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Regionali in Campania, la sinistra che c’è e quella che servirebbe

Guardando l’esito del percorso intrapreso circa sei mesi fa in vista delle oramai imminenti elezioni regionali, il PRC in Campania non si è comportato diversamente dalle altre regioni, presentandosi con propri candidati all’interno di una lista unitaria con Sel autonoma dal PD.

Neanche il candidato presidente, Salvatore Vozza, ex parlamentare DS e sindaco, dal 2005 al 2010, di Castellammare, importante comune dell’area vesuviana, segna una discontinuità con quanto fatto altrove, tuttalpiù conferma che il partito di Vendola si è specializzato nel ruolo di rete di sicurezza per questi vecchi personaggi della politica sedicente di sinistra. Anche il quadro generale non contraddistingue la Campania da altre regioni, che andranno al voto tra poche settimane dovendo scegliere tra un incredibile Centrodestra (nel senso letterale del termine: non credibile) e un PD che mai come ora mostra la vera natura del renzismo, con candidati che, quando non provengono direttamente dai salotti buoni dell’economia e della finanza italiane, vi sono stati ben accolti.

sinistra regionaliCerto De Luca ha dalla sua alcune peculiarità che non si possono non tacere, a partire da quella condanna per abuso d’ufficio che, stando alla legge, lo dovrebbe rendere incompatibile con la carica per cui concorre, proseguendo con la composizione delle liste che lo sostengono, i cui fiori all’occhiello sono ex missini, persone in odore di camorra, e infine un certo De Mita, che di fronte a tanto genio politico non ha potuto far mancare, in extremis, il suo sostegno, sigillato dalla presenza della figlia nella lista dell’Udc. Come se non bastasse è arrivato anche l’impagabile sostegno del noto fascista Adriano Tilgher, invaghitosi del candidato presidente del PD. Se si aggiunge che questa candidatura è stata sancita da primarie rinviate per ben quattro volte, al termine di un penoso teatrino che ha visto comparse del calibro di Cozzolino (ex assessore di Bassolino) e Migliore (ex politico di sinistra?), effettivamente qualcosina di peggio la politica campana è riuscita a fare anche questa volta, ma non c’è una differenza qualitativa con quanto visto nel resto del paese. Quello che desta il nostro interesse non è tanto questo, quanto osservare come al cospetto di uno sfacelo di questa portata il PRC sia stato in grado di perdere l’ennesima occasione per avviare un progetto che, a partire dalle elezioni, potesse rappresentare uno spiraglio per i giovani e i lavoratori campani, e allo stesso tempo abbia totalmente svuotato di significato la parola d’ordine dell’alternatività al PD.

La scabrosa vicenda ha inizio a Gennaio, quando, insieme ad esponenti di differenti gruppi e associazioni, Rifondazione aderisce tramite i suoi principali esponenti all’Appello Maggio, iniziando una percorso che avrebbe dovuto avere il suo naturale sbocco nella presentazione di una lista alternativa al PD alle regionali. Ben presto una componente del progetto, l’area meridionalista Mo!, facente capo all’ex assessore comunale di Napoli Marco Esposito, ha rotto con gli altri estensori dell’appello, intraprendendo un percorso autonomo. Più problematico è stato sin da principio l’atteggiamento di Sel, che ha mantenuto una costante ambiguità sul progetto, di cui non ha mai formalmente fatto parte. Mentre Maggio si lanciava in una serie di iniziative territoriali volte a radicare la propria proposta politica sul territorio, i maggiorenti locali del partito di Vendola guardavano con trepidazione a quanto stava avvenendo tra i democratici campani, alle prese con commissariamenti, rinvii delle primarie, accuse reciproche di ogni nefandezza (tutte vere, immaginiamo), e la possibile candidatura imposta da Renzi di Migliore.

Nei fatti il progetto di presentare una lista autonoma dell’Appello Maggio si è infranto all’indomani della vittoria di De Luca, quando Sel è stata scaricata dall’impresentabile sindaco di Salerno e si è dovuta reinventare. Occorre chiarire che il percorso messo in piedi da Maggio non era la panacea di tutti i mali della sinistra campana, tutt’altro. Caratterizzato da un programma generico, privo di reale radicamento nella classe e nei più significativi movimenti che sono stati in campo negli ultimi anni sui territori, Maggio rischiava di non essere diverso dall’ennesimo intergruppo che prova ad occupare uno spazio alla sinistra del PD, come tanti che abbiamo visto e vedremo. Una cosa, però, lo rendeva funzionale almeno per una battaglia, vale a dire la chiarezza con cui veniva dichiarata l’alternatività alle politiche perseguite dal PD negli ultimi anni. Ed è proprio questa chiarezza che Ferrero ha sacrificato sull’altare dell’accordo con Sel. Quando infatti Sel ha capito che non avrebbe potuto partecipare alla coalizione di Centrosinistra, come invece avveniva in altre regioni, ha immediatamente cominciato a egemonizzare il dibattito a sinistra del PD, tentando di imporre candidati – alcuni bruciati con velocità impressionante – e linee guida della lista. In particolare i vendoliani rimarcavano l’opposizione alla giunta uscente di Centrodestra, guidata da Caldoro, mentre non altrettanto si sarebbe dovuto fare con il PD, responsabile solo di avere scelto un candidato che la legge dichiarava incompatibile con la presidenza della regione. In sostanza Sel chiedeva una campagna elettorale in cui gli attacchi a De Luca fossero limitati al minimo indispensabile. Il PRC si trovava così tra l’incudine e il martello, obbligato nei fatti a scegliere se seguire Sel in un percorso che fa dell’ambiguità nei confronti del PD il suo tratto saliente, oppure schierarsi con Maggio e sobbarcarsi la responsabilità di una campagna elettorale difficile, ma che poteva sicuramente intestarsi la coerenza nell’opposizione alle politiche di Renzi e De Luca.

Evidentemente l’idea della coerenza deve aver fatto scendere una goccia di sudore freddo lungo la schiena di Ferrero, che si è precipitato a Napoli per imporre, spaccando il partito in due, l’alleanza con Sel e, nei fatti, la rottura con quanti stavano costruendo la lista con il partito. L’esito è sotto gli occhi di tutti: Rifondazione presenterà dei candidati all’interno di una lista indipendente dal PD, ma il cui grado di reale autonomia da questo è quantomeno sottoposto a dubbio.

In conclusione la direzione del PRC ha ottenuto di esacerbare la crisi del partito stesso, isolarlo da parte dei soggetti che provano a fare conflitto e avvicinarlo ad un’area politica che ha fatto dell’ambiguità la sua bandiera. Se a questo aggiungiamo che nei fatti ciò è avvenuto nel totale vuoto di una proposta politica (a due settimane dal voto non è dato conoscere il programma di Vozza) il quadro è chiaro. Siamo perfettamente coscienti che sostenere i candidati attivi nelle lotte che hanno attraversato la regione negli ultimi anni non risolve in alcun modo il problema della costruzione di una forza di sinistra organizzata – per quello ci vorrà il paziente lavoro di ricostruzione di un’avanguardia e un risveglio del conflitto operaio – ma è comunque quello che faremo per non cadere in una pericolosa logica di indifferenza rispetto alle elezioni, continuando a contrastare sia quanti ritengono la lotta di classe incompatibile con il momento elettorale, sia quanti pensano che ne sia un’appendice ad esso funzionale.

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