Repressione e autoritarismo nella Svizzera Italiana – Intervista a un membro del Comitato del CSOA Molino

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Repressione e autoritarismo nella Svizzera Italiana – Intervista a un membro del Comitato del CSOA Molino

Il Molino è un centro sociale autogestito (CSOA) avente sede a Lugano, nel Canton Ticino (Svizzera Italiana). Il Centro presenta dimensioni notevoli e nel corso degli anni ha acquisito una certa notorietà anche fuori dal Cantone e dalla Svizzera. Centro culturale e ricreazionale, oltre a rappresentare un punto di ritrovo per la gioventù luganese, accoglie immigrati, scrittori, attivisti sociali e politici. Il Molino è da sempre osteggiato dai politici e dalla parte più reazionaria e bigotta della cittadinanza, in quanto isola di libertà e di lotta antisistema. Numerosi i tentativi di sgombero, sempre falliti grazie alla pronta e diffusa mobilitazione di frequentatori e simpatizzanti. Il 30 maggio la Polizia svizzera ha condotto un’operazione brutale di sgombero e demolizione dell’edificio, avvenuta nel cuore della notte, in sfregio per giunta alle norme di legge locali sull’edilizia e l’ambiente. Descritta dai media locali come un’azione repentina e improvvisata della Polizia, rispondente a logiche di ordine e sicurezza pubblica, la demolizione del Molino rappresenta invece un atto puramente politico e propagandistico, programmato nel dettaglio e con largo anticipo dagli esponenti dei locali partiti di Destra (nella fattispecie la Lega dei Ticinesi), attualmente al potere.

Puoi spiegare brevemente qual è la natura del Molino e cosa rappresenta?

Il Molino è da oltre 20 anni la principale, sebbene non l’unica, forma di autogestione in Ticino. Il suo Comitato e le sue attività ruotano intorno alla sede dell’ex macello di Lugano, in Viale Cassarate 8. Il Molino è sempre stato un luogo di resistenza e di lotta dal basso, oltre che un centro culturale e di creazione di idee. Cineforum, assemblee pubbliche, mercatini, presentazione di libri, manifestazioni e diffusione di volantini: queste e molte altre le attività del Centro.

 

Quali sono gli ideali che vi guidano e le tematiche affrontate?

Siamo antifascisti, antirazzisti, antisessisti, lottiamo contro le destre e ci opponiamo fermamente a ogni forma di imposizione e autoritarismo. In passato abbiamo preso parte alle mobilitazioni contro il WEF e il G8 di Genova. Il Centro apre le porte a stranieri, emarginati, a tutti coloro che diffidano di questa società ingiusta e capitalista. Negli ultimi anni abbiamo preso particolarmente a cuore le lotte degli zapatisti, del popolo curdo, mapuche e palestinese.

 

Come si comporta l’autorità del Ticino verso stranieri e minoranze?

Da molti anni questa Regione mette in atto una politica autoritaria, in aperto contrasto con lo stato di diritto. Lugano è una città ipersorvegliata, vittima di una brutale speculazione edilizia. Non c’è spazio per i poveri e per i ‘diversi’. Senza un lavoro e una situazione economica stabile il permesso di soggiorno non viene rinnovato; stesso destino per chiunque abbia la fedina penale sporca. Si viene rispediti senza mezzi termini nel proprio Paese o oltre il confine italiano. La Lega dei Ticinesi, il partito dell’attuale sindaco di Lugano, fonda il proprio consenso sulla triade: Identità-Sicurezza-Territorio. Gli altri partiti non si discostano molto da questa linea.

 

Cosa è cambiato durante la pandemia?

Il Cantone, seguendo il resto del Paese, ha posto il profitto davanti alle esigenze di salute della popolazione. I dati sulle morti e i ricoveri in terapia intensiva parlano chiaro. La nazione dove è nata la croce rossa ha gestito la pandemia in modo vergognoso. Non solo, l’emergenza coronavirus ha spianato la strada ad un nuovo esercizio di disciplinamento sociale e a una ulteriore limitazione della libertà di stampa e di manifestazione.

 

Veniamo ai fatti più recenti, cosa è accaduto nella notte tra il 29 e il 30 maggio?

Quella notte si è concretizzata la politica della ruspa messa in moto a Lugano a partire da almeno un decennio. La Polizia ha agito in occasione del corteo a sostegno dell’autogestione, culminato nell’occupazione dimostrativa dell’ex Istituto Vanoni di Lugano. Sono arrivati in massa con le camionette, bloccando ogni accesso al Molino. Poco dopo hanno chiamato le ruspe. Per le 2 di notte l’ex macello era ridotto a un cumulo di macerie. Hanno approfittato del fatto che il Centro si trovava momentaneamente vuoto, e sfruttato il corteo non autorizzato come scusante per l’azione ritorsiva.

