Discorso sulla questione italiana al Terzo congresso dell’Internazionale comunista

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Discorso sulla questione italiana al Terzo congresso dell’Internazionale comunista

Cento anni fa, il 21 gennaio 1921, nasceva il Partito comunista d’Italia, a Livorno. In occasione di questo anniversario ripubblichiamo il discorso di Lenin al Terzo congresso del Comintern, dove la discussione sulla questione italiana e sulla scissione avvenuta pochi mesi prima dal Partito socialista, ebbe una notevole rilevanza.

di Lenin

Compagni, vorrei rispondere in special modo al compagno Lazzari. Egli ha detto: «Citate fatti concreti, non parole». Benissimo. Ma se noi esaminiamo lo sviluppo delle tendenze riformiste-opportuniste in Italia, che cosa citiamo: parole o fatti? Nei vostri discorsi e in tutta la vostra politica dimenticate una circostanza molto significativa per il movimento socialista in Italia: dimenticate cioè che già da lungo tempo esiste non soltanto una tendenza, ma anche un raggruppamento riformista-opportunista.

Ricordo ancora molto bene il tempo nel quale Bernstein iniziava la sua propaganda opportunista che è finita nel socialpatriottismo, nel tradimento e nel fallimento della II Internazionale. Fin da allora conosciamo Turati non soltanto di nome, ma anche per la propaganda svolta nel partito italiano e nel movimento operaio italiano del quale egli è stato il disorganizzatore nei vent’anni trascorsi da allora. Per mancanza di tempo, non ho avuto la possibilità di studiare i documenti che concernono il partito italiano; ma, secondo me, uno dei più importanti è il resoconto del convegno di Turati e dei suoi amici a Reggio Emilia (1), pubblicato da un giornale borghese italiano, non ricordo se dalla Stampa o dal Corriere della Sera. Ho paragonato questo resoconto con quello pubblicato dall’Avanti!. Non è questa una dimostrazione sufficiente? Dopo il II Congresso dell’Internazionale comunista, in una discussione con Serrati e con i suoi amici, avevamo detto loro apertamente ed esattamente quale era, a nostro avviso, la situazione. Abbiamo detto che il partito italiano non può diventare comunista finché tollera nelle sue file gente come Turati.

Son fatti politici questi, o sono ancora soltanto parole? E quando noi, dopo il II Congresso dell’Internazionale comunista, abbiamo detto apertamente al proletariato italiano: «Non unitevi con i riformisti, con Turati», e quando Turati ha cominciato a pubblicare sui giornali italiani una serie di articoli contro l’Internazionale comunista e ha convocato un convegno speciale dei riformisti, si trattava forse soltanto di parole? Tutto ciò era più di una scissione, era già la creazione di un nuovo partito. Bisogna essere ciechi per non vederlo. Questo documento ha un’importanza decisiva per la questione che ci interessa. Tutti coloro che hanno preso parte al convegno di Reggio Emilia devono essere espulsi dal partito: essi sono dei menscevichi; non dei menscevichi russi, ma dei menscevichi italiani. Lazzari ha detto: «Noi conosciamo la psicologia del popolo italiano». Io personalmente non oserei affermare una cosa simile a proposito del popolo russo, ma non importa. «I socialisti italiani comprendono bene lo spirito del popolo italiano», ha detto Lazzari. È possibile, non discuto. Ma il menscevismo italiano, se si considerano i dati concreti e l’ostinazione nel non volerlo sradicare, essi non lo conoscono. Siamo costretti a dire: per quanto sia penoso, bisogna confermare la deliberazione del nostro Comitato esecutivo. Non può far parte dell’Internazionale comunista un partito che tollera nelle sue file opportunisti e riformisti della specie di Turati.

«Perché cambiare il nome del partito? – domanda il compagno Lazzari. – Esso ci soddisfa pienamente» Ma noi non possiamo condividere una simile opinione. Conosciamo la storia della II Internazionale, la sua caduta, il suo fallimento. Non conosciamo forse la storia del partito della Germania? E non sappiamo forse che la più grande disgrazia del movimento operaio tedesco è di non essere giunto alla rottura ancor prima della guerra? Ciò costò la vita a 20.000 operai, che i seguaci di Scheidemann e i centristi, a causa delle loro polemiche e delle loro diatribe contro i comunisti tedeschi, hanno dato in mano al governo tedesco.

