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Putin, Lenin e la questione nazionale ucraina

Il 25 febbraio, in un discorso che segnava l’inizio dell’attacco all’Ucraina, Vladimir Putin ha accusato Lenin, il partito bolscevico e la rivoluzione d’ottobre per l’esistenza dell’Ucraina moderna.

Comincerò così col fatto che l’Ucraina moderna fu interamente creata dalla Russia, per essere più precisi, dalla Russia bolscevica comunista. Questo processo cominciò praticamente subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi colleghi lo condussero in modo molto duro verso la Russia, separando, recidendo quella che storicamente era terra russa. Nessuno chiese a milioni di persone che vivevano lì cosa ne pensassero.

Putin ha richiamato persino il fatto che nel 1922 Stalin, allora Commissario del popolo alle nazionalità, proponeva uno Stato unificato con autonomie (concretamente significava inserire l’Ucraina nella Repubblica federativa sovietica russa), mentre fu Lenin a insistere per la formazione dell’Urss, ossia per riconoscere pari diritti alle diverse repubbliche nazionali all’interno dell’Urss, come poi furono stabiliti dalla Costituzione del 1924. Diritti che, ricordiamolo, includevano quello all’autodeterminazione, ossia alla separazione.

Secondo Putin, i bolscevichi fecero questa concessione ai “nazionalisti” pur di aggrapparsi a qualsiasi costo al potere.

La ricostruzione storica di Putin lascia a desiderare: l’identità nazionale ucraina esisteva ben prima del 1917. In epoca moderna, essa era un frutto dello sviluppo del capitalismo. In Europa occidentale l’ascesa della borghesia produsse la spinta alla formazione degli Stati nazionali (Italia, Germania). La stessa dinamica entrava in contrasto con le strutture politiche dei vecchi imperi (Austria-Ungheria, Russia), anche dal punto di vista della composizione nazionale, producendo movimenti indipendentisti fra le popolazioni dominate.

Altrettanto falsa è l’idea che il riconoscimento del diritto delle nazioni all’autodecisione fosse un espediente a cui i bolscevichi si aggrapparono disperatamente per “mantenere il potere ad ogni costo”. Questa idea faceva parte del programma del Partito operaio socialdemocratico russo fin dal principio ed era scritta a chiare lettere nel famoso paragrafo 9 del suo programma del 1903.

Non a caso Lenin ben prima del 1917 dovette difendere in numerose polemiche con altri socialisti, compresi sinceri rivoluzionari come Rosa Luxemburg, Pjatakov e tanti altri, l’assoluta validità e necessità di quella posizione.

È tuttavia indiscutibile che la rivoluzione del 1917 emancipò non solo gli ucraini, ma anche i finlandesi, i baltici, i georgiani, gli ebrei, gli azeri, gli armeni e decine e decine di altre nazionalità che erano sottomesse all’impero degli zar. In questo, Putin ha detto la verità. Solo che ciò che per lui è una colpa dei comunisti, per noi è un grande merito storico.

L’impero infatti si basava sul predominio della nazionalità grande-russa e della Chiesa ortodossa, strettamente vincolata allo Stato, nonostante i grandi-russi non costituissero più del 44% circa della popolazione.

Questo “carcere dei popoli”, come veniva giustamente definito, negava quindi l’identità a decine di nazionalità, sia più evolute sul piano economico-sociale (ad esempio la Polonia) che di territori più arretrati che erano stati occupati e colonizzati nel processo di espansione dell’Impero.

 

La guerra civile e l’Ucraina sovietica

Nel 1918 l’Ucraina si staccò, sotto la guida di partiti nazionalisti o riformisti ostili alla rivoluzione, ma ben presto finì sotto il controllo della Germania, che la occupò per sfruttarne le risorse per il suo sforzo bellico.

Trotskij con Christian Rakovskij

Questo è un aspetto ricorrente nella storia del paese: sotto la guida dei partiti nazionalisti, e sulla base del capitalismo, l’Ucraina è sempre diventata preda di questo o quell’imperialismo.

Dopo il crollo della Germania inizia la lotta per il potere sovietico in Ucraina. Il contesto è quello della guerra civile scatenata dai Bianchi (le armate controrivoluzionarie organizzate dalle classi borghesi e latifondiste rovesciate dalla rivoluzione), dell’intervento straniero e della carestia.

Non è questa la sede per ripercorrerne la storia intricata, che vide i bolscevichi prevalere in Ucraina al principio del 1919 per esserne cacciati l’estate successiva, salvo ritornare sull’onda della vittoriosa campagna contro l’armata bianca di Denikin alla fine dello stesso anno.

