NO TAV – Condannata per una tesi di laurea
Intervista con Roberta Chiroli
Negli ultimi mesi abbiamo visto l’inasprirsi della repressione contro il movimento No Tav in Val Susa. Solo lo scorso 21 giugno ci sono stati 23 nuovi arresti: tra i fermati con obbligo di firma troviamo Nicoletta Dosio, figura storica della sinistra in valle, e un’altra attivista ultrasettantenne, Marisa, che il 28 giugno 2015 a Chiomonte era seduta sul camioncino che apriva la manifestazione No Tav poiché a causa dell’età fatica a camminare. Ma la repressione colpisce anche studenti universitari che si trovano in valle a fini di ricerca. È il caso di Roberta Chiroli, laureata in antropologia alla Ca’ Foscari di Venezia, che noi abbiamo intervistato:
Ciao Roberta, puoi spiegarci che cosa ti è successo?
Nell’estate 2013 mi trovavo in Val Susa per svolgere la mia ricerca sul campo, per la tesi di laurea specialistica in Antropologia Culturale, sul movimento No Tav e perciò partecipavo a tutte le sue attività. L’azione – per cui sono finita in tribunale e condannata a due mesi con la condizionale – è avvenuta nel giugno 2013 ad opera degli attivisti del campeggio studentesco (quindici imputati erano minorenni) nei confronti della ditta Itinera che lavora per il cantiere del Tav. Io mi trovavo lì in qualità di ricercatrice, così come la mia coimputata, una dottoranda in sociologia, e insieme a lei mi sono limitata ad osservare senza partecipare attivamente all’azione; lei è stata però prosciolta da ogni accusa mentre io sono stata condannata a causa del mio “concorso morale”. Infatti, nonostante nei video e nelle foto della Digos io e la mia collega compariamo sempre insieme e non ci siano prove dei reati, nella tesi descrivo l’azione con la prima persona plurale, e secondo i giudici questo dimostra la mia colpevolezza. Nel paragrafo incriminato preciso che mi sono sempre tenuta fuori dal perimetro della ditta ma durante il breve blocco stradale che è seguito ho utilizzato la prima persona plurale, anche se in realtà sono sempre rimasta al lato della carreggiata. Ho utilizzato quella formula perché l’uso del “noi” ribadiva la mia “osservazione partecipante”, modello ampiamente usato in antropologia a partire da Malinowski negli anni ‘30.
In sostanza hai descritto una azione di protesta del movimento No Tav e sei stata condannata in nome di una sorta di “concorso morale”. Ci sembra un inasprimento della repressione contro il movimento.
È così. Già a proposito della azione di cui sopra, da diretta testimone posso affermare che le accuse, come ad esempio quella di violenza privata, sono spropositate: bloccare una strada e quindi il transito di un camion per qualche minuto sventolando bandiere e uno striscione non è violenza privata contro il conducente. La repressione giudiziaria oggi cerca di colpire gli attivisti e spaventare i simpatizzanti, con accuse pesantissime come quella di terrorismo rivolta ad alcuni militanti già nel 2013, che hanno per questo rischiato il 41bis, il regime carcerario riservato ai mafiosi, e poi misure cautelari come la carcerazione, gli arresti domiciliari e i fogli di via.
La sentenza contro Roberta Chiroli ha un valore politico: significa che la ricerca sotto il capitalismo è subordinata agli interessi di classe. Infatti quando si deve reprimere un movimento che si schiera contro una grande opera del capitalismo italiano non c’è libertà di espressione che tenga. Per questo ci schieriamo con Roberta e con tutta la comunità della Val Susa, contro un sistema che ne calpesta ogni giorno i diritti più elementari in nome del profitto.
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