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L’illusione riformista del “Green New Deal”

In questi ultimi mesi si sta imponendo nel dibattito a sinistra la proposta del Green New Deal (Gnd), anche sull’onda delle mobilitazioni ambientaliste internazionali.

A febbraio la neodeputata newyorchese Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey, entrambi del Partito democratico, hanno lanciato una risoluzione congressuale per un Green New Deal americano, che da un punto di vista politico è la versione più compiuta di questa “nuova” ricetta economica. Il Gnd ha creato un forte entusiasmo nella sinistra americana che appoggia Bernie Sanders, soprattutto nel suo settore giovanile. Parecchie organizzazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace, Sierra club, Extinction Rebellion, Friends of the Earth, sostengono il progetto. Il dibattito attorno alla questione del cambiamento climatico è sempre più acceso, in particolare dopo che l’amministrazione Trump si è schierata tra i paesi che non riconoscono il rapporto sul clima dell’Ipcc.

Centinaia di associazioni ambientaliste americane si stanno mobilitando e hanno scritto una lettera di protesta al congresso americano, in cui si dichiarava il supporto per le politiche volte a ridurre le emissioni di gas serra. Ciò includeva la cessazione dell’estrazione e dei sussidi di combustibili fossili, il passaggio al 100 per cento di energia rinnovabile pulita entro il 2035, l’espansione dei trasporti pubblici e riduzioni rigorose delle emissioni.

 

La proposta della Ocasio-Cortez

Questa proposta si articola in un documento di 14 pagine, che associandosi alle conclusioni scientifiche del rapporto Ipcc formula rivendicazioni molto ambiziose.

Questi in sintesi i punti proposti:

– ottenere le zero emissioni climalteranti, attraverso una transizione giusta ed equa per tutte le comunità e i lavoratori;

– investire in infrastrutture e nell’industria statunitense in modo sostenibile per far fronte alle minacce del XXI secolo, per eliminare l’inquinamento e le emissioni;

– costruire o aggiornare reti energetiche efficienti, distribuite e “intelligenti”, e lavorare per garantire un accesso economico all’elettricità.

Alcune proposte del Gnd: “Aggiornamento di tutti gli edifici esistenti negli Stati Uniti e costruzione di nuovi edifici per ottenere la massima efficienza energetica, efficienza idrica, sicurezza, convenienza, comfort e durata, anche attraverso l’elettrificazione. (…) la ristrutturazione dei sistemi di trasporto negli Stati Uniti per eliminare per quanto tecnologicamente possibile l’inquinamento e le emissioni di gas serra dal settore dei trasporti, anche attraverso investimenti in infrastrutture e produzione di veicoli a emissioni zero, trasporto pubblico accessibile e ferrovia ad alta velocità. (…)

Spronare la crescita massiccia nella produzione pulita negli Stati Uniti e rimuovere l’inquinamento e le emissioni di gas serra dalla produzione e dall’industria tanto quanto è tecnologicamente fattibile (…) rimuovere i gas serra dall’atmosfera, ripristinando gli ecosistemi naturali, con la conservazione del territorio e il rimboschimento, mentre per la biodiversità si chiede il recupero e la protezione degli ecosistemi in pericolo, oltre alla bonifica dei siti abbandonati e dei rifiuti pericolosi.”

Sul fronte dell’agricoltura si chiede di lavorare in collaborazione con gli agricoltori e allevatori negli Stati Uniti per rimuovere inquinamento e emissioni di gas serra dal settore agricolo, favorendo le fattorie familiari e quelle sostenibili.

 

“Come la Seconda guerra mondiale”

Il programma propone esplicitamente che gli Usa conquistino il primato in questo campo su scala mondiale. Non a caso oltre al New Deal degli anni ’30 il riferimento proposto è alla mobilitazione industriale durante la Seconda guerra mondiale.

“Considerando che le mobilitazioni guidate dal Governo federale durante la seconda guerra mondiale e il New Deal hanno creato la più grande classe media che gli Stati Uniti abbia mai visto, (…) la Camera dei Rappresentanti riconosce che una nuova mobilitazione nazionale, sociale, industriale ed economica su scala che non si vedeva dai tempi della Seconda guerra mondiale e dall’epoca del New Deal è un’opportunità storica”.

Possiamo tranquillamente parlare di un nuovo imperialismo “green”, anche in concorrenza alle politiche imperialiste della Cina, che punta molto su investimenti nei paesi africani nel nome delle energie rinnovabili, della tecnologia e delle infrastrutture.

