Milano, 19 gennaio – Sciopero e manifestazione contro le morti sul lavoro
Venerdì 19 gennaio è convocata la manifestazione con sciopero delle aziende metalmeccaniche di Milano e della Lombardia per protesta dopo l’incidente che ha fatto tre vittime in un’azienda siderurgica, lasciando un quarto operaio in condizioni gravissime.
Dai pochi elementi fin qui resi pubblici, i quattro operai sono stati vittime di intossicazione o di asfissia dopo essere entrati nella fossa che alloggia il forno utilizzato per scaldare l’acciaio in lavorazione.
Si parla di un allarme non funzionante e di una valvola rotta che avrebbe causato la saturazione dell’ambiente con l’azoto, abbassando la presenza di ossigeno al punto da causare l’asfissia dei lavoratori entrati per un intervento di manutenzione.
Gli incidenti in ambienti ristretti, dove l’atmosfera più facilmente può saturarsi di gas tossici o infiammabili sono spesso tra i più micidiali. Basti ricordare casi come la Umbria Olii o le navi “Sansovino” e, più indietro nel tempo, la “Elisabetta Montanari”, dove furono gas tossici o infiammabili concentrati in cisterne a causare la strage. Ma non sono gli unici.
Non si tratta quindi di incidenti avvenuti nel pieno di un processo di lavorazione magari spinto oltre i limiti del consentito, ma che avvengono a impianti fermi, spesso coinvolgendo lavoratori specializzati come in genere sono quelli addetti alle manutenzioni.
Proprio per questo, e anche perché la Lamina viene descritta come un’azienda sindacalizzata, con lavoratori in regola, emerge con più chiarezza la vera essenza della lotta per la sicurezza sul lavoro.
Ora si parla di protocolli, di ispezioni, ecc. Giustissimo: vent’anni di deregolamentazione hanno indebolito quantità e qualità dei processi ispettivi. Gran parte della formazione alla sicurezza che si fa nelle imprese è una formalità più burocratica che altro. La legge 81 sulla sicurezza si basa su un principio di fondo che è a totale vantaggio dei padroni: tutto è basato su una colossale autocertificazione da parte dell’azienda stessa.
Ma il vero e fondamentale argine agli incidenti non viene solo dalle normative, viene dai rapporti di forza reali che esistono nell’azienda e in generale nel mondo del lavoro.
Il lavoratore che sta per compiere un gesto potenzialmente rischioso (ad esempio entrare in una cisterna non ventilata) si fermerà prima di farlo se ha ricevuto una formazione tale da fargli comprendere il rischio potenziale, ma soprattutto se ha la consapevolezza che può e deve rifiutarsi di farlo se non sono state prese le necessarie precauzioni e che questa sua decisione è giusta e legittima al di sopra delle esigenze dettate dai tempi di produzione.
Il lavoratore che segnala una disfunzione nella sicurezza (ad esempio un allarme non funzionante) deve sapere che oltre a segnalare il guasto può rifiutarsi di operare su quel macchinario e che questo è un suo diritto e dovere, per tutelare se stesso e gli altri.
I Rls devono avere il potere di fermare processi lavorativi che ritengono rischiosi per la salute o peggio la vita dei lavoratori. Ma questo potere oltre a essere scritto in una legge deve essere esigibile concretamente sulla base di rapporti di forza in azienda e nella società.
La ripresa economica ha come conseguenza diretta l’aumento degli incidenti e dei morti sul lavoro
Le denunce di infortuni mortali presentate all’Inail nei primi 11 mesi del 2017 sono state 952, con un incremento di 17 casi rispetto ai 935 dell’analogo periodo del 2016 (+1,8%).
Secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna nel 2017 sono morti in Lombardia 94 lavoratori di cui 29 a Milano.
I sindacati hanno chiesto che alla manifestazione di Milano non siano presenti bandiere di partito per evitare strumentalizzazioni elettorali. Non staremo qui a discutere un’indicazione comprensibile ma che rischia di essere comoda per tanti sepolcri imbiancati della politica e anche, ci permettiamo di aggiungere, di tante parti del movimento sindacale che in questi decenni invece di contrastare l’offensiva deregolatrice ne hanno decantato le magnifiche sorti progressive).
Una cosa però deve essere chiara. Non c’è questione più politica di questa: se contino di più fatturato e profitto o la vita e la salute dei lavoratori. E se anche inchieste e processi potranno forse stabilire la dinamica dei fatti, la vera risposta non verrà nelle aule di un tribunale o dai vertici in prefettura, ma da una chiara e cristallina ripresa del conflitto di classe, nei luoghi di lavoro e in tutta la società.
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