No Triv – Vota SÌ e lotta contro Renzi e i petrolieri
Un referendum si terrà il 17 aprile prossimo.
Arriva già depotenziato: affronta solo un piccolo tassello del problema trivelle. In particolare non riguarda la terraferma, ma solo il mare, anzi – solo le concessioni già accordate, ed entro le 12 miglia marine (poco più di 22 Km).
Se vince il NO, o non si raggiunge il quorum, le aziende petrolifere e del gas potranno sfruttare i giacimenti già ottenuti in concessione fino alla durata della loro “vita utile”. In pratica, senza limiti.
Se vince il SI’, le concessioni arriveranno alla propria scadenza, senza possibilità di ulteriori proroghe. Il che potrebbe voler dire comunque ancora diversi anni.
Da diversi anni associazioni, comitati e movimenti sono mobilitati per difendere i propri territori dall’assalto delle multinazionali di petrolio e gas.
Oltre a cemento e inceneritori, lo Sblocca Italia del governo Renzi “sblocca” le Trivelle: che infatti diventano strategiche, “di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. Si velocizzano così le autorizzazioni necessarie e si unificano le richieste di ricerca ed estrazione, prima separate. Si concentrano i poteri in mano al ministero dello sviluppo economico, con l’idea di limitare partecipazione e proteste; mossa che di certo non basta a fermare le lotte, anzi.
Ma ecco che, per frenare le mobilitazioni, 10 regioni – molte delle quali a guida dello stesso PD – decidono di presentare, nel settembre scorso, un pacchetto di 6 quesiti referendari. Abbiate fiducia nelle istituzioni e nei loro strumenti di partecipazione democratica, dicono. E infatti presidi e cortei si riducono.
Il governo cambia ulteriormente le carte in tavola, anche sulla pressione delle lotte, e accoglie tre quesiti, con la legge di Stabilità 2016. La Cassazione respinge ne respinge altri due.
Per abbassare la partecipazione, il governo ha poi rifiutato l’accorpamento del referendum con le elezioni amministrative; i costi ulteriori per questa manovra sono stimati in 360 milioni di Euro, cifra molto simile all’ammontare di tutte le royalties pagate in un anno allo Stato italiano per sfruttarne i giacimenti!
Scegliendo la prima data utile per il voto, Renzi scommette sui tempi ristretti in modo da favorire l’astensione.
Un muro del silenzio è il principale nemico del SI’.
Del resto gli argomenti del NO, sono facilmente attaccabili. Vediamone alcuni.
“Dovremmo estrarre per non dipendere da altri paesi”
In realtà importiamo il 90% del nostro fabbisogno, e non potrebbe essere altrimenti. Se anche si estraessero tutte le riserve certe presenti nei nostri mari, il petrolio basterebbe per sole 7 settimane di consumi, e il gas per 6 mesi. Il privato ne potrebbe disporre poi come meglio crede, e quindi anche rivenderli all’estero.
“Si perderebbero posti di lavoro”
Non sarà certo la vittoria del SI’ a causare la perdita dei posti di lavoro. Anzi, incentivando le rinnovabili, se ne guadagnerebbero in termini assoluti, dato che quella petrolifera è un’industria a bassa intensità di lavoro. Si stima che Ombrina, uno dei progetti di estrazione più rilevanti e più contestati di fronte alle coste abruzzesi, avrebbe portato solo 24 nuovi occupati.
“Ci guadagniamo tanto”
Le royalties che le aziende private pagano per sfruttare un bene pubblico sono tra le più basse al mondo (tra il 7 e il 10% – mentre ad esempio in Norvegia sono al 70%). Se poi estraggono fino a 20.000 tonnellate di petrolio in terra e 50.000 in mare o 25 milioni di metri cubi di gas in terra e 80 milioni in mare, addirittura non pagano niente. Il nostro paese è un vero paradiso fiscale per petrolieri.
E poi, perché sfruttare una risorsa scarsa, inquinante e in esaurimento, quando si potrebbe investire nelle rinnovabili, più pulite e pressoché illimitate? Considerato che quest’anno la quota delle rinnovabili ha già superato il 40% dell’energia prodotta in Italia, l’alternativa non appare nemmeno così remota.
E soprattutto, vale la pena sacrificare turismo, cultura, pesca, agricoltura, enogastronomia e paesaggio per un pugno di barili?
Un’ultima obiezione coglie di più il segno: tanti lavoratori e giovani sono convinti che il referendum non serve perché “tanto fanno comunque come vogliono loro”.
È già successo col referendum sui servizi pubblici del 2011, quando oltre il 90% aveva votato per l’acqua pubblica. Anche stavolta il governo farà di tutto per annullarne gli effetti. Allora non basta votare Sì il 17 Aprile. Il referendum è solo un inizio: senza lotte, senza pressione dal basso, il governo è pronto a rimangiarsi quanto “concesso”, e con gli interessi.
Anche all’interno del fronte che combatte le trivelle, dobbiamo superare la posizione miope di chi le vede come un problema solo ambientale. Il modello energetico inquinante che ci viene proposto non cade dal cielo,ma è funzionale alla logica del profitto. Il sistema capitalista vede il territorio solo come una risorsa da sfruttare in modo selvaggio, sacrificando la democrazia e l’ambiente per il guadagno di pochi. Senza cambiare radicalmente questo sistema, le soluzioni saranno sempre parziali, precarie e insufficienti.
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