NUOVO LIBRO – L’Imperialismo fase suprema del capitalismo, di LENIN
L’attualità de L’imperialismo e i critici di Lenin
Quando nel 1916 a Zurigo Lenin scrisse L’imperialismo, era impegnato in una battaglia senza quartiere contro i dirigenti dell’Internazionale Socialista, che avevano tradito la risoluzione del congresso di Basilea del 1912, dove era stata approvata all’unanimità la linea della “guerra alla guerra”.
Le diserzioni nel campo socialista furono ignominiose. Benito Mussolini, all’epoca direttore de L’Avanti, abbandonò il socialismo per intraprendere la via che lo avrebbe condotto al fascismo. Gustave Hervé, antimilitarista, anticolonialista e sindacalista rivoluzionario, che nel 1907 aveva presentato una mozione al congresso di Stoccarda nella quale si proponeva di fermare la guerra imperialista con lo sciopero generale (posizione che venne definita illusoria da Lenin), diventò un fervente nazionalista e si spostò sempre più a destra fino ad assumere posizioni semi-fasciste. Il belga Emil Vandervelde, già presidente del burò socialista internazionale, accettò di entrare come ministro in un governo della borghesia nel mezzo di una guerra imperialista. Jules Guesde, considerato da molti il “padre del marxismo francese”, fece lo stesso. Georgij Plechanov, fondatore del marxismo in Russia che durante la guerra russo-giapponese del 1905 aveva stretto la mano al socialista giapponese Sen Katayama, si schierò anch’egli dalla parte del governo zarista.
Non appena si riprese dall’incredulità iniziale, Lenin decise di rompere con i “social-patrioti” per gettare le basi di una nuova Internazionale dei lavoratori, quella comunista, che muoverà i primi passi alla Conferenza di Zimmerwald, nel settembre del 1915.

La copertina della nostra nuova edizione
Nella polemica con Kautsky e la tesi pacifista dell’ultraimperialismo, il rivoluzionario russo si soffermerà su un punto decisivo: “Il capitale finanziario e i trust acuiscono, non attenuano, le differenze nella rapidità di sviluppo dei diversi elementi dell’economia mondiale. Ma non appena i rapporti di forza sono modificati, in quale altro modo in regime capitalistico si possono risolvere i contrasti se non con la forza?”.
In seguito Lenin ebbe anche modo di precisare che l’imperialismo non andava inteso come uno “stadio finale” del capitalismo nel quale la concorrenza spariva e i rapporti di forza tra trust, cartelli e Stati diventavano stabili e immutabili. Questi viceversa erano destinati a subire nuovi e più acuti sconvolgimenti.
La visione di Lenin era dinamica, in nessun momento lasciava presagire che il quadro degli equilibri internazionali che si erano stabiliti nel corso della prima guerra mondiale fosse destinato a durare per sempre. Non solo gli accordi monopolistici potevano essere sostituiti da altri accordi, da fasi in cui la concorrenza (che non spariva mai completamente) riaffiorava con più forza; ma potevano cambiare anche le relazioni degli Stati con l’industria, le banche e con altri Stati.
Molti hanno tentato di confutare l’analisi di Lenin nel corso degli anni. Dai teorici della dipendenza e dei sistemi-mondo (Gunder Frank, Wallerstein, Amin, Arrighi), ai post-operaisti (Negri, Hardt) ai neokautskiani (Screpanti). Tutti questi si allontaneranno dalla visione leninista e la criticheranno da versanti differenti per approdare immancabilmente su posizioni riformiste. Negli anni della cosiddetta globalizzazione, dopo il crollo dell’URSS, la visione di Kautsky è tornata in voga ed è stata ripresa da molti a sinistra.
Ma se le “vecchie” contraddizioni interimperialiste sono risolte, come si spiega la recente scelta di Putin di invadere l’Ucraina e quella americana di destabilizzare il territorio ucraino finanziando il movimento Euromaidan e le bande naziste per rovesciare il governo di Yanukovich nel 2014? E i recenti conflitti in Siria, Libia, Yemen?
Volgendo lo sguardo alla Cina, come leggiamo la recenti decisioni di Xi Jinping di incrementare le spese militari (tendenza che si sta affermando su scala internazionale), costruire basi su isole artificiali nel mare del sud, rivendicare la sovranità di Taiwan e dare vita all’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), una banca di investimenti che con ogni evidenza si propone di sostituire il Fondo monetario internazionale (controllato dagli USA) per sostenere gli investimenti e l’esportazione di capitali che attraverso la Via della Seta Pechino sta portando avanti in oltre cinquanta paesi nel mondo?
Non si capisce d’altra parte per quale ragione la Banca centrale di Pechino metta a disposizione svariate centinaia di miliardi di dollari delle proprie riserve per tale operazione, e perché Xi Jinping abbia dato vita al Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo economico e commerciale che riguarda oltre 3 miliardi di consumatori e che con ogni evidenza segnala una sostanziale perdita di peso strategico degli Stati Uniti nell’area e un contemporaneo rafforzamento della Cina.
Se si guarda alle cinque condizioni essenziali a cui fa riferimento Lenin per definire l’imperialismo si vedrà come tutte e cinque si adattano perfettamente alle caratteristiche del capitalismo cinese, anche se formalmente la sovrastruttura politica permane quella di uno Stato stalinista, guidato da un partito comunista burocratizzato.
Ci si rifiuta di prendere atto che a partire dal 2008 siamo entrati in una fase completamente nuova della crisi capitalista, una crisi organica, in cui le lancette della globalizzazione hanno cominciato a girare all’indietro e in cui l’analisi di Lenin sull’imperialismo dimostra di essere più attuale che mai, naturalmente nei suoi tratti generali. Così come avvertiva Lenin, è necessario aggiornare questa analisi alla luce dei nuovi avvenimenti, compito al quale i marxisti non si sono sottratti in questi anni. Ma il nucleo della teoria è assolutamente attuale.
Non c’è momento più appropriato per ripubblicare un testo come L’imperialismo, quando in Ucraina si consuma la tragedia di una nuova guerra imperialista, una guerra che sta provocando morte e sofferenze infinite.
Può non piacerci ma queste due parole, guerra e imperialismo, sono tornate prepotentemente all’ordine del giorno. C’è bisogno di risposte serie, di tornare alle analisi di Lenin e alle tradizioni politiche del bolscevismo, il partito più democratico e rivoluzionario che la storia abbia mai conosciuto, almeno fino alla degenerazione staliniana.
Solo per questa via possiamo comprendere le autentiche cause dei conflitti e condurre una lotta efficace contro il capitalismo, il cui abbattimento, in ultima analisi, è l’unico modo per bandire le guerre dal pianeta.
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