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Le prossime elezioni e la crisi politica in Spagna

Per la quarta volta in meno di quattro anni, gli spagnoli si preparano a tornare alle urne, il 10 novembre prossimo. Il paese ha assistito a un’instabilità politica senza precedenti nell’ultimo periodo poiché la polarizzazione sociale e l’estrema frammentazione del parlamento hanno reso praticamente impossibile formare governi duraturi. Alla radice questa turbolenza c’è la radicalizzazione della società spagnola in seguito alla crisi economica.

Questa volta, l’incapacità del PSOE, i socialdemocratici di Pedro Sánchez, di ottenere i voti necessari sia a sinistra con Unidas Podemos (UP) – che ha richiesto un governo di coalizione in cambio del suo sostegno – che a destra dal Partito popolare (PP) e Ciudadanos – che hanno chiesto, tra le altre cose, un inasprimento della posizione del governo sulla questione nazionale in Catalogna – ha condannato il paese a un’altra elezione.

Il fallimento della sinistra

Sette anni di governo di destra del PP si sono conclusi bruscamente nel giugno 2018. In seguito a uno scandalo sulla corruzione che ha colpito i più alti livelli del governo e nel contesto delle turbolenze sociali, segnato dallo sciopero delle donne del marzo 2018, il PSOE ha abbandonato la sua politica di tacita tolleranza. Ha guidato un voto di sfiducia che ha aggregato intorno a sè tutta la sinistra e le forze nazionaliste basche e catalane, che hanno abbattuto l’odiato governo Rajoy. Il governo di transizione di Pedro Sánchez aveva indetto nuove elezioni per il 28 aprile 2019. Tutto considerato, si è trattato di una vittoria per la sinistra. Nonostante l’isteria sciovinista spagnola, che è seguita al referendum sull’indipendenza catalana e che aveva creato il miraggio della supremazia della destra, la classe operaia ha votato in massa per fermare proprio la destra, con un’affluenza record del 71,8%. L’ascesa del partito ultrareazionario Vox nel 2018 è stata importante per galvanizzare il voto di sinistra. Il ricordo del franchismo è ancora fresco in Spagna e i lavoratori sono piuttosto consapevoli del carattere di classe della destra. UP di Pablo Iglesias ha ottenuto il 14,3% dei voti, ben al di sotto dei risultati del 2016, ma superiore ai sondaggi. Tuttavia, il vero vincitore è stato il PSOE di Pedro Sánchez, che ha registrato una rinascita simile a quella della fenice, passando dal 22,6% nel 2016 al 28,7%.

Anche se il PSOE si rifà alla Prima Internazionale ed è una delle organizzazioni tradizionali della classe operaia spagnola, oggi il partito è completamente degenerato ed è un giocattolo nelle mani della borghesia, che lo usa come strumento per tenere sotto controllo i lavoratori. La crisi economica e i pacchetti di austerità guidati dal PSOE del biennio 2010-11, hanno spinto milioni di persone ad acquistare una consapevolezza della vera natura della socialdemocrazia spagnola. La spettacolare ascesa di Podemos nel 2014-15 è stata in gran parte una risposta al crescente discredito del PSOE e alla ricerca di un’alternativa più militante. Mentre Pablo Iglesias suonava la tromba contro la “Gerico socialdemocratica”, la dirigenza del PSOE guardava all’abisso in cui si è ritrovato il cugino greco del PASOK, ridotto all’oblio. Tuttavia, il declino del partito si è invertito nel 2019. Come si spiega questa tendenza verso il recupero del PSOE a scapito di UP?

Qualcuno potrebbe essere tentato ad addebitarlo alla ripresa economica iniziata nel 2016 che ha visto un costante calo del tasso di disoccupazione. Ma nella migliore delle ipotesi questo è un fattore secondario. La cosiddetta ripresa è stata accompagnata da ineguaglianze, sfruttamento e precarietà senza precedenti che per molti versi hanno aggravato, non attenuato, le contraddizioni di classe. In effetti, la crisi ha raggiunto una profondità tale da compromettere la capacità di lotta dei lavoratori. La ripresa ha fornito fiducia e forza ai lavoratori ed è stata accompagnata da una ripresa delle azioni di lotta sul fronte industriale. La causa del rilancio della socialdemocrazia deve essere ricercata nel regno della politica. Prima di tutto, sono trascorsi otto anni ricchi di eventi dalla fine ingloriosa dell’ultimo governo del PSOE sotto Zapatero. Inoltre, Pedro Sánchez ha tentato di presentarsi come un leader più di sinistra rispetto ai suoi predecessori. Più per calcoli cinici da avventuriero politico che per principio, ha rifiutato di aiutare la formazione di un governo del PP nel 2016, il che ha portato alla sua temporanea defenestrazione da parte della destra del partito e al suo ritorno trionfale pochi mesi dopo con il sostegno degli iscritti. Malgrado tutto, questo ha lasciato l’impressione che sia in qualche modo diverso dalla vecchia burocrazia del partito. L’emergere dell’estrema destra di Vox ha anche contribuito a concentrare il voto attorno alla forza di sinistra più forte, che continua ad essere il PSOE.

