Scuole e centri estivi: Confindustria chiama, Bonaccini prepara i lazzaretti
Il governatore della Regione Emilia-Romagna è capofila tra quelli che vogliono aprire tutto e ora: “Se ripartono le imprese, non possono non ripartire anche i servizi. Ho scritto al ministro Azzolina per denunciare questa mancanza”. Senza giri di parole Bonaccini spiega che le imprese devono ripartire per fare profitti, e i lavoratori genitori devono essere liberi dall’“incombenza” dei figli a carico. Se corri il rischio di prendere il coronavirus per andare a lavoro, perché non può correrlo anche tuo figlio o un tuo caro per andare al nido, a scuola o al centro estivo? Dobbiamo rigettare in blocco questa logica cinica, senza se e senza ma!
Il sindaco di Bologna in alcune interviste dice che non bisogna avere fretta di aprire, ma quello che si legge in questi giorni nei giornali sembra su tutt’altra strada. Infatti, il presidente dell’Istituzione Educazione e Scuola (Ies) del Comune di Bologna Paolo Marcheselli, rilascia un’intervista in cui dice che i centri estivi non bastano perché se ne parla solo dopo giugno. Quindi? “Almeno per i bambini dai 2 ai 6 anni, noi siamo pronti a riaprire i servizi educativi già da maggio”. Poi parla di un’ipotesi di apertura dei centri estivi anche ad agosto, con il coinvolgimento delle cooperative, che sottolineiamo hanno lavoratori sottopagati, e del terzo settore, vedi associazioni ecclesiastiche e non che spesso usano volontari anziché personale pagato e professionale.
Quello che ci stanno dicendo queste ipotesi della Regione Emilia Romagna e di vari comuni, è che i padroni hanno fretta di riaprire le fabbriche e le istituzioni devono svolgere il loro compito di supporto. Non interessa se ancora i morti giornalieri di Covid-19 superano le 400 persone: sembravano tutti scandalizzati qualche settimana fa dalle parole di Trump o Boris Johnson sull’“immunità di gregge”, eppure oggi questo è quello che si apprestano a fare.
I servizi educativi non devono riaprire. Impossibili sono il distanziamento sociale tra i bambini e la relazione adulto-bambino con mascherine o altri dispositivi, perché lavorare con l’infanzia significa costruire una relazione di fiducia con contatto corporeo ed emotivo. Ci hanno formato per anni su linee pedagogiche di questo tipo, ora che Confindustria lo chiede va tutto nel dimenticatoio. Senza contare il fatto che il lavoro degli educatori d’infanzia nella normalità si basa su una cura meticolosa della salute dei bambini per la fragilità e la rapidità della trasmissione delle malattie di questa fascia di età. In questa situazione di emergenza, con un virus aggressivo in circolazione, lavorare con l’infanzia significherebbe essere sottoposti a uno stress impressionante e a un allarme continuo.
Dobbiamo essere chiari: non vogliamo diventare badanti per gli interessi dei padroni! Se aprono i servizi significa che aprono dei veri e propri focolai di contagio del virus, in altre epoche avrebbero usato il termine “lazzaretti”. Si dice che dobbiamo sostenere le famiglie che sono costrette ad andare a lavorare. Bene, per questi signori aiutarle significa che un lavoratore o una lavoratrice non solo deve preoccuparsi della propria salute nel posto di lavoro, ma deve svegliarsi quotidianamente con l’ansia di suo figlio mandato in un centro con chissà quale rischio per la sua salute. I lavoratori devono tirare proprio un bel sospiro di sollievo!
Noi crediamo che l’unico modo per aiutare i genitori sia garantire congedi parentali retribuiti al 100% e fino a fine contagio. Nient’altro è un vero e proprio servizio alle famiglie.
Apprendiamo in queste ore che in Francia, genitori, docenti, educatori e sindacati, con la minaccia dello sciopero hanno fermato i tentativi di Macron e della confindustria francese di aprire le scuole dall’11 maggio. Ebbene, anche in questo caso la Francia indica la strada: anche in Italia lo slogan deve diventare “Se aprite scioperiamo! La salute prima del profitto!”.
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