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Ripresa per chi? Si apre un abisso tra ricchezza e povertà

Mentre il parlamento approva il “Piano nazionale per la ripresa e per la resilienza”, in questo articolo squarciamo il velo della propaganda: le diseguaglianze crescono sempre di più e di “rinascita” non se ne vede nemmeno l’ombra.

 

Il 2021 è stato battezzato nella propaganda come l’anno della rinascita, dopo quello del crollo. Questa immagine non solo pecca per ottimismo, ma soprattutto perché mai come adesso nasconde realtà opposte fra loro. Crisi e ripresa, per chi?

A livello internazionale sono gli Stati Uniti ad avere i dati più significativi. Il Fmi stima una crescita per il 2021 del 6,4% del Pil, che permetterebbe di superare i valori pre-covid già nel corso dell’anno (-3,6% nel 2020). Questi dati sono spinti dal piano di spesa pubblica straordinaria lanciato da Biden per duemila miliardi di dollari (che si sommano ai 900 già approvati l’anno scorso).

L’Ue, la cui debolezza – e frammentazione – si manifesta sia sul piano sanitario sia su quello economico, ha previsioni di crescita più contenute (+4,4%).

Per l’Italia la previsione è di una crescita del 4,2% nel 2021 e poi del 3,6% nel 2022. Avendo perso l’8,9% del Pil nel 2020, questo vuol dire che ancora fra due anni non saranno raggiunti i livelli pre-covid. Vale la pena ricordare che nel 2019 ancora non era stato recuperato il Pil perso con la crisi del 2009. Tutto questo, oltretutto, se si mantiene il piano delle riaperture, cosa non scontata.

Anche questi dati sono però la risultante di processi molto diversi. Se alcuni settori sono ancora in grossa difficoltà (turismo, viaggi, servizi, ristorazione su tutti), altri hanno macinato profitti record o sono in marcata ripresa. Soprattutto, questo si è tradotto in profitti senza precedenti per un pugno di persone e in una dilagante povertà per milioni di persone.

A chi tutto…

È noto che dalle chiusure hanno beneficiato immediatamente settori come l’e-commerce e la logistica. In Italia gli acquisti di prodotti online hanno avuto un +30%. Le piattaforme di delivery stimano un giro di affari superiore al miliardo di euro nel 2023. I salari di questi lavoratori sono invece rimasti al palo, con bonus ridicoli comparati ai profitti, ai ritmi di lavoro,
ai rischi sanitari.

La manifattura, dopo un -10,2% nel primo semestre del 2020, ha avuto già un lieve rialzo (+0,4%) nel secondo semestre e le prospettive per quest’anno sono di netta crescita. L’indice di fiducia dei direttori acquisti ha la crescita maggiore in 20 anni (in una scala che da 50 punti in su segnala una crescita, è del 59,8). L’edilizia prevede per il 2021 una crescita dell’8,6%, in larga parte sostenuta da incentivi (superbonus) e spesa diretta (Recovery Plan).

Ma in che tasche sono andati (e andranno) questi soldi?

La rivista Forbes segnala che nel 2020 le persone che hanno almeno un miliardo di dollari di patrimonio sono cresciute di 660 unità, arrivando a 2.755. Il loro patrimonio è di 13.100 miliardi di dollari. Meno di tremila persone hanno una ricchezza pari a 7 volte il prodotto interno lordo annuale italiano. In Italia i miliardari sono 46, con un patrimonio di 150,7 miliardi di dollari.

Negli Usa, la quota di Pil delle 400 persone più ricche del paese è passata dal 9% nel 2010 al 18% nel 2020.

…e a chi niente

Nel frattempo, in tutto il mondo 95 milioni di persone sono entrate in condizione di estrema povertà (meno di 1,9 dollari al giorno, prive di acqua, cibo, vestiario e abitazione) e 80 milioni in stato di malnutrizione. La cifra totale è di almeno mezzo miliardo di persone.

Nella pandemia si sono persi 255 milioni di posti di lavoro, 4 volte quelli persi nel 2009

In Italia le cifre sono le seguenti. Nel 2020 il numero di persone in povertà assoluta cresce di un milione, per un totale di 5,6 milioni. È il 9,7% della popolazione, che sale all’11,4% nella fascia d’età 18-34 e addirittura al 13,6% dei minorenni. Per 160mila bambini la chiusura delle scuole a marzo ha significato perdere l’unico pasto completo che potevano fare nella giornata.

Ci sono 22,2 milioni di occupati a febbraio 2021, 945mila in meno (considerando anche la cassa integrazione oltre i 3 mesi). Disoccupazione al 10,2%, disoccupazione
giovanile 31,6%.

A blocco licenziamenti ancora in vigore, 99 crisi industriali aperte al Mise più altre già annunciate, con decine di migliaia di posti di lavoro a rischio. Alcuni esempi: Alitalia 6mila, AirItaly 1.450, Ex-Ilva a Taranto 20mila, acciaieria di Piombino 4mila di cui 1.500 in cassa integrazione, SkyItalia 3mila, Ex Embraco 400 licenziamenti effettivi dal 25 aprile.

Partendo da questa base, il peggio è ancora davanti a noi. Il 45% delle aziende (soprattutto medie e piccole) è a rischio strutturale, e con il progressivo sblocco dei licenziamenti il 30 giugno per aziende più grandi e in autunno per le altre, è realistico pensare che si perderanno un altro milione e mezzo di posti di lavoro.

Il 30 giugno scadrà anche il blocco degli sfratti per morosità, facendo precipitare il problema abitativo.

Si avvicinano anche le scadenze per chi ha usufruito delle moratorie su prestiti e mutui: 2,7 milioni di domande per un valore di 294 miliardi, di cui circa 96 miliardi relativi a mutui sulla prima casa.

Davanti a queste cifre il Recovery Plan, che era stato presentato come l’arma finale per uscire dalla crisi, appare decisamente ridimensionato. Se tutto va bene la prima tranche dovrebbe arrivare in estate come anticipo. Sarà il 13% del totale, cioè 25 miliardi; per metterli in proporzione, solo il Decreto “sostegni” e il nuovo scostamento di bilancio di Draghi, misure tutto tranne che risolutive, pesano già intorno ai 70 miliardi.

Il debito pubblico è schizzato al 155,6% del Pil a fine 2020 ed è previsto un altro aumento nel 2021%: chi sarà chiamato a pagarlo?

I lavoratori vedono sempre più la massa di superprofitti che il loro lavoro crea e che il padronato incamera alla faccia della retorica della crisi “che colpisce tutti”. Ne sono un segnale anche gli scioperi dei riders, della logistica, dei lavoratori Amazon. Altre categorie potrebbero ingaggiare serie lotte sindacali se non fosse per la passività dei dirigenti della Cgil, che ovunque possono si affrettano a chiudere contratti purchessia, piuttosto che dare spazio a un conflitto organizzato e generale.

Questo quadro è strutturalmente insostenibile e prepara una enorme esplosione sociale. Espropriare queste ricchezze è non solo giusto, ma è l’unica strada per far fronte al dramma sociale che questo sistema economico ha creato.

(fonti: Financial Times, Il Sole 24 ore, Istat, Fondo monetario internazionale, La Stampa, Save the Children, Forbes, Banca Mondiale, Mef)

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