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NO alla guerra, NO ai sacrifici

L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

La guerra in Ucraina prosegue, si fa sempre più crudele e soprattutto non se ne vede la fine. Una soluzione del conflitto sembra allontanarsi tanto sul piano militare che su quello diplomatico. La Russia non appare in grado di ottenere un successo militare risolutivo in tempi brevi e in questo hanno giocato un ruolo decisivo le armi inviate all’esercito ucraino dagli Stati Uniti e dagli altri paesi NATO.

Contrariamente alle rappresentazioni giornalistiche che ci parlano di una resistenza popolare ucraina combattuta con le bottiglie molotov, quella che vediamo in Ucraina è una guerra convenzionale, in cui le truppe regolari ucraine hanno impiegato droni, artiglieria e missili forniti dai paesi occidentali. D’altra parte l’aiuto militare dell’Occidente non è sufficiente a garantire una vittoria dell’Ucraina, serve solo a far proseguire i combattimenti a oltranza, a impedire a Putin di dilagare, a logorare le truppe russe e infliggere loro quante più perdite possibile.

Anche le prospettive diplomatiche non appaiono molto più incoraggianti. Dell’ONU è meglio non parlare nemmeno, dal momento che la sua inutilità è più che mai palese: lo stesso Zelensky ha dichiarato che le Nazioni Unite farebbero meglio a sciogliersi e nessuno ha battuto ciglio. Quanto ai colloqui bilaterali, le accuse di crimini di guerra contro Putin e i suoi generali rendono ancora più remota la possibilità di una soluzione di compromesso. Il leader russo non ha certo intenzione di fare la stessa fine di Slobodan Milosevic, l’ex presidente della Serbia morto in una cella del Tribunale dell’Aja.

E così la guerra va avanti, con tutti gli elementi di barbarie che inevitabilmente porta con sé. A farne le spese sono gli ucraini, sfruttati cinicamente come carne da cannone dalla NATO, ma anche i giovani soldati di leva russi, mandati al macello contro la loro volontà nell’esclusivo interesse del regime di Mosca.

Intanto il governo Draghi prosegue sulla strada del riarmo, aumentando di altri 13 miliardi il budget per acquistare armamenti. Tutti i soldi che negli ultimi anni non si sono mai trovati per finanziare la sanità, la scuola e le pensioni, ora si trovano miracolosamente per comprare armi. Conte ha cercato di rifarsi una verginità facendo dichiarazioni roboanti contro le spese militari, ma oramai è risaputo che la tenuta dei 5 Stelle sulle questioni “di principio” è la stessa di un cubetto di ghiaccio sotto il sole d’agosto: e infatti in Senato non hanno fatto mancare il loro voto favorevole al Decreto Ucraina.

Nella discussione sul prossimo Def (Documento di Economia e Finanza), si parla esplicitamente di “economia di guerra”. La situazione economica peggiora a vista d’occhio e il problema dei costi dell’energia incombe. Draghi ha dichiarato che dobbiamo rinunciare ai condizionatori d’estate per amore della pace, ma i sacrifici che il governo ci chiederà vanno ben oltre l’aria condizionata.

Da più parti si scrive che “la libertà ha un prezzo”. Sulla libertà ci sarebbe parecchio da ridire, visto che il ministro Di Maio è stato da poco a Baku per contrattare l’aumento delle forniture di gas con Ilham Aliyev, il despota la cui famiglia governa con pugno di ferro l’Azerbaigian da trent’anni. Ma a prescindere da questo, la vera domanda è: chi pagherà il prezzo di questa presunta libertà? Chi pagherà per l’acquisto delle nuove armi? Chi pagherà i costi più alti per le forniture di energia? Chi sosterrà il peso dell’inflazione? Non certo le grandi aziende del settore energetico, che anzi stanno facendo profitti favolosi. Non certo gli oligarchi di casa nostra, i grandi capitalisti che hanno i conti nei paradisi fiscali. Pagheranno come sempre i lavoratori con i loro salari sempre più magri. D’altronde anche i fondi destinati dal governo a contenere il caro-bollette e il caro-benzina da dove arrivano se non dalla fiscalità generale, rimpinguata in massima parte dalle tasse pagate dalla classe lavoratrice? Si sa che, a differenza dei grandi speculatori finanziari, i lavoratori dipendenti non possono evadere le tasse, visto che i prelievi fiscali alleggeriscono le loro buste paga ancora prima di ricevere lo stipendio.

Se vogliamo evitare di pagare il prezzo di questa guerra imperialista, dobbiamo prendere esempio dalla classe operaia greca. In Grecia il 6 aprile si è svolto uno sciopero generale contro l’inflazione, in cui i sindacati rivendicavano aumenti salariali del 13%, mentre i lavoratori delle ferrovie si sono rifiutati di trasportare i carri armati della NATO diretti in Europa orientale. Questa è la strada giusta da seguire, in Italia e a livello internazionale.

12 aprile 2022

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