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Navi militari, produzioni essenziali? Le ragioni dello sciopero Fiom a Riva Trigoso

Fincantieri ha otto siti produttivi in Italia di cui tre in Liguria (Sestri Ponente, Riva Trigoso in provincia di Genova e Muggiano, La Spezia). Il cantiere di Riva Trigoso occupa 789 lavoratori di cui 340 operai e 450 tra impiegati e tecnici.

Il cantiere ha fondamentalmente due strutture: il settore navale con 500 addetti ed il settore officina meccanica con 290 addetti. Vi è poi la forza lavoro che fa capo a ditte di appalto, sono quasi tutti operai e complessivamente sono circa 1.200.

La produzione prevalente è quella della costruzione di navi per la Marina militare. Qui viene costruita la struttura portante di queste navi a cominciare, come è intuibile, dallo scafo. L’allestimento definitivo viene posto in essere nel cantiere di Muggiano.

Attualmente sono in costruzione tre “pattugliatori” per la Marina militare.

Tra i 789 lavoratori alle dipendenze dirette di Fincantieri circa il 60% è iscritto ad un sindacato confederale: Fiom 100, Fim 100, Uilm 280 circa. Fra i lavoratori delle ditte di appalto il tasso di sindacalizzazione è quasi nullo. C’è una presenza più ridotta dei sindacati di base.

Ma veniamo ora alle vicende che hanno condotto alla proclamazione dello sciopero di 8 ore per la giornata di oggi (20 aprile).

In questi giorni il cantiere è stato chiuso e non si è svolta alcuna attività lavorativa: sono stati i lavoratori dal “basso” che in un primo momento si sono astenuti dal lavoro ricorrendo a giorni di ferie e/o permessi parentali senza ricorrere ad azioni di sciopero. Attualmente, dopo l’accordo del 14 marzo tra governo, sindacati e organizzazioni padronali, sono coperti dalla cassa integrazione fino al 3 maggio.

Le manovre e le pressioni della direzione del cantiere per una ripresa accelerata dell’attività in verità non sono mai cessate, anche se con tutta evidenza non si comprende come possa essere considerata essenziale una produzione di navi, nel caso concreto pattugliatori marini, ma sappiamo bene quante maglie larghe abbia lasciato l’accordo del 14 marzo.

Il 10 aprile dopo un confronto con la direzione aziendale Fim e Uilm siglavano un accordo per la ripresa dell’attività produttiva a fare data dal 20 aprile qualora ne ricorressero le condizioni di sicurezza in osservanza dei Dpcm in vigore o che si sarebbero succeduti nel tempo.

Il fatto più eclatante è che in quel protocollo di intesa non veniva specificato in alcun modo quali norme e strumenti dovessero essere messi in atto per tutelare la salute dei lavoratori ed anche chi dovesse controllare e con quali modalità. In pratica si lasciava alla direzione del cantiere la più ampia discrezionalità.

Le Rsu e Rsl Fiom del cantiere si sono opposte e non hanno firmato l’accordo denunciandolo anche pubblicamente attraverso i media locali e regionali con un comunicato dal titolo eloquente: “Prima la salute o il profitto?” a seguire …noi non ci stiamo….la salute viene prima del profitto.

Analoga mobilitazione è stata fatta per il cantiere di Muggiano ma in quel caso anche Fim e Uilm non hanno firmato.

A questo punto il 16 aprile è intervenuto un protocollo di intesa a livello nazionale tra i Coordinatori nazionali di Fiom–Fim-Uilm e la direzione di Fincantieri con il quale si conviene che: ”la ripresa delle attività nei cantieri/sedi avverrà con modalità progressive e con una pianificazione caratterizzata da accentuata gradualità mantenendo, in una prima fase, una significativa presenza di attività in smart working”. Le parti si sono aggiornate al 29 aprile.

Le ragioni dei delegati Rsu-Rsl Fiom e di tutti quei lavoratori che non vogliono rientrare a lavorare nel cantiere sono sacrosante.

Nel cantiere non è stata posta in essere alcuna dotazione o operazioni di sanificazione tali da garantire una sicurezza non diciamo totale, che non esiste, ma minimamente accettabile. I dispositivi di sanificazione sono una trentina in tutto il cantiere, nella sola officina meccanica si trovano solo in prossimità dei servizi igienici e quando l’officina lavora a pieno regime può contenere fino a circa 150 lavoratori. Inoltre le mascherine chirurgiche non sono quelle previste dalla norma tecnica UNI EN 14683:2019.

