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NO alla guerra, NO all’imperialismo, NO al riarmo

La propaganda ufficiale sulla guerra ha una voce sola, che viene ripetuta in maniera martellante, asfissiante: Putin è il nuovo Hitler, che aggredisce senza motivo una piccola nazione libera, pacifica e democratica, l’Ucraina, che sta rispondendo con un’eroica resistenza popolare. Nulla si dice invece sul ruolo predominante che hanno giocato Stati Uniti, NATO ed Unione Europea nel provocare questo conflitto.

L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

L’invasione russa dell’Ucraina indiscutibilmente ha un carattere profondamente reazionario, colpisce in maniera vergognosa la popolazione civile ucraina e contribuisce a seminare il veleno nazionalista tra i popoli. Tuttavia, se i crimini di Putin ci vengono sbattuti in prima pagina tutti i giorni, ventiquattrore su ventiquattro, c’è invece un silenzio assordante sul gioco sporco condotto dalle potenze occidentali.

Eppure sono stati gli USA e i governi europei a portare avanti per decenni l’espansione della NATO verso Est, allo scopo di accerchiare la Russia. Sono stati loro nel 2014 a foraggiare e sostenere gli elementi ultra-nazionalisti e fascisti di Euromaidan, per rovesciare con la forza il governo di Yanukovich e installare a Kiev un governo ferocemente anti-russo. Sono stati sempre loro a promuovere la guerra civile in Ucraina, finanziando e armando il tentativo del governo di Kiev di riconquistare le repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, impiegando milizie paramilitari neo-naziste che hanno compiuto violenze di ogni tipo contro la popolazione civile del Donbass.

E ancora, sono stati gli americani a rifiutarsi di fare la benché minima concessione a Putin, senza però farsi in nessun modo carico della difesa dell’Ucraina, esponendo così cinicamente la popolazione ucraina alla rappresaglia russa. Sono infine i paesi del blocco occidentale che stanno mandando armamenti, volontari e contractors (leggasi mercenari…) all’esercito ucraino, non allo scopo di ottenere una vittoria e liberare il paese, ma solo per prolungare i combattimenti e logorare le truppe russe il più a lungo possibile.

Quella che vediamo non è quindi una partita a due tra la grande Russia e la piccola Ucraina, ma una guerra di potenza tra l’imperialismo occidentale da una parte e quello russo dall’altra, che ha l’Ucraina come campo di battaglia. Uno scontro sanguinoso in cui la Russia mette le proprie truppe, mentre gli USA e la UE mandano avanti gli ucraini a combattere al loro posto. è del tutto naturale che gli ucraini vogliano combattere per difendersi dall’invasione russa, ma è fondamentale capire che, in questo contesto internazionale, il loro sangue verrà inevitabilmente versato non in nome dell’indipendenza nazionale, ma nell’interesse delle borghesie americane ed europee.

 

Il riarmo

Alla luce di tutto questo, in Europa e in America non possiamo certo limitarci a puntare il dito contro Putin, ma dobbiamo lottare contro i “nostri” governi, tanto più che questi stanno portando avanti politiche di aumento delle spese militari. Dopo anni a tagliare la spesa pubblica per la sanità, la scuola e le pensioni, e mentre le famiglie di lavoratori devono lottare contro l’aumento dei prezzi, i governi europei stanno investendo somme enormi in armamenti.

Il caso più clamoroso è quello del governo tedesco, che ha deciso di stanziare 100 miliardi di euro per il riarmo. Anche il nostro ministro della difesa Guerini ha proposto di aumentare di ben 13 miliardi il budget militare.

La mobilitazione dei paesi europei è peraltro generalizzata. Per la prima volta nella sua storia, il bilancio dell’Unione Europea è stato utilizzato per acquistare armi. In paesi come la Svezia e la Finlandia, rimasti neutrali anche durante la Guerra Fredda, si sta discutendo apertamente dell’adesione alla NATO e del riarmo. Persino il paese che è l’emblema della neutralità, la Svizzera, ha annunciato che imporrà alla Russia le stesse sanzioni decise dall’Unione Europea.

