Ponte Morandi: la farsa della giustizia borghese
Le dichiarazioni di Gianni Mion, uomo di fiducia dei Benetton, al processo per il crollo del ponte Morandi, hanno riacceso l’indignazione e lo scandalo nei confronti della gestione criminale del viadotto da parte di Autostrade per l’Italia (Aspi). Una storia di insabbiamenti e di falsificazioni, nella quale la responsabilità dell’azienda dei Benetton nella strage che portò a 43 morti e 566 sfollati è stata ormai acclarata da anni di inchieste indipendenti e di indagini della magistratura. La confessione di Mion conferma tutto questo. Come ha detto ai giudici: “Nel 2010 seppi che poteva cadere, ma non dissi nulla”.
Non solo Mion, ma l’insieme dei vertici delle aziende dei Benetton (Aspi e Spea) e Gilberto Benetton in persona erano del tutto al corrente della pericolosità della struttura e hanno nascosto tutto per non perdere profitti. Al contempo, il processo per il crollo del ponte Morandi si rivela falsato in partenza. Nessun membro della famiglia né le loro aziende sono tra gli imputati.
Come ha detto la presidentessa del Comitato dei parenti delle vittime, Egle Possetti: “È sempre più chiaro un fatto: che questa tragedia è stata frutto di avidità e incompetenza, ma la giustizia è lontana”.
Come nasce un incubo
Nella sua testimonianza in tribunale, Mion ha raccontato infatti di una riunione avvenuta nel 2010, ben otto anni prima del crollo, alla quale parteciparono i vertici dell’azienda, insieme al patron Gilberto Benetton (decorato Cavaliere del lavoro) e a tecnici e dirigenti di Spea, l’azienda che si sarebbe dovuta occupare della manutenzione, ma la cui proprietà era ed è in mano ai Benetton attraverso Atlantia (ora Mundys Spa).
Secondo il racconto di Mion, in quella riunione “emerse che il Ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo [direttore generale di Aspi] mi rispose ‘Ce la autocertifichiamo’”.
Privatizzazione, ovvero il parassitismo dei privati
Ma, d’altra parte, non serviva Mion per fare luce sui “falsi report” e gli “allarmi ignorati”, come li ha definiti la Procura di Genova. Che il ponte stesse subendo un processo accelerato di degrado strutturale lo scrisse già l’ingegnere Morandi nel 1979. Ma è con la privatizzazione delle autostrade che inizia la storia di abbandono completo della manutenzione e di sfruttamento parassitario dell’infrastruttura, che porterà alla strage del 2018.
Sarebbe troppo lungo riportare qui tutti i “falsi report” e gli “allarmi ignorati”. Ma il quadro che emerge dal processo e dalle inchieste di questi ultimi anni è quello di una tragedia annunciata, anche se perfettamente evitabile. Come ha detto il perito dell’accusa, “un intervento sulla pila 9 avrebbe evitato il crollo”.
Come i Benetton si sono comprati la propria innocenza
Nonostante la confessione scandalosa di Mion, la famiglia Benetton può dormire sonni tranquilli. Non sono loro né le loro aziende a trovarsi dietro la sbarra, bensì 59 persone tra dirigenti e tecnici di Aspi, di Spea, del ministero delle Infrastrutture e del Provveditorato. La giustizia borghese si comporta, per citare il filosofo Solone, “come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi”.
Aspi e Spea, direttamente riconducibili alla proprietà della famiglia, hanno infatti chiesto e ottenuto di essere escluse come responsabili civili dal processo, grazie a un patteggiamento di 30 milioni di euro. Alle aziende vengono riconosciute semplicemente “responsabilità amministrative”, esonerandole così da qualsiasi condanna.
Con questo patteggiamento e con il risarcimento extra-giudiziale alle vittime della strage (eccetto i pochi che lo hanno rifiutato), i Benetton si sono comprati la propria innocenza. Inoltre, Gilberto Benetton, l’unico membro della famiglia citato da Mion nel suo racconto, è morto ormai da anni e non può succedergli nulla.
Esiste anche il rischio che la confessione di Mion, che lo trasforma da testimone in imputato, invalidi del tutto un’eventuale sentenza di condanna, così come è successo con il processo Ruby Ter, se gli azzeccagarbugli della difesa si dovessero appellare ai cavilli procedurali della giustizia borghese.
Questa è l’ennesima dimostrazione del fatto che non possiamo riporre alcuna fiducia nella magistratura per ottenere giustizia, la quale si limiterà, nel migliore dei casi, a condannare alcuni pesci piccoli per placare il furore popolare, lasciando in pace i pesci grossi, cioè chi ha veramente speculato sulla pelle di tutti.
La stessa Procura di Genova sta indagando in questi giorni sui ‘terribili reati’ di 17 lavoratori di Ansaldo Energia, colpevoli di aver scioperato e manifestato a difesa della propria fabbrica e del posto di lavoro. Chissà se la Procura sarà altrettanto clemente con i lavoratori, anche se non hanno 30 milioni per patteggiare!
Nazionalizzazione borghese o nazionalizzazione operaia?
I Benetton non verranno condannati, né è mai stata revocata loro la concessione delle autostrade. Al contrario, hanno tratto grandi profitti persino dal crollo del ponte. Non potendo lasciare le autostrade nelle loro mani, pian piano che la verità veniva a galla, lo Stato li ha lautamente ricompensati comprando le quote azionarie che detenevano in Aspi (l’88%) al prezzo 9 miliardi di euro, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal Ministero dell’Economia). Si tratta di una cifra equivalente grossomodo a 15 anni di profitti. Questa è la vera natura delle “nazionalizzazioni” borghesi.
Già nel 2018, scrivevamo su Rivoluzione che la classe dominante avrebbe fatto di tutto per “impedire la nazionalizzazione o per indirizzarla verso il male minore (per loro) di una “nazionalizzazione borghese”, […] con tutti gli indennizzi possibili per il privato”. Così è stato.
Bisogna invece rivendicare la nazionalizzazione – immediata e senza indennizzi o risarcimenti di sorta – di tutti i servizi e le infrastrutture di utilità collettiva. Ma non possiamo affidarci per questo ai burocrati dello Stato e ai governi al soldo dei capitalisti. Solo la nazionalizzazione sotto il controllo diretto dei lavoratori e delle lavoratrici può garantire servizi per la collettività sicuri, efficienti e gratuiti, spazzando via gli speculatori e i parassiti capitalisti.
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