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Sanità in Lombardia – Si scrive privato, si legge strage

Trapelano in questi giorni le ammissioni del Governo che già da inizio gennaio sapeva che la pandemia in Italia ci sarebbe stata, preferendo tacere e muovendosi a tentoni, invece di intervenire prontamente per evitare le tristi conseguenze che già conosciamo. E nel mezzo della bufera, la Lombardia, col numero più alto di vittime, demolisce la favoletta della tanto sbandierata “eccellenza lombarda”.

A Bergamo l’epidemia è fuori controllo

…è il grido di allarme lanciato da alcuni medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in piena emergenza, quando cioè il numero dei contagiati cresceva in maniera esponenziale. In una lettera del 21 marzo indirizzata al New England Journal of Medicine gli operatori denunciarono pesantemente lo stato di abbandono in cui si son ritrovati ad operare quando gli ospedali di tutta la bergamasca erano ormai vicini al collasso, con il personale sanitario stremato, la carenza di attrezzature mediche, i malati parcheggiati nei corridoi per terra in attesa di cure, mentre i feretri venivano trasportati di notte da camionette dell’esercito perché ormai obitori e cimiteri erano strapieni. Una situazione che si sarebbe potuta evitare, anche in un contesto difficile di pandemia, facendo da subito tamponi a tutto il personale sanitario e prevedendo cure presso il domicilio, dove sono morte in solitudine migliaia di persone.

Quando nell’ospedale di Alzano Lombardo vennero accertati i primi due casi positivi al Coronavirus nulla venne fatto, non venne chiuso, se non per qualche ora, non venne sanificato, né furono isolati i malati positivi. E così dal 23 febbraio, in una sola settimana, in Val Seriana il numero dei contagiati salì a 220. A livello istituzionale non venne prevista alcuna zona rossa, mentre a Codogno erano bastati poco più di 50 contagi per decretarla tale. Facile immaginare come con tutte le attività produttive in funzione, in meno di un mese quei due casi positivi balzarono a 10.000!

I sindaci da una parte venivano rassicurati dalla Prefettura che le città sarebbero state isolate, con tanto di esercito che si aggirava per fare sopralluoghi e con l’unità di crisi già convocata, e Conte dall’altra in televisione annunciava la zona Arancione, per tutta la Lombardia. Intanto Fontana e Gallera, che avrebbero potuto autonomamente istituire la zona rossa, così come avvenuto in altre Regioni, pensarono bene di lavarsene le mani.

Quello che in realtà è accaduto è che Governo e Regione Lombardia hanno ceduto alle pressioni di Confindustria che già nei primi giorni dell’allarme si era messa in moto con tanto di spot per rassicurare gli investitori stranieri: “tutte [le nostre imprese] andranno avanti con i loro affari come sempre.”, mentre Confindustria Lombardia invitava i suoi iscritti a divulgare l’hashtag “Yes, we work”.

C’è da dire che nella bergamasca Confindustria ha un grande peso: vi sono circa 95mila aziende operanti, buona parte legate storicamente in affari con la Cina, e solo tra Nembro ed Alzano 376 di esse occupano circa 4mila lavoratori. Nella lista delle maggiori aziende c’è la Tenaris, multinazionale che produce tubi e servizi per l’industria del petrolio e del gas, con un fatturato da 7,3 miliardi di dollari e più di 1.700 dipendenti nella sola fabbrica di Dalmine, vicino Bergamo. Appartiene alla famiglia Rocca, la stessa che ha in mano il multicolosso della sanità privata Humanitas, quello che in piena emergenza Coronavirus ha chiuso il centro prelievi del sangue, scaricando l’onere sulle strutture pubbliche. Poi c’è Brembo di una famiglia molto influente in Confindustria, i Bombassei, con tre stabilimenti nella bergamasca che occupano 3mila dipendenti su 11mila totali, 2,6 miliardi di euro di fatturato. E, tra le più influenti, c’è poi Persico, con 400 dipendenti che costruisce tra l’altro componenti per scafi per barche come Luna Rossa, che gli assicura fatturati per circa 130milioni di euro all’anno. La sua sede è proprio a Nembro, comune con il triste primato di maggior contagiati in Europa, il cui sindaco, in un’intervista a Report, ha dichiarato di aver ricevuto numerose pressioni proprio da parte del patron Pierino Persico, il quale scongiurava la zona rossa per non perdere commesse, quindi profitto.

E così, da una parte i padroni della bergamasca facevano pressioni ai sindaci e a Confindustria, che a sua volta le faceva ai vari Governi locali e nazionali per non chiudere le attività produttive, mandando di fatto i lavoratori al macello, senza curarsi delle necessarie misure di sicurezza, in alcuni casi addirittura impossibili da attuare, come han dichiarato gli stessi operai della Tenaris, e senza dispositivi di protezione: “Mascherine ci sono state i primi giorni poi son terminate. Sanificanti c’è stato dato il Vetril.

Servono fatti, non miracoli!

Stiamo facendo la storia“, diceva il governatore Fontana il 31 marzo a proposito dell’inaugurazione del nuovo ospedale in Fiera a Milano, costato oltre 21 milioni di Euro, attraverso circa 1500 donatori. Quello per cui era stato chiamato Bertolaso a guidare i lavori, che avrebbe dovuto rappresentare il miracolo italiano e progettato per ospitare dapprima 600 pazienti, passati poi dopo varie stime a 205, fino ai 24 letti di terapia intensiva effettivamente inaugurati ed una ventina di ricoverati ad oggi. Attualmente al posto dei circa 1000 operatori sanitari previsti, ve ne sono appena 50 trasferiti da altri ospedali, su base volontaria.

