Nuovo opuscolo – #RevolutionForFuture

…ovvero meglio evitare di trovarsi dall’altra parte della barricata

 

Negli ultimi mesi il movimento contro il cambiamento climatico ha giocato un ruolo importante a livello internazionale. Milioni di giovani in più di 100 paesi sono scesi in piazza. Il Climate Strike del 15 marzo 2019 in Italia è stato un punto di svolta nella situazione oggettiva, con 250mila studenti in piazza. Si può dire che un’intera generazione si sia risvegliata alla partecipazione politica in prima persona.

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Sul tema ambientale si è espresso un sentimento profondo che si è accumulato per anni, fatto di privazioni materiali, di una prospettiva di vita peggiore rispetto a quella dei propri genitori, di frustrazione individuale per il “furto del futuro” e collettiva per la percezione di un sistema ingiusto, irrazionale e che non è in grado di risolvere nessuno dei problemi fondamentali che riguardano il presente e il futuro dell’umanità. Se questo sentimento si traduceva negli anni passati in una crescente frustrazione, la partecipazione in prima persona in mobilitazioni di massa ha dato un sentimento di forza collettiva e fiducia, un elemento che sarà decisivo negli sviluppi futuri delle lotte sociali.

In piazza era palpabile la sfiducia per chi oggi dirige il sistema politico e i partiti dell’establishment. Un sentimento totalmente giustificato per quello che questi partiti hanno fatto e stanno (o non stanno) facendo, sulle questioni ambientali come su ogni altro aspetto: lavoro, salute, istruzione. Alcuni hanno sostenuto che questo sentimento desse al movimento un carattere anti-politico tout court. Ovviamente tutte le istituzioni hanno rilanciato questa idea nel tentativo di rendere il movimento inoffensivo. È vero il contrario: fra la maggioranza dei giovani c’era un’idea molto chiara e molto politica, che questo sistema sta uccidendo il pianeta, e quindi dobbiamo cambiare il sistema.

Questa idea è assolutamente corretta, ma senza una chiara base teorica, un piano di azione e una organizzazione conseguente rischia di restare solo un generico sentimento, e lasciare spazio a chi vuole far arenare il movimento in un nulla di fatto. Negli ultimi mesi sono diventati (quasi) tutti ambientalisti: padroni di grandi aziende e interi governi, segretari di partito, attori e prìncipi velisti. In tempi di facile impopolarità per chi sta alle leve di comando della società, un patentino di ambientalismo è strumento fin troppo semplice per cercare consensi o qualche finanziamento.

Questa è una azione cosciente e coordinata a livello internazionale che mira a svuotare il movimento da ogni spinta anti-sistema e relegarlo al ruolo dei bravi ragazzi che periodicamente vengono ricevuti da questa o quella istituzione, rilasciano una dichiarazione, ricevono qualche promessa, aspettano qualche mese, e poi ricominciano da capo. Può cambiare il tono, può cambiare quanta “pressione” si vuole mettere, ma non si discute chi comanda nella società. Non possiamo essere ambigui: questo sviluppo sarebbe letale per il movimento, e lo farebbe diventare parte integrante degli attuali assetti di potere.

 

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