27 Ottobre 2021 Arianna Mancini

Sanità pubblica – L’emergenza dopo l’emergenza

Nonostante trent’anni di tagli, che hanno prodotto sottorganico, riduzione di posti letto, impoverimento della medicina territoriale, il ruolo del Servzio sanitario nazionale nel fronteggiare la pandemia è stato centrale e l’emergenza ha riaperto il dibattito sulla sanità pubblica. Oggi secondo il “Network delle regioni” il 77% degli italiani promuove il Ssn, sia pure con una variabilità significativa da regione a regione.

Ma l’emergenza della pandemia ha generato un calo drammatico di tutte le altre prestazioni, che solo ora inizia ad emergere nei dati.

Secondo un rapporto dell’azienda Iqvia, nel 2020 si è registrato un calo dell’accesso a diagnosi e cure nelle principali aree terapeutiche rispetto al 2019. Per le patologie respiratorie e cardio-metaboliche si evidenzia un calo di nuove diagnosi (-13%), nuovi trattamenti (-10%) e visite specialistiche (-31%).

Per i pazienti oncologici le diagnosi sono calate del 10% (-30.000), i nuovi trattamenti del 13%, e gli interventi chirurgici e i ricoveri complessivamente del 34%.

Secondo il Censis, tra il 2019 e il 2020, ci sono stati 46 milioni di visite specialistiche e accertamenti diagnostici in meno (-31%).

La fragilità di un Ssn devastato dai tagli ha prodotto una scelta politica criminale: con la pubblicazione delle Linee di indirizzo per la rimodulazione dell’attività programmata differibile in corso di emergenza da Covid-19, firmate da Speranza, si faceva una scelta precisa: rinviare e sospendere ricoveri e visite, abbandonando i pazienti invece di approntare un piano di rinforzo dell’organico e di misure volte a tutelare la salute di pazienti e operatori.

L’incredibile risultato è che durante una pandemia il Ministero della salute, tra mancati ricoveri e prestazioni specialistiche ha risparmiato 3,7 miliardi di euro! (dati Corte dei Conti).

Le misure peraltro non erano diversificate da regione a regione, mentre sappiamo che la pandemia ha avuto un impatto differenziato sul territorio nazionale.

In questo panorama un ruolo centrale, in termini di prevenzione, informazione e orientamento, dovrebbero giocarlo i medici di base, ma anche qui le carenze sono gravi: secondo la Sisac 1,5 milioni di italiani sono privi del medico di fiducia (dato basato su sole otto regioni).

L’emergenza non ha insegnato nulla alla classe politica: in Lombardia, dove l’allarme è più grave, le 786 sedi vacanti messe a concorso a giugno, non sono ancora state assegnate e con 3.000 medici di famiglia in meno rispetto al 2013 e 35.200 pensionamenti entro il 2027, le facoltà di medicina restano a numero chiuso.

Ci aspetta dunque una nuova emergenza. La sanità pubblica necessita di un piano di investimenti massiccio (almeno 37 miliardi) che si accompagni a misure drastiche: ripubblicizzazione della sanità privata, massiccio piano di assunzioni e stabilizzazioni, adeguamento salariale e sviluppo della medicina territoriale.

Per farlo è necessaria una grande mobilitazione dei lavoratori della sanità che sappia aggregare attorno a sé diversi settori sociali, dagli studenti agli utenti, e che rivendichi un cambiamento generale, perché per cambiare una parte è necessario cambiare il tutto!

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