La chiave fondamentale di queste vicende furono due fattori: la questione agraria, ossia la distribuzione delle terre, e appunto la questione nazionale.

I due punti erano strettamente connessi e in modo peculiare, in quanto la popolazione e la lingua ucraina prevaleva nelle campagne, fra la maggioranza contadina che storicamente identificava l’oppressione zarista (e quindi russa) con il dominio dei grandi proprietari terrieri. Nelle città invece era concentrata la popolazione russofona, e anche una consistente minoranza ebrea, così come prevalentemente russa era la classe operaia industriale e mineraria, concentrata in gran parte nel Donbass. In questi settori il bolscevismo aveva una forza significativa, ma essi erano meno sensibili alle rivendicazioni nazionali ucraine, che tendevano a vedere come espressione dell’arretratezza delle campagne. Questa tendenza influenzò non poco anche ottimi dirigenti bolscevichi, che inizialmente commisero numerosi errori nel sottovalutare sia la questione agraria che quella nazionale.

Fu l’esperienza concreta del dominio dei Bianchi a creare le condizioni per la riconquista sovietica: gli eserciti controrivoluzionari portavano con sè il ritorno dei vecchi proprietari terrieri e della vecchia oppressione nazionale, e fu questo in ultima analisi a determinarne il loro isolamento fra le masse e la loro sconfitta per mano dell’Armata Rossa.

 

Lenin sull’Ucraina

Lenin condusse una battaglia politica perché l’Ucraina venisse riconosciuta come repubblica indipendente. In una Lettera agli operai e contadini dell’Ucraina pubblicata alla fine del 1919, ribadì i seguenti concetti.

1) I comunisti devono collaborare con quei gruppi comunisti ucraini che aspirano alla completa indipendenza dell’Ucraina. Sulle diverse opzioni (unione con la Russia sovietica o Ucraina sovietica indipendente, e in quale relazione con la Russia sovietica) la decisione spetta esclusivamente ai soviet operai e contadini ucraini.

2) È invece inammissibile qualsiasi tentativo di divisione fra lavoratori russi e ucraini nella lotta contro le armate bianche e contro l’intervento straniero, che cerca di sfruttare le divisioni nazionali a proprio vantaggio.

3) L’unione tra nazioni deve essere puramente volontaria: “Pur marciando senza deviare verso l’unità delle nazioni, combattendo inesorabilmente contro tutto ciò che le divide, dobbiamo quindi essere molto prudenti, pazienti, concilianti verso le sopravvivenze della diffidenza nazionale, dobbiamo essere inflessibili, intransigenti su tutto ciò che concerne gli interessi fondamentali del lavoro nella lotta per la sua emancipazione dal giogo del capitale. Stabilire il confine fra gli Stati oggi, provvisoriamente – giacché noi aspiriamo alla loro abolizione completa – non è una questione fondamentale, di grande importanza, è una questione secondaria. Si può e si deve quindi attendere, poiché la diffidenza nazionale è spesso molto tenace nelle grandi masse dei contadini e dei piccoli padroni, e con la fretta si potrebbe accentuare questa diffidenza, cioè danneggiare la causa dell’unità completa e definitiva.

 

L’Urss sotto Stalin

La burocratizzazione e la degenerazione della rivoluzione, a partire dalla metà degli anni ’20, ebbero il loro effetto anche sui rapporti fra le nazionalità che componevano l’Urss. A partire dal 1928-29 la politica economica ebbe una svolta estremista con la collettivizzazione forzata dell’agricoltura e un’applicazione forsennata dei piani di industrializzazione. Questo portò a una crisi agricola catastrofica e alla carestia, al ritorno delle requisizioni nelle campagne (che erano cessate con la fine della guerra civile), al crollo dei raccolti e all’abbattimento di milioni di capi di bestiame.

Questa svolta si accompagnava al consolidamento definitivo del regime di Stalin, con la repressione su vasta scala culminata nelle epurazioni e nei processi farsa in cui vennero imprigionati e sterminati decine di migliaia di oppositori, in primo luogo comunisti che si opponevano allo stalinismo, ma anche oppositori malcontenti di ogni genere.

La carestia fu particolarmente violenta in Ucraina e, unita agli sviluppi appena accennati, creò una contrapposizione tra la burocrazia ucraina e quella russa. La burocrazia ucraina sentiva la pressione e la protesta della popolazione e questo la mise in contrasto con Mosca, anche se essa non esprimeva una politica sostanzialmente differente. A questo Stalin rispose con una feroce epurazione dei quadri del partito comunista in Ucraina. Alla fine degli anni ’30 erano stati eliminati probabilmente per i nove decimi.