Tuttavia, il fattore più importante alla base del recupero del PSOE, sono state le politiche disastrose e opportunistiche di Pablo Iglesias e della direzione di UP, che hanno fornito nuova vita alla decrepita socialdemocrazia. Spinto dall’ambizione, nel 2016 Pablo Iglesias ha fatto pochi sforzi per provare a ricucire un’alternativa di sinistra a Rajoy, credendo che nuove elezioni lo avrebbero trasformato da persona influente a re incontrastato. Naturalmente, Pedro Sánchez era molto contento di questa politica settaria che toglieva pressione da sinistra e lo aiutava a dare la colpa a Podemos per il fatto che Rajoy si mantenesse al potere.

Tuttavia, le elezioni di giugno 2016 hanno visto un leggero calo di UP (il blocco tra Podemos e Izquierda Unita), mentre il PSOE ha registrato una ripresa. Allora Iglesias ha svoltato a destra. Non solo ha offerto a Sánchez una mano per far cadere Rajoy a giugno 2018 (una mossa corretta), ma si è comportato come un ministro senza portafoglio del nuovo governo elettorale, riempiendo di elogi Sánchez e la sua fraseologia di sinistra. Iglesias ha celebrato la legge di bilancio del PSOE come “la più progressista nella storia della democrazia spagnola” e ha girato per la Spagna per difenderne l’approvazione.

Eppure, nella mazzo c’era una spina: la questione nazionale catalana. Quando nacque, UP aveva difeso il diritto all’autodeterminazione dei popoli catalano e basco e aveva fatto una coraggiosa campagna per questa richiesta. Questo è stato importante per educare le masse e combattere l’influenza reazionaria dello sciovinismo spagnolo. Tuttavia, il movimento insurrezionale per la Repubblica catalana nell’ottobre 2017 e la reazione furiosa dello stato spagnolo hanno spaventato Iglesias e i suoi portandoli al silenzio e all’inazione. Il blocco con Sánchez nel 2018 ha consolidato questa tendenza, poiché la Catalogna è diventata un ostacolo indesiderato sulla strada della collaborazione con il PSOE, che, non c’è bisogno di dirlo, è un deciso difensore della sacrosanta unità del Regno di Spagna. “La Catalogna non sarà una linea rossa”, ha detto Iglesias a Sánchez, indicando la sua volontà di abbandonare i suoi principi sulla questione nazionale.

Qual è stato il risultato di questa alleanza acritica con il PSOE? Naturalmente, ha sfumato le differenze politiche tra UP e PSOE agli occhi delle masse e ha aiutato Sánchez a recuperare le sue credenziali di sinistra, un po’ appannate. Pertanto, molti che in passato hanno votato per UP, ora hanno scelto il PSOE, soprattutto di fronte alla minaccia di Vox. Le politiche di Iglesias suggeriscono che le differenze politiche tra UP e PSOE sono secondarie, quindi perché non votare per il più grande dei due per fermare l’estrema destra? Questo spiega i risultati delle elezioni dell’aprile 2019.