E oggi, non vediamo forse la stessa cosa in Italia? Il partito italiano non è mai stato veramente rivoluzionario. La sua più grande disgrazia sta nel non aver rotto con i menscevichi e con i riformisti ancor prima della guerra, sta nel fatto che i riformisti hanno continuato a restare nel partito. Il compagno Lazzari ha detto: «Riconosciamo pienamente la necessità della rottura con i riformisti; l’unica divergenza sta in questo: che noi non abbiamo ritenuto necessario addivenire alla rottura al Congresso di Livorno » (2). Ma i fatti parlano diversamente. Non è la prima volta che discutiamo la questione del riformismo italiano. L’anno scorso, discutendo con Serrati, gli abbiamo chiesto: «Scusate, ma perché, dunque nel partito italiano non si può far subito la scissione? Perché bisogna rinviarla?». Che cosa ci ha risposto Serrati? Niente. E il compagno Lazzari, quando cita l’articolo di Frossard nel quale si dice che «bisogna essere abili e intelligenti», pensa evidentemente che questo sia un argomento in suo favore e contro di noi. Mi pare che sbagli. Al contrario, questo è un ottimo argomento in nostro favore e contro il compagno Lazzari. Quando egli sarà costretto a spiegare la sua uscita dall’Internazionale comunista e la sua condotta agli operai italiani, che cosa diranno questi ultimi? Se essi giudicheranno la nostra tattica intelligente e abile in confronto con gli zigzag della sedicente sinistra comunista – di quella sinistra che molte volte non è neanche semplicemente comunista,- poiché ricorda molto di più l’anarchia – che cosa risponderete loro?

Che cosa significano tutte queste chiacchiere di Serrati e del suo partito, secondo cui i russi vorrebbero soltanto essere copiati dagli altri? Noi esigiamo precisamente il contrario. Non basta sapere a memoria le risoluzioni comuniste e adoperare a ogni occasione dei giri di frase rivoluzionari. Questo è poco e noi siamo a priori contro i comunisti che sanno a memoria questa o quella risoluzione. La prima condizione del vero comunismo è la rottura con l’opportunismo. Ai comunisti che accettano questa condizione, parleremo con tutta libertà e chiarezza e avremo il pieno diritto e il coraggio di dir loro: «Non fate sciocchezze; siate intelligenti e abili». Ma parleremo così soltanto ai comunisti che hanno rotto con gli opportunisti, cosa che non si può ancora dire di voi. E perciò ripeto: spero che il congresso confermi la risoluzione del Comitato esecutivo. Il compagno Lazzari ha detto: «Siamo in un periodo di preparazione». È la pura verità. Siete in un periodo di preparazione. La prima fase di questo periodo è la rottura con i menscevichi, simile alla rottura alla quale siamo giunti noi nel 1903 con i nostri menscevichi. E a causa della mancata rottura tra il partito tedesco e i menscevichi, tutta la classe operaia tedesca soffre, durante questo lungo e penoso periodo postbellico della storia della rivoluzione tedesca!

Il compagno Lazzari dice che il partito italiano attraversa un periodo di preparazione. Sono perfettamente d’accordo. E la prima tappa è una rottura seria, definitiva, netta e decisa con il riformismo. Dopo, le masse passeranno completamente dalla parte del comunismo. La seconda tappa non consisterà certo nel rimasticare parole d’ordine rivoluzionarie. Essa consisterà nell’accettare le nostre risoluzioni, che saranno sempre intelligenti e abili e che ripeteranno sempre: i principi rivoluzionari fondamentali debbono essere adatti alle particolarità dei diversi paesi.

La rivoluzione in Italia non si svolgerà come si è svolta in Russia. Essa incomincerà in un altro modo. In che modo precisamente? Non lo sappiamo né io né voi. I comunisti italiani non sempre sono abbastanza comunisti. Durante l’occupazione delle fabbriche si è forse rivelato un solo comunista? No; in quel momento il comunismo non esisteva ancora in Italia. Si può parlare di una certa anarchia, ma, certo, non di comunismo marxista. Quest’ultimo dev’essere creato, infuso negli operai unicamente attraverso l’esperienza della lotta rivoluzionaria. E il primo passo su questa via deve consistere nella rottura definitiva con i menscevichi i quali, per più di vent’anni, hanno lavorato, collaborato con il governo borghese. È molto probabile che Modigliani, che ho avuto occasione di conoscere un poco alle Conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, sia un politico abbastanza abile per non entrare in un governo borghese e restare su una posizione di centro nel partito socialista, dove egli può essere molto più utile alla borghesia. Ma la posizione teorica stessa e tutta la propaganda del gruppo di Turati e dei suoi amici rappresentano già una collaborazione con la borghesia. Ciò non è forse dimostrato dalle numerose citazioni di Gennari? Si, è questo il fronte unico che Turati ha già preparato. Perciò debbo dire al compagno Lazzari: con discorsi come il vostro e come quello che Serrati ha pronunziato qui non si prepara, ma si disorganizza la rivoluzione. (Grida: «Bravo!». Applausi.)