Seppure non si può parlare di oppressione nazionale nello stesso senso in cui questa esiste sotto il capitalismo, era tuttavia uno scontro che aveva profonde basi sociali e che fece riesplodere la questione ucraina, anche se sotto la pesante cappa del regime burocratico staliniano questa non appariva alla luce.

Tuttavia, a differenza del 1917, quando la lotta delle diverse nazionalità, unita alla giusta politica di Lenin sull’autodeterminazione, era stata un elemento generalmente progressista e rivoluzionario, che minava l’impero zarista, ora questa assunse un carattere reazionario.

 

Bandera e il collaborazionismo

Tra le diverse formazioni nazionaliste ucraine spicca l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini e soprattutto l’Upa, ossia l’Esercito insurrezionale ucraino, fondato da Stepan Bandera dopo che la Germania nazista ebbe attaccato l’Urss.

Francobollo commemorativo delle Poste Ucraine per il centenario della nascita di Bandera

Bandera, che oggi è riconosciuto ufficialmente come eroe nazionale ucraino, incarnò il nazionalismo più reazionario, apertamente fascista, responsabile di crimini e massacri di massa contro ebrei, polacchi (la Polonia prima del 1939 conteneva una consistente, ed oppressa, minoranza ucraina) e attivo collaborazionista coi nazisti.

È una ricorrenza nella storia del nazionalismo borghese ucraino, che ha sempre cercato l’appoggio di potenze straniere per affermare le proprie aspirazioni. Bandera peraltro non riscosse particolare gratitudine dai nazisti, che si opposero alla creazione di una Ucraina indipendente e lo internarono fino al 1944, quando per fronteggiare l’avanzata dell’Armata Rossa i tedeschi armarono e finanziarono il suo movimento.

La stessa strumentalizzazione del nazionalismo ucraino la vediamo sotto i nostri occhi, con la NATO, e in particolare USA, Canada e Gran Bretagna, che dopo avere armato e aizzato per anni l’Ucraina verso lo scontro con la Russia, la stanno bellamente lasciando a cavarsela da sola, con la concreta possibilità che il paese possa finire smembrato. Un bel risultato non solo per Zelensky, ma per tutti i politici borghesi ucraini che in questi anni hanno proclamato di voler porre la causa nazionale ucraina al di sopra di tutto.

Il ruolo reazionario giocato dal nazionalismo borghese ucraino non significa tuttavia che il popolo ucraino non abbia diritto alla propria autodeterminazione. Tale conclusione, che coincide con il discorso di Putin citato in apertura, è altrettanto reazionaria e va direttamente contro gli interessi tanto dei lavoratori ucraini come di quelli russi e di tutto il mondo.

 

Dopo il 1991

L’Ucraina attuale, separatasi nel 1991 nel momento della dissoluzione dell’Urss, è stata un sostanziale fallimento. Basti dire che in questi trent’anni la popolazione è declinata da 52 milioni a 42 nel 2014. L’aspettativa di vita, che nel 1988 era di 71 anni scese fino a 67 anni e solo dopo 20 anni ha recuperato il livello precedente. La natalità è quasi dimezzata.

Settori industriali chiave quali i cantieri navali e l’aerospaziale sono stati ridotti al lumicino o portati al fallimento, mentre con un salario minimo ufficiale di 270 dollari al mese (2017), migliaia di ucraini cercano miglior fortuna nell’emigrazione.

Nonostante le chiacchiere sulla democrazia, è un regime dominato da una cricca di oligarchi, martoriato dagli scandali, dalla corruzione, dai brogli e soprattutto completamente asservito agli interessi dell’imperialismo, che di volta in volta trova il modo di accordarsi con questa o quella cricca affaristico-politica.

Nell’opporci a questa guerra e a tutti gli interessi imperialistici in campo, dobbiamo precisamente ripartire da questa lezione storica.

La classe lavoratrice non ha nulla da guadagnare e tutto da perdere dalla negazione dei diritti nazionali. Solo il rovesciamento del capitalismo tanto in Russia come in Ucraina e in tutta Europa può porre le basi per sanare le ferite che questa guerra sta aprendo. Solo liberandoci del potere della borghesia e dell’imperialismo sarà possibile riprendere la lezione della rivoluzione russa del 1917 anche nel campo dei diritti nazionali, riconoscendo l’autodeterminazione come uno strumento per riavvicinare i popoli e le culture, senza prevaricazione e violenza.

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