Un progetto che non intende attaccare e tantomeno rovesciare il capitalismo, ma che propone una nuova egemonia mondiale del capitale Usa grazie alle tecnologie verdi, e che cerca il consenso della massa dei giovani, dei lavoratori e dei ceti medi impoveriti con la promessa di includervi provvedimenti quali l’assistenza sanitaria, il sostegno ai salari, le ferie retribuite, la sicurezza pensionistica, l’accesso ad acqua, aria e cibo puliti e di creare milioni di posti di lavoro qualificati e ad alto salario.

Per la nuova “sinistra” democratica americana di Sanders e Ocasio-Cortez dovrà essere lo Stato a dirigere gli investimenti per stimolare lo sviluppo economico alle attività delle istituzioni locali e regionali e delle imprese, in modo da creare ricchezza delle comunità, oltre alla piena occupazione, secondo le classiche ricette keynesiane. L’intervento dello Stato viene esplicitamente visto come stampella dell’industria privata, sia per creare un nuovo mercato, sia quando si riafferma la libera concorrenza dove ogni imprenditore sia libero dall’ingiusta concorrenza di monopoli nazionali e internazionali. Non manca una chiara linea protezionista a tutela della nuova industria verde americana, con la richiesta di tutelare la crescita della fabbricazione interna agli Stati Uniti e di fermare il trasferimento di posti di lavoro oltremare.

Tutto il programma viene condito con la solita retorica della democrazia diretta e della partecipazione, tanto in voga negli ambienti della sinistra riformista degli ultimi 20 anni, assegnando alle comunità e ai lavoratori il compito di pianificare, implementare e amministrare la mobilitazione verde del New Deal.

Le stime sui costi di questo programma, che si vorrebbe realizzato in dieci anni, sono nebulose. Si calcolano circa 1000 miliardi di dollari solo per la parte ambientale. Altre stime parlano di 400 miliardi solo per l’efficienza energetica delle abitazioni e di 2900 miliardi per un passaggio integrale alle fonti rinnovabili.

Gli Usa hanno un debito pubblico di 22mila miliardi, oltre il 100 per cento del Pil: chi pagherebbe?

 

Chi paga la riconversione?

Uno dei predecessori di questa proposta è il Green New Deal Group (2008), composto da economisti e ambientalisti inglesi, tra cui l’editorialista del The Guardian Larry Elliott, Colin Hines, ex capo dell’unità economica di Greenpeace International, e l’ex deputata dei verdi inglesi Caroline Lucas. Il gruppo di lavoro partiva dalla premessa fondamentale che, oltre alla questione climatica, la necessità del Gnd era data dalla fine del petrolio. Questa premessa è stata del tutto smentita, visto che la “rivoluzione” dei gas e petroli non convenzionali ha ridisegnato totalmente la geografia del mercato energetico a livello mondiale, permettendo agli Usa di raggiungere l’indipendenza energetica e di diventare un paese esportatore la cui produzione di greggio e gas supera quella dei paesi Opec.

In questi anni l’indipendenza energetica ha favorito una relativa crescita economica degli Usa, oltre agli enormi profitti del settore energetico che di certo i padroni americani non vogliono abbandonare.

Nel rapporto della Green New Deal Group si parla di regolamentazione e limitazione del sistema finanziario, in modo da trasformare le economie nazionali e l’economia globale e ripristinare l’autonomia politica con il controllo sui capitali.

Il Gnd ha bisogno di una forte spesa pubblica. Lo stesso gruppo inglese ammette: “Il nostro Green New Deal si affida per il finanziamento su una miscela di spesa pubblica e privata finanziata da prestiti. Questi sono essenziali durante una depressione, quando il governo deve intervenire nel settore delle imprese. Si tratta delle solite logiche keynesiane legate al consumo, dove non c’è una minima critica al sistema, ma l’illusione di correggerlo.

Alcuni sostenitori della proposta della Ocasio-Cortez propongono la solita tassa sui redditi dei super ricchi (oltre 1 milione di dollari di reddito). Sono quarant’anni che la sinistra riformista promette di quadrare il cerchio dell’economia tassando la finanza e i redditi altissimi: dalla Tobin Tax proposta per finanziare il reddito minimo, fino a quest’ultima versione ecologista. Risultati: zero.