La direzione nega anche la distribuzione di guanti monouso richiesti dai Rsl, nega la sanificazione dei comandi e cabine dei mezzi di trasporto o di movimentazione tra i diversi turni da parte del personale qualificato, e via di questo passo, l’elenco non si esaurisce con quanto appena evidenziato.

I delegati Rsu Fiom ed i lavoratori che fanno a loro riferimento stanno operando in condizioni di grande difficoltà stretti come sono fra le pressioni aziendali e l’opportunismo inqualificabile di Fim e Uilm ma sono molto determinati a difendere le condizioni di salute di tutti i lavoratori.

Il comportamento della Uilm in particolare non è nuovo, visto che in questo cantiere si configura come un vero e proprio sindacato giallo, che ha visto crescere i propri iscritti con assunzioni clientelari e accordi personali della peggior specie con la direzione del cantiere che ha utilizzato questa sigla sindacale per operare divisioni nella forza lavoro del sito produttivo.

Venerdì 17 aprile i delegati Rsu Fiom vengono a sapere che la direzione del cantiere vuole riprendere l’attività produttiva che non è certo quella contenuta nel protocollo nazionale del 16 aprile. Infatti vuole richiamare in produzione almeno 250 lavoratori, 100 nel “navale e 150 nella “officina meccanica”, più altri 80 con modalità smart working.

Ai delegati Rsu Fiom non resta che proclamare lo sciopero di otto ore per la giornata di lunedì 20 aprile. La Fiom nazionale sabato 18 aprile ha emesso un comunicato diffidando la direzione del cantiere dall’intraprendere una riapertura dell’attività lavorativa che non rispetti le intese raggiunte e le disposizioni di legge, testualmente:….”se lunedì 20 aprile si dovessero registrare forzature nei siti da parte di Fincantieri, o situazioni di rischio, la Fiom metterà in atto tutte le opportune azioni per la tutele della salute dei lavoratori”.

La vicenda in atto per Fincantieri in tema di disprezzo della salute dei lavoratori e della collettività e di sete del profitto non è certo l’unica nel panorama nazionale e persino mondiale.

Siamo bombardati di spot “ce la faremo”, “andrà tutto bene”, “restate a casa”, “lavatevi le mani spesso” e via di questo passo, ma quando si tratta di produrre, vendere e realizzare profitti le cose cambiano radicalmente.

Il padronato preme per accelerare la ripresa dell’attività produttiva anche se i dati epidemiologici sono tutt’altro che tranquillizzanti, pensano al Pil che è in caduta libera, cioè pensano ai loro profitti.

Questo episodio dimostra tuttavia anche le debolezze sindacali, vale a dire che linea del gruppo dirigente nazionale della Cgil: “ci limitiamo a discutere sul come, non sul quando rientrare al lavoro, decisione quest’ultima che spetta al governo”, sia una linea a dir poco debole, in quanto è del tutto evidente che oggi è ancora troppo presto per rientrare al lavoro, tanto più per terminare la costruzione di tre pattugliatori militari(!?!).

L’accordo Fiat così come altri accordi sottoscritti in grandi aziende, rappresentano un’apripista, un incoraggiamento nei confronti di un padronato che anche con l’elezione di Bonomi, mostra la sua faccia più aggressiva e sta mettendo in campo ogni tipo di pressioni e di sotterfugi per far riprendere le produzioni non essenziali, senza badare minimamente alla sicurezza dei lavoratori.

Salutiamo calorosamente lo sciopero della Fiom di questa mattina a Riva Trigoso.

Ma proprio per questo rivendichiamo con forza che i vertici sindacali non facciano saltare la trincea principale, con accordi nazionali al ribasso, costringendo le singole Rsu e i lavoratori più coscienti a difendere la sicurezza cantiere per cantiere, stabilimento per stabilimento, in una posizione di maggiore debolezza.

Non è ancora tempo di tornare al lavoro, fermare tutti i protocolli di intesa per un rientro precedente al 4 maggio! Garantire solo le produzioni essenziali che vengono considerati tali anche dalle rappresentanze dirette dei lavoratori.

I lavoratori non sono carne da macello!

 

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