è quindi fondamentale che le mobilitazioni contro la guerra non si limitino a denunciare Putin, ma pongano al primo posto la lotta contro il riarmo e contro la NATO. In mancanza di questo, le manifestazioni per la pace finiranno per trovarsi arruolate nel partito militarista di casa nostra. Un buon esempio di questo è il corteo “contro la guerra” di Firenze del 12 marzo, che ha visto anche l’adesione della CGIL, durante il quale il PD in maniera ignobile ha invocato la costituzione della no-fly zone e cioè un’escalation incontrollata della guerra.

 

No alle sanzioni

Altrettanto imprescindibile è un’opposizione intransigente contro le sanzioni economiche. Ci sono tanti mezzi per condurre una guerra. Putin sta impiegando missili e carri armati, l’Occidente sta invece facendo affidamento sulle sanzioni. Strangolare economicamente un paese e ridurlo alla fame non è meno spregevole di bombardarlo.

In passato erano già stati adottati provvedimenti economici contro la Russia, per esempio in occasione dell’annessione della Crimea nel 2014, ma si era trattato di sanzioni tutto sommato limitate, che avevano sortito effetti minimi. Oggi le sanzioni sono molto più pesanti: il congelamento delle riserve all’estero della Banca centrale russa, l’esclusione di alcune importanti banche russe dai sistemi di pagamento internazionale, il ritiro totale o parziale di numerose multinazionali occidentali dalla Russia… A questo si aggiungono le confische dei beni personali degli oligarchi, il blocco delle importazioni di petrolio e beni di lusso deciso dagli USA, oltre ai piani dei paesi europei per ridimensionare gli acquisti di gas dalla Russia…

è evidente che sanzioni di questa portata, per quanto non paralizzeranno lo sforzo bellico di Putin, avranno un forte impatto sull’economia russa. Come sempre in questi casi, ad essere colpiti più duramente saranno soprattutto i settori più poveri della popolazione. D’altro canto le sanzioni provocheranno seri contraccolpi anche sulle economie occidentali. Le multinazionali americane ed europee, andandosene, perderanno una fetta dei loro profitti. Il regime di Mosca potrebbe inoltre adottare delle rappresaglie e in effetti ha già minacciato di nazionalizzare le imprese e i capitali stranieri rimasti in Russia, il che comporterebbe ulteriori gravi perdite.

La verità è che l’economia mondiale, per quanto ufficialmente in una fase di ripresa, è uscita dalla pandemia fortemente indebolita, soprattutto a causa dell’aumento dell’inflazione, e l’impatto globale di queste sanzioni potrebbe provocare una nuova crisi economica generalizzata. E anche questa volta il conto della crisi, dell’economia di guerra, verrà presentato alla classe lavoratrice. I lavoratori hanno anzi già iniziato a pagare: se qualcuno avesse dei dubbi su questo, può semplicemente provare ad andare a fare il pieno al distributore o dare un’occhiata ai prezzi dei generi alimentari sui banchi dei supermercati.

 

Il fronte russo

è difficile fare una previsione su quale sarà il concreto svolgimento della guerra. Quello che però emerge è che l’esercito russo non si è limitato ad una rapida incursione, ma sta ammassando sempre più forze in territorio ucraino. Più che di una guerra lampo, sembra di essere di fronte ad una guerra d’assedio con tempi più lunghi. E aumenta così il rischio che la Russia si ritrovi impantanata in una guerra difficile.

All’inizio di ogni guerra c’è sempre un certo livello di isteria patriottica nella società e al momento le manifestazioni contro la guerra in Russia sono state ridotte al silenzio inasprendo ulteriormente il livello di repressione. Tuttavia se la guerra dovesse andare per le lunghe, inasprirsi, comportare un elevato numero di perdite e costi a lungo andare insostenibili, la situazione potrebbe cambiare radicalmente. Ogni contraccolpo, ogni passo falso nell’andamento della guerra potrebbe avere conseguenze fatali sul piano interno per Putin, determinando l’esplosione di un movimento di massa contro il regime.