Il rapporto del gruppo inglese propone invece di finanziare i programma tramite l’aumento dei costi del carbonio, ossia dei diritti di emissione di CO2, che attualmente vengono scambiati sul mercato. Tuttavia a causa della congiuntura tra crisi economica e sovrapproduzione dell’energia dovuta ai gas e petroli non convenzionali, il prezzo si è mantenuto intorno ai 5 dollari a tonnellata, quando il prezzo che incentiverebbe la riconversione da fossile a rinnovabile è stimato intorno ai 40 dollari. Il fallimento della politica sui prezzi del carbonio è ormai constatato da tutti, tanto che l’Ue ha dovuto aumentare il prezzo con determinate misure di intervento politico, visto il risultato negativo dato dai prezzi di mercato.

Questo equivale a scaricare sui consumatori, e non sui capitalisti, il costo della riconversione (peraltro molto ipotetica). La versione più estrema di questa logica è la cosiddetta Carbon Tax. In entrambi i casi tratta di un aumento le imposte indirette, ossia quelle socialmente più inique, seguendo la logica che da trent’anni sposta il carico fiscale dai più ricchi alle fasce popolari.

I sostenitori delle teorie di Keynes non capiscono che lo Stato è l’espressione della classe dominante e l’eventuale intervento statale nell’economia deve favorire i grandi capitali.

Trotskji, nel suo scritto Cos’è il marxismo, in piena critica al New Deal di Roosevelt scriveva: “Non si può che essere d’accordo con il prof Lewis W. Douglas, ex Direttore del bilancio nell’amministrazione Roosevelt, quando condanna il governo che mentre attacca il monopolio in un campo, promuove il monopolio in molti altri. Pure, è nella natura delle cose e non può essere differente. Secondo Marx, il governo è il comitato esecutivo della classe dominante. Oggi i monopolisti rappresentano la sezione più forte della classe dominante. Nessun governo è in grado di combattere il monopolio in generale, contro la classe per la volontà della quale governa. Mentre attacca un aspetto del monopolio, è obbligato a cercare un alleato nelle altre facce del monopolio. D’accordo con le banche e l’industria leggera, può vibrare ogni tanto un colpo contro i trust dell’industria pesante che, incidentalmente, non cessano di guadagnare profitti fantastici proprio a causa di ciò”.

Ammettendo che la politica della Green New Deal riesca a scalfire il potere ai capitalisti delle fossili, si andrà comunque nella direzione dei monopoli delle energie green. Per la precisione, a lungo termine è più probabile la riconversione capitalista verso una politica green. Non per nulla i grandi monopoli dell’energia stanno investendo in ricerca e sviluppo di energie rinnovabili. In Italia Snam sta investendo molto in biometano e ora anche nell’idrogeno, mentre Eni vuole convertire molte sue raffinerie in bioraffinerie. Ma prima il grande monopolio dell’energia ha bisogno sfruttare al massimo le riserve di fonti fossili, che portano profitti facili, e di estrarre il massimo profitto dal capitale installato nell’estrazione.

Il capitalismo per sua natura è impossibile da pianificare, in quanto le scelte economiche decisive sono sempre in mano ai capitalisti. Pertanto il passaggio da una tecnologia ad un’altra non fa altro che riproporre il problema delle conseguenze ambientali in forma diversa. Ad esempio, distruggere intere zone agricole e forestali per fare monoculture per i biocarburanti propone nuove contraddizioni ambientali e sociali, che vengono scaricate sulla collettività: distruzione di biodiversità, riduzione delle colture alimentari, uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti nocivi, spopolamento di intere regioni, ecc.

 

Il Gnd e la crisi del capitalismo

La crisi economica sistemica del capitalismo iniziata nel 2008 non è per nulla terminata. Un vasto programma di spesa pubblica a fini ambientali è impossibile con i livelli attuali del debito se non si è disposti rovesciare il potere del capitale, annullando il debito pubblico ed espropriando i monopoli finanziari e industriali.

Nessuna ricetta neokeynesiana, anche in chiave “green”, potrà risolvere il problema della crisi ecologica e economica. Su basi capitaliste non ci possono essere vie d’uscita. È indispensabile e urgente che i mezzi di produzione vengano espropriati dai parassiti proprietari. Solo i lavoratori possono prendere in mano le leve dell’economia per pianificarla su basi razionali.

Il modello di sviluppo economico capitalistico, in tutte le sue forme e ricette, come disse Marx, non è in grado di garantire il ricambio organico tra l’uomo e la natura. Il profitto privato, i mezzi di produzione, i confini nazionali portano alla mercificazione dell’ambiente, che diventa puro oggetto di conquista e saccheggio.

Di fronte alla crisi ambientale o ci sarà il socialismo o ci saranno le barbarie: una terza via non esiste.

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