L’Unione Europea e la crisi del gas – Ognun per sé e Dio per tutti!

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L’Unione Europea e la crisi del gas – Ognun per sé e Dio per tutti!

L’Unione Europea sta pagando un prezzo estremamente salato per il suo allineamento all’imperialismo americano nella guerra in Ucraina e per l’applicazione delle sanzioni economiche contro la Russia. Con il taglio delle forniture di gas russo e la conseguente impennata verso l’alto del prezzo dell’energia, l’economia dell’eurozona rischia di rimanere paralizzata. Le industrie europee, che già prima avevano il loro bel daffare a competere con i concorrenti americani e cinesi, corrono oggi il rischio di perdere definitivamente competitività rispetto alle aziende degli altri paesi, per il semplice fatto che produrre in Europa comporta costi energetici molto più elevati.

 

Divisioni vecchie e nuove

Di fronte allo spettro della desertificazione industriale, la risposta dell’Unione Europea è stata tutt’altro che compatta e sono riemerse vecchie divisioni interne. Da una parte i paesi più deboli come l’Italia, che dispongono di meno risorse per tutelarsi e hanno quindi invocato una “risposta europea” alla crisi energetica: acquisti comuni di gas da parte della UE, introduzione di un tetto europeo al prezzo del gas, creazione di nuovo debito pubblico europeo per fronteggiare l’emergenza… Dall’altra i paesi che se la cavano meglio per conto proprio e non hanno nessuna intenzione di sobbarcarsi costi extra in nome della “solidarietà” europea: è il caso dell’Olanda, che ha i propri giacimenti e ospita ad Amsterdam il principale mercato di riferimento per lo scambio del gas in Europa.

Questa divisione riecheggia gli schieramenti che si erano già fronteggiati all’interno della UE nel 2020, con lo scoppio della pandemia. Già allora Italia, Spagna e Francia, che invocavano un pacchetto d’aiuti a carico del bilancio UE, si scontrarono con l’opposizione dei cosiddetti paesi “frugali” (Olanda, Austria, Finlandia…). A decidere l’esito dello scontro fu la Germania, prendendo posizione a favore di quello che poi sarebbe diventato il PNRR, sostanzialmente allo scopo di evitare una spaccatura definitiva e irreparabile dell’Unione: la borghesia tedesca ha infatti bisogno dell’impalcatura della UE per esercitare più facilmente la propria egemonia economica e politica in Europa.

Come sappiamo fin troppo bene, il PNRR non è certo servito ad alleviare la situazione sempre più difficile per le famiglie dei lavoratori che faticano a far quadrare i conti, essendo finito in massima parte nelle tasche delle grandi imprese, ma proprio per questo è diventato uno strumento imprescindibile per tenere insieme il blocco capitalista europeo.

 

L’accordo del 21 ottobre

Oggi la situazione è ancora più complicata rispetto al 2020 e la Germania sta adottando una linea ben diversa: si è schierata dalla parte dell’Olanda contro il tetto al prezzo del gas e ha varato un piano da 200 miliardi per proteggere la propria industria. Questo non vuol dire che la classe dominante tedesca lascerà che l’Unione Europea (di cui ha ancora bisogno) vada in pezzi, ma semplicemente che è disposta a sganciare molto meno rispetto al passato per tenere in piedi la baracca. Il compromesso raggiunto il 21 ottobre dal Consiglio Europeo ne è una chiara dimostrazione.

Per quanto la stampa nostrana abbia presentato l’accordo come un grande successo di Draghi alla sua ultima uscita da presidente del consiglio, in realtà c’è molto fumo e poco arrosto. Il Consiglio Europeo ha sottolineato l’urgenza di “misure concrete” sulla crisi energetica, ma queste misure non le ha adottate, le ha demandate a un successivo incontro dei ministri dell’energia e alla Commissione Europea, limitandosi a definire alcune linee guida. Queste linee guida sono a dir poco generiche, allo scopo di non scontentare nessuno. Si prevede una piattaforma europea per negoziare acquisti di gas in comune, ma la partecipazione è lasciata alla volontà dei singoli Stati… Il tetto sul prezzo del gas viene sostituito dal cosiddetto “corridoio dinamico”: un tetto variabile, oscillante, temporaneo, solo “di ultima istanza” e a patto che non metta a rischio le forniture… Insomma, se si gratta sotto i bizantinismi della burocrazia di Bruxelles, rimane ben poco. L’unica misura concreta è uno stanziamento di 40 miliardi di aiuti. Si tratta però non di risorse aggiuntive, ma di fondi rimasti inutilizzati dal bilancio europeo 2014-2020 e che ammontano solo a un quarto di quanto la Germania ha stanziato per se stessa.

 

Protezionismo energetico

Accordi di questo tipo possono servire a salvare le apparenze, ma rimane il problema di fondo e cioè che all’interno della UE convivono Stati nazionali (e borghesie nazionali) con interessi diversi e in conflitto tra loro. Ogni paese pensa in primo luogo per sé, a incrementare le proprie riserve energetiche e a proteggere le proprie aziende a discapito degli altri. L’Ungheria ha stipulato un accordo con la Russia per continuare a ricevere le forniture da Gazprom. Francia e Germania hanno nazionalizzato le rispettive industrie energetiche e siglato tra loro un patto bilaterale per scambiarsi gas ed energia, tagliando fuori gli altri paesi della UE. La Spagna, che è il paese ad avere il maggior numero di rigassificatori, mira a diventare l’hub del gas per il resto dell’Europa, ma per farlo ha bisogno di costruire un gasdotto che attraversi i Pirenei e la Francia si oppone per tutelare la propria industria energetica. Tutte queste misure di vero e proprio protezionismo energetico non faranno altro che aggravare la carenza generale di energia in Europa.

In questo contesto è del tutto impossibile che dall’Unione Europea possa arrivare una soluzione alla crisi del gas, i cui costi ricadranno interamente sulla classe lavoratrice attraverso aumenti delle bollette e delle spese per il riscaldamento, razionamenti e blackout, chiusure aziendali e perdita di posti di lavoro. I lavoratori europei non rimarranno fermi a subire tutto questo e scenderanno in campo per difendere le loro condizioni di vita contro i rispettivi governi. E se le borghesie nazionali della UE sono divise tra loro, la classe lavoratrice dei diversi paesi europei ha invece un interesse comune nel condurre una lotta per assumere il controllo della società e pianificare democraticamente l’impiego razionale di tutte le risorse economiche disponibili, a partire da quelle energetiche. Solo spazzando via l’Unione Europea capitalista, sarà possibile superare davvero i ristretti confini nazionali e realizzare una genuina unità dei popoli europei, nella forma di una Federazione socialista d’Europa.

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