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Sciopero generale? È ora di fare sul serio!

Il 22 giugno, con la manifestazione nazionale per il sud a Reggio Calabria, si è concluso un percorso di mobilitazione di Cgil Cisl Uil cominciato con la manifestazione nazionale del 9 febbraio a Roma. Questi cinque mesi hanno visto il coinvolgimento di quasi tutte le categorie con manifestazioni nazionali o scioperi, dagli edili agli agroalimentari, dai pensionati ai lavoratori dei multiservizi.

L’8 giugno avevano manifestato i dipendenti pubblici mentre il 14 c’è stato lo sciopero nazionale dei metalmeccanici con tre manifestazioni significative a Milano, Firenze e Napoli.

Per il 24 e 26 luglio sono convocati ulteriori scioperi nei trasporti contro il disimpegno del governo dal settore.

Nelle parole di Landini: “È la conclusione di una prima fase di grandi lotte (…), rilanciamo la mobilitazione (…), ci prendiamo un impegno preciso: andiamo avanti fino a raggiungere l’obiettivo”.

La prospettiva dello sciopero generale è stata più volte posta nei comizi e negli interventi dei dirigenti Cgil.

Questa volta, noi diciamo, è necessario che i fatti seguano le parole.

La necessità di una mobilitazione dei lavoratori è sotto gli occhi di tutti: crisi occupazionali, stallo dei salari, aumento dei morti sul lavoro, minaccia di nuove manovre economiche a danno dei servizi pubblici.

I lavoratori lo sanno, e la speranza che il “governo del cambiamento” possa risolvere i problemi si consuma ogni giorno di più.

Ma non basta elencare problemi o criticare il governo: i lavoratori si domandano se qui si fa sul serio o se i dirigenti sindacali stanno solo schierandosi in un balletto parlamentare lontano dai loro veri bisogni.

 

Ascoltare la piazza!

Le iniziative hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di lavoratori, in alcuni casi ben al di là delle aspettative. Positiva anche la presenza di giovani delegati, spesso al loro primo sciopero o manifestazione. Tuttavia scioperare non è stata certo una scelta facile. Adesioni forti, a volte unanimi, dove ci sono dure vertenze contro licenziamenti e chiusure (Whirlpool su tutti), o in realtà dove c’è stato un serio investimento nel rapporto tra delegati e lavoratori. In altri casi dalle aziende arrivavano rappresentanze di un settore attivo, ma non dell’insieme della classe.

Lo stato d’animo è composito: si chiede al sindacato di agire, ma non sono certo dimenticati gli scorsi anni di ritirate e cedimenti. Come potrebbe non essere così visto che l’ultimo sciopero generale è stato nel dicembre 2014 contro il Jobs act, quando la legge era già stata approvata in Parlamento? Né è stato perdonato l’abbandono della lotta contro la “Buona scuola”.

La critica (e le residue speranze) verso i partiti di governo non hanno fatto dimenticare ai lavoratori cosa ha fatto il Pd al governo. Riassume bene il punto uno slogan sentito nello spezzone della Fiom Toscana: “Renzi c’hai tolto (intervallato da un “c’hai rotto”) l’articolo 18, Di Maio che aspetti, perché non lo rimetti?”
.

Si percepiscono due opinioni prevalenti tra i lavoratori, per nulla in contraddizione tra loro. La prima: “Cari dirigenti sindacali (soprattutto Cgil) di voi ci fidiamo poco: perché con i governi di prima non avete fatto nulla?”; la seconda: “È il momento di fare sul serio, se lottiamo davvero, persino proclamando lo sciopero generale come dite, noi ci siamo.”

 

Salari e occupazione: quale piattaforma?

La piattaforma ufficiale chiede risorse pubbliche, investimenti per rilanciare la produzione industriale, il rinnovo dei contratti nazionali, la riduzione della tassazione per i redditi bassi, la garanzia dello stato sociale, la riforma della legislazione sulle pensioni. Rivendicazioni generiche, moderate e che in molti punti mostrano l’illusione di poter trovare delle convergenze con Confindustria per fare pressione sul governo.

È necessario invece elaborare una piattaforma molto più netta sui due terreni che sono al centro delle preoccupazioni dei lavoratori: condizione salariale e incertezza sul futuro occupazionale.

Sono aperte centinaia di vertenze per crisi industriali, attualmente circa 160 di esse sono sul tavolo al Mise mentre la produzione industriale e i consumi sono in netto calo. Sono scaduti, o in via di scadenza, contratti nazionali di milioni di lavoratori nel paese. Tra i più importanti, i contratti dei pubblici, della scuola e dei metalmeccanici, del commercio…

Le crisi aziendali stanno ormai fioccando: Whirlpool, Mercatone Uno, e tante altre meno note alle cronache come Husqvarna (Lecco), Unilever (Verona), ecc., per non parlare di Ilva e Alitalia. Su questo terreno il sindacato è fermo a contrattare ammortizzatori sociali (sempre più esigui), ricollocazioni e “gestione” di esuberi.

Ma se vogliamo salvare i posti di lavoro e il patrimonio tecnico e produttivo l’unica strada è mettere al centro della mobilitazione, oltre a misure come la riduzione dell’orario di lavoro, la rivendicazione dell’esproprio e della gestione dei lavoratori degli impianti a rischio di chiusura. Troppe volte abbiamo visto i lavoratori presidiare per giorni e settimane aziende che ormai erano diventate delle scatole vuote, mentre profitti, prodotto e macchinari avevano già preso il volo. Le chiacchiere di Di Maio su questo hanno già dimostrato di essere aria fritta.

Per quanto riguarda i salari, bisogna rompere con la contrattazione a perdere che ha segnato la gran parte dei rinnovi contrattuali. Adesso si parla di crisi, ma i profitti negli anni scorsi ci sono stati eccome, e sono finiti tutti in tasca ai padroni. Aumenti consistenti, in paga base, che affrontino anche la condizione di circa tre milioni di lavoratori in condizioni di sottosalario, devono essere al centro delle piattaforme per i rinnovi.

Il fatto che il governo sia profondamente diviso è un elemento che deve favorire la mobilitazione. I 5 Stelle sono lanciati in una disperata rincorsa al consenso operaio, schiacciante un anno fa e oggi in gran parte riversatosi nell’astensione. Promettono mari e monti, dal salario minimo legale al ritorno in mano pubblica di Autostrade, fanno la faccia cattiva alle multinazionali come Arcelor o Whirlpool.

Tutto questo è sostanzialmente una sceneggiata, ma non è questo l’importante. Il punto è che sono vulnerabili e se i lavoratori si mobilitano con decisione possono essere piegati a fare concessioni.

L’autunno che si prepara può finalmente invertire la rotta per la classe lavoratrice, a questo dobbiamo lavorare incalzando Landini e tutti i dirigenti sindacali a passare finalmente dalle parole ai fatti.

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