La classe lavoratrice russa è l’unica che può abbattere Putin e porre fine a questa guerra; e solo in essa possiamo riporre la nostra fiducia, non certo nelle politiche ipocrite dell’imperialismo americano e dei suoi alleati europei.

 

Una pace di compromesso?

I colloqui diplomatici procedono di pari passo con i combattimenti e i candidati al ruolo di mediatore internazionale non mancano di certo: il primo ministro israeliano Bennet, Macron, Erdogan e Xi Jinping ci hanno tutti provato, ma le possibilità di arrivare ad un accordo di pace, che stabilizzi la situazione in maniera duratura, sono scarse.

Gli interessi in gioco sono difficilmente conciliabili. Da una parte Putin, dopo aver scatenato una guerra di questa portata, non può certo perdere la faccia, ritirandosi senza aver ottenuto alcun risultato tangibile. Dall’altra Zelensky non può spingersi troppo in là nelle concessioni a Putin, perché altrimenti rischierebbe di essere rovesciato dalle forze ultranazionaliste. Chi poi ha meno interesse di tutti a raggiungere un compromesso è proprio Biden, che grazie alla guerra vede tutti i paesi dell’Unione Europea allineati alla politica estera americana come non accadeva da tempo e spera di recidere ulteriormente i legami economici tra Russia ed Europa, a tutto vantaggio degli USA.

Questo non vuol dire che sia impossibile arrivare ad un accordo di qualche tipo, ma anche in tal caso non si tratterebbe che di una tregua temporanea, che difficilmente risolverà le contraddizioni in campo e non farà altro che preparare la strada a nuovi combattimenti.

Da questo punto di vista può essere utile ricordare gli accordi di Minsk del 2014-2015 (sottoscritti da Russia, Ucraina, Germania e Francia), che in teoria avrebbero dovuto porre fine alla guerra del Donbass. In realtà questi accordi non hanno risolto nulla: i combattimenti nel Donbass sono proseguiti e la situazione si è anzi incancrenita a tal punto che, a otto anni di distanza, il conflitto è oggi riesploso in forma estremamente più grave. E, vale la pena ricordarlo, la situazione è molto più ingarbugliata oggi di quanto non fosse al tempo degli accordi di Minsk.

 

Il nuovo disordine mondiale

Se guardiamo oltre le cause più immediate del conflitto, possiamo constatare come la guerra in Ucraina sia un sintomo clamoroso della crisi generalizzata del capitalismo a livello mondiale. La crisi economica del 2008 e quella del 2020 hanno lasciato profonde cicatrici. L’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, il rincaro dei generi di prima necessità non sono cominciati con la guerra in Ucraina, erano problemi presenti già prima, che la guerra e le sanzioni hanno solo ulteriormente esacerbato.

Questa situazione economica difficile provoca un aumento delle tensioni a livello mondiale tra le diverse potenze, che non riescono più a risolvere i loro contrasti per via diplomatica e fanno ricorso ad altri mezzi. Così dalle guerre commerciali si passa a quelle militari, dai dazi protezionisti si passa al riarmo. Ogni paese ricerca la propria indipendenza nell’approvvigionamento energetico, nelle forniture di materie prime, nelle reti informatiche; tende a costituire blocchi commerciali dai quali escludere le imprese dei paesi avversari; si arma fino ai denti per difendere le proprie aree di influenza o per conquistarne di nuove.

Questa è la ricetta per un’epoca di nuovi nazionalismi e nuove guerre imperialiste. Non potremo liberarci di questi orrori, senza liberarci del sistema capitalista decadente che li genera. Oggi più che mai si pone un’alternativa netta, che non prevede vie di mezzo: socialismo o barbarie.

15 marzo 2022

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