posto di lavoro.

La risposta dei portuali è stata veloce e contundente. Organizzati dalla combattiva Coordinadora estatal de trabajadores del mar, ma anche dalle grandi centrali sindacali, Ugt e Ccoo, che hanno sostenuto l’appello allo sciopero, i portuali si sono mobilitati massicciamente in tutti i porti della Spagna, soprattutto ad Algeciras e Valencia. Hanno raccolto la solidarietà internazionalista di diversi sindacati portuali di altri paesi, dall’Australia al Cile, che hanno inviato delegati in Spagna. Infatti, la International Dockworkers’ Council prevede diversi scioperi in solidarietà con i portuali spagnoli durante le prossime settimane. Il governo e i padroni temono le conseguenze di questa lotta. Un 86% delle esportazioni spagnole e un 65% delle importazioni passano attraverso le mani dei portuali. In un paio di giorni possono paralizzare l’economia del paese. Di fronte a questa minaccia, il presidente dell’Associazione degli imprenditori di Valencia ha richiesto l’intervento dell’esercito.

Ma il vero pericolo per la borghesia risiede in un possibile effetto domino. Dopo due anni di stagnazione relativa delle lotte e le mobilitazioni dopo i grandi movimenti del 2011-2014, le ultime misure del governo sono state vere e proprie provocazioni. La loro arroganza si può scontrarsi molto presto con la realtà. La pressione dal basso si è resa in evidenza con la decisione del PSOE (il cui sostegno è necessario per il governo) di votare in contro questa riforma. Il compito è di sviluppare i legami di solidarietà ed organizzare attraverso i sindacati e i partiti di sinistra una grande marcia a Madrid come quella dei minatori nel 2012, che rilanci le lotte e abbia lo scopo di rovesciare il marcio governo Rajoy e il sistema capitalista che lo sostiene.

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