 

È legale quanto avvenuto?

Ormai siamo abituati alle politiche illiberali e alla manipolazione delle regole democratiche. All’indomani della demolizione, il procuratore generale e il procuratore pubblico capo hanno avviato le indagini contro ignoti per violazione della legge edilizia e di quella relativa alla protezione dell’aria e dell’acqua (l’edificio conteneva amianto). Parallelamente si è parlato di estendere il procedimento penale al reato di abuso di autorità. Ai vertici è andato in scena uno scarica barile a più livelli, coinvolgente la Polizia Cantonale, quella Comunale e il Municipio. Di fronte ai giornalisti il sindaco Borradori è rimasto sul vago, ha affermato di “non aver demolito un bel niente”, per poi parlare di “scelta drastica ma necessaria”.

 

La mia impressione è che la stampa e l’autorità politica vogliano presentarla come un’azione indipendente e ‘irruenta’ della Polizia, quando invece si tratta chiaramente di un gesto premeditato e con un chiaro fine politico/elettorale.

Assolutamente. Era tutto pianificato e organizzato da tempo. Il giornale leghista ha preparato il terreno sul fronte della propaganda, mediante attacchi plurisettimanali al Molino e ai ‘brozzoni’ da mandare via. Mentre il Comune ha sfruttato il passaggio del Giro d’Italia per aumentare notevolmente il numero di agenti e di auto della Polizia. Il giorno della demolizione erano presenti anche camionette dei cantoni francesi. Senza contare che il reclutamento delle ruspe non si può improvvisare su due piedi.

 

Cosa avete in mente di fare ora che siete rimasti senza un tetto?

Torneremo nelle strade. Ci faremo sentire con nuovi cortei, assemblee pubbliche, concerti all’aperto. Abbiamo organizzato la manifestazione del 5 giugno contro lo sgombero e per l’autogestione, lanciata con la chiamata “Le nostre idee non si sgomberano”. Lugano ha visto sfilare tra le sue vie un corteo di almeno 2.500 persone, auto-organizzato e senza autorizzazione alcuna. Ci sono stati inviati messaggi di solidarietà da amici e compagni di tutta Europa. Mai come in questo momento sentiamo la vicinanza di tanti simpatizzanti e giovani della città.

 

Occuperete un altro edificio?

Questa è un’informazione che al momento non ti posso dare, ma non lo escludo.

 

In che rapporti siete con i sindacati, Unia in particolare, esiste una qualche forma di collaborazione di lotta?

In questo momento non esiste una vera linea comune, sebbene molti esponenti di Unia in passato frequentassero il Molino. Abbiamo delle divergenze riguardo alcune tematiche, prima fra tutte la questione dell’immigrazione. Unia non considera una priorità sostenere e difendere i diritti di frontalieri, immigrati, richiedenti asilo. Non mette in atto forme di lotta per opporsi alla politica etnica e razzista della Lega. Eppure gran parte dei lavoratori in Ticino sono extracomunitari, la questione della xenofobia e quella del lavoro dovrebbero andare di pari passo.

 

Sono senz’altro d’accordo, è necessaria un’unione delle lotte su più ambiti. Cosa ne pensate invece del Partito Comunista ticinese?

Preferiamo non averci a che fare. Hanno posizioni molto ambigue, in alcuni casi chiaramente di destra. Li definirei a tutti gli effetti dei ‘rosso-bruni’. Per fare un esempio, non si interessano o sono persino ostili alle nostre rivendicazioni sulla parità di genere e i diritti Lgbt. Per il resto sono troppo occupati a intrecciare questa o quella alleanza politica, in nome di un pragmatismo inesistente visto solo da loro.

 

Capisco, avevo anche io questa impressione, si tratta di un partito con una forte impronta stalinista. Esiste quindi qualcuno con cui vi relazionate, oppure preferite rimanere una realtà isolata?

Come dicevo, riceviamo solidarietà e supporto da altre realtà di autogestione sparse per l’Europa. Siamo in contatto principalmente con quelle italiane. Capita frequentemente di incontrarsi per scambiare idee e suggerimenti di lotta. All’interno del Centro accogliamo il collettivo zapatista, oltre a persone coinvolte nel movimento curdo e mapuche. Pensiamo che la Svizzera sia nient’altro che una striscia di terra, oltre la quale esiste un mondo in fermento, ricolmo di rabbia e di insofferenza verso questa società capitalista e autoritaria. Vogliamo dare il nostro contributo, fin dove possiamo arrivare.

 

 

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