Per alzare i salari bisogna colpire i profitti (Breve promemoria per il compagno Landini)
Il crollo dei salari è il nervo più scoperto per i lavoratori italiani in questo momento.
A novembre l’inflazione su base annua ha subito un balzo all’11,8%, il dato peggiore dal 1983. Gli aumenti per giunta si concentrano su beni di prima necessità (alimentari, bollette, trasporti, abitazione, ecc.) che costituiscono gran parte delle spese dei lavoratori e dei pensionati. Per i redditi più bassi l’Istat stima l’inflazione al 15%.
Di fronte a uno scempio simile sarebbe naturale che il sindacato fosse sul piede di guerra. E in effetti il 17 novembre il segretario della CGIL Landini rilasciava una lunga intervista a Repubblica dall’esordio incoraggiante: “Basta bonus, i salari vanno aumentati in modo strutturale, siamo in una vera e propria emergenza”.
Peccato però che l’unica rivendicazione avanzata sia il taglio del “cuneo fiscale”, ossia ridurre la parte di salario che se ne va in tasse e contributi.
Prima di toccare questo punto, vorremmo ricordare al compagno Landini un’evidente verità: i salari li pagano le aziende. Se i salari sono bassi, è perché i padroni pagano troppo poco. E se pagano troppo poco è perché i contratti nazionali sono stati firmati con aumenti ridicolmente bassi, con aumenti che ruotano attorno ai 100 euro spesso spalmati su 4 anni.
Vorremo anche dire ai dirigenti della CGIL che se i prezzi crescono e i salari sono fermi, evidentemente stanno crescendo profitti e rendite.
Naturalmente è giusto tagliare le tasse pagate dai lavoratori, come è giusto alzarle sui profitti, i grandi patrimoni e i redditi più alti.
I contributi invece sono salario differito: sono la nostra malattia, le nostre pensioni, i nostri infortuni. Se Landini propone di ridurre la parte a carico dei lavoratori dovrebbe come minimo proporre di alzare quella delle aziende.
Ma il punto è che tutto questo non cambia niente di sostanziale. Col taglio del “cuneo” si mette qualche decina di euro al mese in più in busta paga: un giro al supermercato e sono spariti.
A quanto pare il concetto che per aumentare i salari si debba costringere le aziende a pagare di più i lavoratori è un tabù per il segretario del maggiore sindacato italiano! Persino a una domanda diretta del giornalista, che gli chiede un’opinione sugli scioperi dei metalmeccanici in Germania per un aumento dell’8 per cento, Landini riesce a non rispondere.
Nel congresso della CGIL stiamo rilanciando la parola d’ordine della scala mobile dei salari: un strumento essenziale di difesa del potere d’acquisto in questa fase. Spesso esponenti della maggioranza della CGIL ci rispondono di non essere necessariamente contrari a questa idea, ma che la loro proposta (quale?) sarebbe più semplice da perseguire, più realistica.
Ma le chiacchiere stanno a zero e i conti nelle tasche dei lavoratori non tornano più. Difendere il salario significa aprire una fase di vertenza, per contratti adeguati e per un meccanismo di difesa come la scala mobile. Pensare di difendere i salari senza scontrarsi col padronato non è realismo, è mettere la testa nella sabbia. Quanto prima la CGIL tutta ne prenderà atto, tanto prima potremo invertire una rotta che ci sta portando nel baratro.
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