A Livorno avete avuto una maggioranza notevole. Avete ottenuto 98.000 voti contro 14.000 ai riformisti e 58.000 ai comunisti. Per un movimento puramente comunista che è appena all’inizio, in un paese come l’Italia di cui conosciamo le tradizioni, e senza una sufficiente preparazione della scissione, questa cifra costituisce un grande successo per i comunisti.

È un grande successo; è una prova tangibile che attesta che il movimento operaio si svilupperà in Italia più rapidamente del nostro movimento in Russia, perché, se conoscete le cifre concernenti il nostro movimento, saprete che nel febbraio 1917, dopo la caduta dello zarismo e durante la repubblica borghese, noi eravamo ancora una minoranza rispetto ai menscevichi. Così stavano le cose dopo quindici anni di lotta accanita e di scissioni. Da noi l’ala destra non si è più sviluppata; ma ciò non è stato così semplice come pensate voi, parlando sprezzantemente della Russia. Certo, in Italia le cose procederanno in modo completamente diverso. Dopo quindici anni di lotta contro i menscevichi e dopo la caduta dello zarismo, noi abbiamo incominciato a lavorare con un numero molto minore di seguaci. Voi avete 58.000 operai animati da spirito comunista contro 98.000 centristi unificati, i quali stanno su una posizione indefinita. È una prova, è un fatto che deve necessariamente convincere chiunque non voglia chiudere gli occhi davanti al movimento di massa degli operai italiani. Non si può ottenere tutto in una volta. Ma questa è già la prova che le masse operaie – non i vecchi capi, non i burocrati, non i professori, non i giornalisti, ma la classe effettivamente sfruttata, l’avanguardia degli sfruttati – sono con noi.

E questa è la prova del grande errore che voi avete commesso a Livorno. Questo è un fatto. Voi disponevate di 98.000 voti, ma avete preferito restare con i 14.000 riformisti piuttosto che andare con i 58.000 comunisti. Anche se questi non fossero stati dei veri comunisti, anche se fossero stati soltanto dei sostenitori di Bordiga – e così non è, perché Bordiga, dopo il II Congresso, ha dichiarato con perfetta lealtà di rinunciare a ogni anarchismo e antiparlamentarismo – voi avreste dovuto andare con loro. Che cosa avete fatto? Avete preferito l’unione con i 14.000 riformisti e la rottura con i 58.000 comunisti, e questa è la migliore dimostrazione del fatto che la politica di Serrati è stata una disgrazia per l’Italia. Noi non abbiamo mai preteso che Serrati copiasse in Italia la rivoluzione russa. Sarebbe sciocco pretenderlo. Siamo abbastanza intelligenti e flessibili per evitare una sciocchezza simile. Ma Serrati ha dimostrato che la sua politica in Italia era sbagliata. Può darsi che dovesse destreggiarsi: è l’espressione che un anno fa ripeteva qui più frequentemente. Egli diceva: «Noi sappiamo destreggiarci. Non vogliamo un’imitazione servile che sarebbe un’idiozia. Dovremo barcamenarci per arrivare al distacco dall’opportunismo. Voi russi non sapete farlo. Noi italiani abbiamo maggiori capacità in questo campo. Lo vedrete».

Che cosa abbiamo visto? Serrati si è magnificamente destreggiato. Ha rotto con i 58.000 comunisti. E adesso vi sono dei compagni che vengono qui e dicono: «Se ci respingete, le masse si disorienteranno». No, compagni, voi sbagliate. Le masse operaie in Italia sono disorientate adesso, e sarà utile che noi diciamo loro: «Scegliete, compagni; scegliete, operai italiani, tra l’Internazionale comunista, la quale non pretenderà mai che voi copiate servilmente i russi, e i menscevichi che noi conosciamo da vent’anni e che non tollereremo mai al nostro fianco nelle file dell’Internazionale comunista, veramente rivoluzionaria». Ecco che cosa diremo agli operai italiani. Non abbiamo dubbi sui risultati. Le masse operaie ci seguiranno. (Viva approvazione.)

 28 giugno 1921

 

Note

1) II convegno dei riformisti italiani si svolse a Reggio Emilia il 10-11 ottobre 1920.

2) II Congresso di Livorno (XVII Congresso) del Partito socialista italiano ebbe luogo dal 15 al 21 gennaio 1921. Una parte dei delegati, che esigeva la rottura con i riformisti e la adesione alla Internazionale comunista, abbandonò il congresso e fondò il Partito comunista d’Italia.

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