Si riparte dai metalmeccanici

Mercoledì 20 aprile scendono in piazza i lavoratori metalmeccanici per uno sciopero di 4 ore. Le trattative sul rinnovo del contratto si sono interrotte, l’arroganza del padronato è totale.
Federmeccanica lo ha scritto nero su bianco: il contratto nazionale non deve più garantire aumenti per tutta la categoria, ogni elemento di difesa comune dei lavoratori deve essere frantumato e se ci saranno aumenti saranno elargizioni a livello aziendale in funzione degli obiettivi di impresa.
Anche nel pubblico impiego, la prepotenza del governo è la stessa. Il rinnovo del contratto è fermo da sei anni, i lavoratori hanno perso 7mila euro. Nella legge di stabilità per i dipendenti pubblici ci sono ben… 8 euro di aumento medio mensile! Oltre il danno, la beffa. Scioperi in diverse regioni stati organizzati anche in questo settore.
L’elezione di Vincenzo Boccia a Presidente di Confindustria conferma la vittoria delle posizioni oltranziste nel fronte padronale. Renzi conferma andando in Tv a tessere le lodi di Marchionne e ad attaccare nuovamente il sindacato.
La ministra Boschi ha dichiarato recentemente che il governo è “vittima dei poteri forti”. Non è una battuta, solo segnale della totale mancanza di vergogna di cui l’esecutivo Renzi è campione incontrastato.
La verità è che raramente nella storia della Repubblica italiana un governo è stato espressione diretta delle volontà del capitalismo quanto quello attuale.
Lo rivela lo scandalo trivelle, che ha costretto alle dimissioni Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico. La multinazionale del petrolio propone e il governo dispone, basta una telefonata.
Lo evidenzia il Jobs act, un vero e proprio affare per i padroni. Il costo delle esenzioni fiscali concesse dalla legge nel triennio 2015-17 si aggirerà a seconda delle riconferme dei contratti tra i 14,5 e i 22 miliardi. Ogni “occupato” in più costerà ad ogni contribuente tra i 25mila e i 50mila euro. Il tutto per un aumento di contratti a tempo indeterminato nel 2015 di circa 114mila unità! (la Stampa, 3 aprile 2015)
Lo ribadisce l’acredine verso i pensionati. Il problema dell’Italia sarebbero il mezzo milione di persone che percepisce una pensione da 36 anni. Poco importa che il 63% di tali assegni siano inferiori ai 750 euro mensili. Insomma: pensionati, vivete troppo a lungo!
Il vero scandalo di questo sistema lo abbiamo invece sotto gli occhi proprio in questi giorni. I Panama papers ci ricordano che nei paradisi fiscali immense sono depositate immense ricchezze, sottratte a ogni controllo dai potenti della terra. Quante? La cifra esatta è quasi impossibile da calcolare. Tax justice network, una rete indipendente di analisti, stima che siano circa 7.600 i miliardi di dollari sottratti al fisco a livello mondiale! (the Guardian, 6 aprile).
Il primo ministro islandese, possessore di un conto off shore, si è già dovuto dimettere a causa proteste di piazza. Altre teste cadranno, ne siamo sicuri.
Ma la novità più importante è fornita dagli avvenimenti francesi. Lo sciopero generale del 31 marzo ha paralizzato il paese: un milione e 200mila persone sono scese in piazza in 250 città diverse. I lavoratori e i giovani non hanno nessuna intenzione di fare marcia indietro fino al ritiro della “loi travail”, un provvedimento molto simile al Jobs act, che innalza la l’orario di lavoro legale fino a 12 ore al giorno e 60 ore la settimana, e dimezza le sanzioni per chi licenzia ingiustamente.
“La borghesia ci tratta come dei cani. È arrivato il tempo di mordere”, recitava un cartello improvvisato in una delle piazze dello sciopero generale. La frustrazione quotidiana per i soprusi e l’arroganza dei padroni, dei presidi, del governo, dello Stato ha trovato in questo movimento il proprio sfogo nella lotta collettiva.

A novembre, dopo gli attentati di Parigi, la Francia sembrava preda della reazione nera. Reazione di Stato, con le leggi di emergenza, e reazione “di massa”, con l’ascesa elettorale del Front National. E tanti intellettuali “progressisti” piangevano lacrime sul “fascismo che sommerge i valori europei”.
È vero, lo scorso dicembre il Front national nelle elezioni regionali aveva ottenuto i migliori risultati della sua storia. È vero, metà dei francesi non era andata a votare. Ma qual era l’alternativa? Appoggiare il Partito socialista, principale responsabile delle politiche d’austerità e delle leggi repressive, come l’imposizione dello Stato d’emergenza dopo gli attentati di Parigi? Votare il Partito comunista, più interessato a mendicare una poltrona a Hollande che a dare ascolto alle ragioni degli oppressi?
Oggi il movimento di massa spazza via tutte queste chiacchiere. Lo stato d’emergenza è solo un pezzo di carta e le piazze ribollono di giovani combattivi!
L’esempio francese parla anche a noi, di come gli attacchi ai nostri diritti e alle nostre condizioni di vita siano gli stessi. Di come sia simile l’arroganza padronale e dei governi.
La risposta deve essere la stessa. Se in Italia non si è ancora verificata, è da addebitarsi alla pavidità dei vertici sindacali e alla scomparsa di una sinistra degna di questo nome. Questi primi appuntamenti di lotta, dunque, non devono restare un fuoco di paglia, come fu la manifestazione di Roma del 25 ottobre 2014 o lo sciopero del 5 maggio contro la buona scuola.
Dallo sciopero dei metalmeccanici si può ripartire, a precise condizioni. La lotta deve essere di lunga durata e organizzata; deve dotarsi di un programma che non lasci spazio a compromessi al ribasso e che metta in discussione il sistema capitalista.
La Francia indica la strada, anche per noi è arrivato il tempo di mordere e di riprenderci quello che ci è stato tolto!

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