“Non possiamo cogestire questa fase di crisi” – L’intervento di Paolo Brini al CC Fiom
Pubblichiamo l’intervento di Paolo Brini al Comitato centrale della Fiom Cgil, svoltosi lo scorso 15 luglio.
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Care compagne e cari compagni
dato il breve tempo a mia disposizione vorrei concentrare l’intervento su quello che a mio avviso è il punto centrale della nostra discussione. Nella relazione introduttiva si è lamentato giustamente il comportamento del governo che non coinvolge più in alcun modo il sindacato al punto che persino le notizie sull’Ilva le apprendiamo dai giornali anzichè in incontri ufficiali. Credo che questo atteggiamento dell’esecutivo non cada dal cielo ma sia la conseguenza inevitabile della linea che noi come Cgil abbiamo deciso di assumere durante l’emergenza. A marzo lo sciopero generale non avremmo dovuto minacciarlo, avremmo dovuto farlo. Le condizioni c’erano tutte sull’onda degli scioperi spontanei che sono esplosi nelle fabbriche e su cui credo ci si sia soffermati troppo poco e non se ne sia colta tutta la portata ed il significato. Se il disastro sanitario non è stato peggiore di quanto non abbiamo vissuto (e se qualcuno ha ancora dubbi sulla colpevolezza padronale in tutto ciò e nella loro volontà di non chiudere le aziende basta semplicemente riscontrare che oggi tutti i nuovi focolai esplodono nei luoghi di lavoro) e se si è ottenuto il blocco dei licenziamenti e almeno formalmente la chiusura delle attività non essenziali è stato solo grazie a questi scioperi dal basso. Se avessimo incanalato quelle lotte verso lo sciopero generale, i rapporti di forza nella società e di conseguenza lo scenario politico sarebbero cambiati radicalmente a nostro favore.
Invece abbiamo voluto chiudere troppo frettolosamente la partita e ci siamo accodati al governo con la conseguenza che i padroni hanno potuto fare quello che hanno voluto (al punto che il 52% delle aziende non ha mai chiuso, 180mila hanno cambiato in corsa il codice Ateco e pian piano il resto ha semplicemente eluso l’ordinanza di chiusura sapendo sarebbe rimasto impunito) e il governo semplicemente ci ha poi ignorati contando sulla nostra arrendevolezza.
Lo dico con molta nettezza, nella prossima fase non possiamo continuare con questa linea. In autunno si prospetta una macelleria sociale di proporzioni inaudite, tra licenziamenti e tagli allo stato sociale ed ai diritti. Noi non possiamo, passatemi la battuta, cogestire questa fase. Non possiamo fare come per esempio in FCA dove abbiamo dato l’appoggio all’ennesimo regalo di soldi pubblici agli Agnelli in cambio di una cogestione che non può essere altro che la suddivisione delle perdite scaricate sulle spalle dei lavoratori.
Nella prossima fase al contrario c’è una parola d’ordine che deve diventare l’asse centrale attorno cui organizzare le nostre battaglie: quella delle nazionalizzazioni. Innanzitutto di scuola e sanità che devono tornare completamente pubbliche, gratuite e di qualità e penso che questa debba essere la rivendicazione principale della Cgil in un contesto nel quale invece questo tema sta già scivolando nel dimenticatoio. Ma anche nazionalizzazioni delle aziende che chiudono, licenziano o delocalizzano. Certamente è giusto rivendicare il prolungamento del blocco dei licenziamenti ed il potenziamento degli ammortizzatori sociali, tuttavia questi sono dei palliativi che possono tamponare temporaneamente ma non risolvono il problema. Se vogliamo impedire i licenziamenti di massa che si prospettano bisogna che le aziende vengano nazionalizzate.
Bisogna mettere in discussione la logia del profitto ed imporre un’altra visione di società. Quando parlo di nazionalizzazioni non mi riferisco a porcherie come quella avvenuta per Autostrade dove da un lato i Benetton sono stati coperti d’oro con un indennizzo milionario e dall’altro la Cassa depositi e prestiti si accolla i costi dell’operazione a spese delle casse pubbliche per poi ridare a nuovi azionisti privati il controllo dell’azienda. Mi riferisco al contrario ad un esproprio senza indennizzo, ad una nazionalizzazione vera che porti alla costituzione di enti di diritto pubblico attraverso il controllo e la gestione dei lavoratori stessi approfittando di un contesto in cui, come giustamente si diceva nella relazione, con questa crisi sanitaria è tornato di grande attualità il tema dell’organizzazione del lavoro e chi lo deve determinare. Su questo noi dobbiamo concentrarci anche partendo dalla sicurezza sul lavoro.
Infine non c’è dubbio che questo deve andare di pari passo con la battaglia per il rinnovo del contratto nazionale e qui voglio concludere. Abbiamo fatto bene ad aprire la vertenza anche per le piccole e medie industrie e gli altri settori per unificare la categoria, tuttavia io credo che sul tema del salario noi dobbiamo essere assolutamente fermi. Da un lato io non condivido la proposta di defiscalizzare gli aumenti, perchè questa è una partita di giro in cui i lavoratori di fatto si devono pagare da soli gli incrementi retributivi. A pagare devono essere i padroni dato che loro in tutti questi anni i profitti li hanno continuati a fare, punto e basta. In secondo luogo non possiamo iniziare la trattativa facendoci già noi in partenza la mediazione al ribasso. Non credo noi si debba accettare di “riequilibrare” le voci degli aumenti richiesti. Abbiamo chiesto un aumento dei minimi dell’8%, da lì partiamo e da lì facciamo la nostra battaglia.
In sostanza abbiamo bisogno per affrontare il prossimo periodo non di una linea di collaborazione di classe, ma indipendente e basata sul conflitto e sul far valere gli interessi dei lavoratori.
Grazie
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