L’ospedale in Fiera non è servito” ha dovuto ammettere Gallera, che però ovviamente si guarda bene dal fornire alcuna prospettiva su cosa ne sarà a emergenza finita. Quello che più probabilmente avverrà, trattandosi di una struttura completamente slegata dal resto dell’ospedale, quindi inutile per garantire diagnosi multiple e integrate, è che verrà smantellato. L’ennesimo sperpero di milioni di euro usati per finanziare operazioni di facciata e per gonfiare tasche già piene di imprenditori e faccendieri. Uno schiaffo in faccia rispetto al collasso in cui si è ritrovata la sanità pubblica che di quei soldi avrebbe potuto beneficiare per ristrutturare alcuni dei tanti padiglioni abbandonati degli ospedali lombardi, ed in generale per investirli in tutto ciò che è risultato drammaticamente carente in questa emergenza.

Rsa, bombe ad orologeria

In un contesto già compromesso, il malaffare ha colpito pesantemente le residenze per anziani, ovvero la parte di popolazione non autosufficiente più fragile e soggetta a contrarre il virus, a partire dal Pio Albergo Trivulzio di Milano (la cosiddetta Baggina), che dopo 30 anni da Tangentopoli torna a far parlare di sé, con l’attuale direttore generale, Giuseppe Calicchio, volto amico in Regione Lombardia del leghista Stefano Bolognini, sotto accusa per epidemia colposa ed omicidio colposo.

Una tragedia annunciata se si considera la già irregolare situazione nella maggior parte delle Rsa su tutto il territorio nazionale (una su tre) e che vede ancora il governatore Fontana responsabile dell’elevatissimo numero di decessi avvenuto in queste strutture. Il governatore lombardo, invece di potenziare il sistema sanitario pubblico, attraverso investimenti e occupazione, ha ben pensato l’8 marzo di emanare una delibera con cui chiedeva alle strutture per anziani di ospitare pazienti Covid dimessi dagli ospedali.

A queste strutture, già mangiatoie di rette dalle astronomiche cifre, veniva garantito un lauto compenso giornaliero di 150 euro, pagato ovviamente con la cassa pubblica regionale.

In tutto ciò, il Pat doveva solo fungere da centro di ‘smistamento’ nelle diverse strutture per anziani. Secondo quanto emerso dalle varie denunce del personale sanitario, invece, non solo il Pat ha preso in carico pazienti dimessi dagli ospedali, ma, così come avvenuto anche in molte altre Rsa, non li ha destinati in reparti separati, così come disposto, non ha effettuato loro alcun tampone per verificarne la positività o meno ed ha lasciato gli operatori sanitari che vi lavoravano all’interno, privi di qualunque dispositivo di protezione. Anzi, gli stessi furono addirittura invitati dalla direzione a non indossare mascherine per non creare allarmismi tra gli ospiti.

Il risultato sono i 143 morti tra gli anziani e circa 250 operatori che nel frattempo si sono ammalati nel solo Pat. In termini di occultamento del contagio di Covid, i dati purtroppo sono destinati a crescere e finora parlano del 6,8% di mortalità tra i pazienti delle Rsa lombarde, la più alta d’Italia, con almeno il 50% dei decessi causati dal coronavirus.

Come sta emergendo dalle varie indagini, purtroppo il Pat rappresenta la punta di un iceberg tra le Rsa, così come ne danno denuncia alcuni operatori sanitari di Modena attraverso l’appello già pubblicato.

Ora Fontana scarica la responsabilità delle mancate verifiche alle ATS, Agenzie fortemente volute dalla stessa Lega e stracolme di personale, forse dimenticando che gli stessi dirigenti sono stati nominati proprio da lui non più di due anni fa.

I responsabili del disastro lombardo hanno nomi e cognomi

Come i fatti hanno finora rilevato, qui non si tratta di semplice incapacità di un gruppo dirigente, come la sinistra milanese, dal PD al PAP, stanno denunciando in questi giorni. Emerge con tutta evidenza che dietro ogni scelta politica, dietro ogni singola delibera che è stata emanata, vi è un preciso scopo che risponde alla logica di impresa, gestita e manovrata nell’unico interesse del profitto.

Va da sé che la proposta della sinistra di commissariare la Regione Lombardia rappresenta uno sbiadito appello a mantenere lo status quo di un sistema marcio che nel campo sanitario ingrassa padroni, politici e faccendieri. Appare altresì ridicolo chiedere di mettere le parti sociali e il governo attorno a un tavolo, come fa Landini, quando il primo cambiamento radicale va effettuato proprio all’interno della stessa Cgil, complice della disastrosa logica privatistica che inserisce l’assistenza sanitaria privata al posto degli aumenti salariali.

Di fronte a questo scandalo, è partita anche una raccolta firme che chiede il commissariamento della sanità lombarda. Anche se è chiaro lo sdegno che può motivare a firmare, non condividiamo queste illusioni. Non pensiamo che la soluzione sia passare da Fontana a un qualche galoppino inviato da Conte.

La pulizia da fare va molto più a fondo, e il compito che come lavoratori dovremo porci ci sarà quello di spazzare via questo sistema sanitario fatto di affarismo, clientelismo e corruzione che ha generato le scelte criminali di cui oggi paghiamo le conseguenze e costruire un vero sistema sanitario pubblico, sotto il controllo dei lavoratori e dei cittadini.

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