Dopo le elezioni, UP ha continuato con questa politica suicida, chiedendo un governo di coalizione con Iglesias come vice-presidente in cambio del loro sostegno parlamentare. Dopo qualche esitazione, Sánchez ha rifiutato di accettare Iglesias come vicepresidente, ma ha offerto tre portafogli ministeriali secondari a UP. Iglesias ha quindi rifiutato questa offerta. Iglesias era pronto a ritirare la domanda per la vice-presidenza, ma considerava insufficienti i tre portafogli: voleva di più. Dopo alcune riflessioni durante le vacanze di agosto e con un occhio ai sondaggi, che indicavano un’ulteriore crescita per il PSOE, Sánchez è tornato a Madrid a settembre ponendo categoricamente il veto a qualsiasi coalizione con UP, offrendo al massimo dei ministeri e dei sottosegretariati minori all’interno di un governo dominato dal PSOE . Iglesias, che si era messo in trappola da solo, è battuto in ritirata ed ora era pronto ad accettare l’offerta di luglio per i tre portafogli. Ma era troppo tardi, Sánchez non si sarebbe mosso dalla sua posizione. Dopo trattative improduttive e per lo più cosmetiche dell’ultimo minuto con PP e Ciudadanos, sono state indette nuove elezioni per il 10 novembre.

Tra i calcoli di Sanchez e di un settore della classe dominante spagnola nella decisione di convocare nuove elezioni c’è il fatto che hanno bisogno di un governo forte e stabile, in grado di navigare in sicurezza nelle acque tempestose. Sarebbe stato troppo rischioso accettare UP come parte del governo, poco prima della condanna dei prigionieri politici catalani e alla vigilia di una nuova recessione economica – che richiederà austerità e tagli. Questo nonostante il modo vergognoso in cui UP si è mostrato pronto a svoltare a destra.

La linea di Iglesias è stata semplicemente disastrosa e potrebbe portare alla stessa rovina del partito. Ha fatto ulteriormente crescere il profilo di sinistra del PSOE a spese di UP, che agli occhi di molti ha perso tutta il proprio profilo politico. Si prenderà la colpa dagli elettori per l’incapacità di formare un governo di sinistra e da chi non ha capito le piroette politiche di Iglesias. Inevitabilmente, in questa campagna dovrà spostarsi a sinistra per differenziarsi da Sánchez, ma avrà poca credibilità dopo la lunga luna di miele con il PSOE. Inoltre, è probabile che il vecchio compagno d’armi di Iglesias, Íñigo Errejón, che rappresenta l’ala più riformista del movimento, che ha abbandonato la nave qualche mese fa avendo sentore del disastro, si presenterà alle elezioni separatamente, togliendo ulteriori voti a UP. Tuttavia, qualcuno potrebbe chiedersi se questa svolta a sinistra sia preferibile alla coalizione PSOE-UP, su cui Iglesias ha lavorato finora. Così Iglesias si assumerebbe la responsabilità di tutte le capitolazioni e fallimenti, mentre Sánchez si prenderebbe il merito di tutti i successi.

Era evidente fin dall’inizio qual era la cosa razionale da fare per UP: votare Sánchez, quindi restare all’opposizione, mantenendo la libertà di criticare il governo e quindi emergere come alternativa di sinistra data l’inevitabile erosione del PSOE al potere. Invece di concentrarsi sulla questione del numero e del peso dei potenziali ministri di UP in un governo di coalizione, Pablo Iglesias avrebbe dovuto porre la questione del programma al centro della sua agitazione: “Pedro Sanchez afferma di essere di sinistra, siamo pronti a sostenerlo in tutte le misure che prende a favore della classe lavoratrice. Dovrebbe iniziare impegnandosi a fare a, b, c e d”. Ciò avrebbe permesso a UP di farsi strada tra i sostenitori del PSOE che hanno votato per Sanchez con autentiche illusioni nella sua retorica.

Qual è il significato politico di questi errori? Sono indicativi della degenerazione opportunistica di UP. In larga misura, è stata l’allettante prospettiva di comodi incarichi pubblici a spingere la burocrazia UP a chiedere una coalizione. Durante le sue origini nel 2014, Podemos ha avuto una vita politica interna vivace e decine di migliaia di attivisti combattivi della classe lavoratrice si sono uniti alle sue fila. Tuttavia, il partito si è rapidamente ossificato poiché la cricca attorno a Iglesias ha visto questa militanza di massa come un fastidio che ostacolava le sue manovre scaltre di cui non voleva essere vista come la responsabile. Tutte le garanzie di democrazia interna sono state gradualmente eliminate e le figure recalcitranti del partito (come il leader del partito catalano, Albano Dante Fachín) sono state allontanate. Il partito è ora un guscio vuoto, composto da professionisti autoreferenziali che rispondono solo dei propri interessi burocratici. Inoltre Iglesias credeva veramente, in maniera ingenua e tipicamente riformista che combinazioni parlamentari intelligenti avrebbero davvero spinto il PSOE a sinistra e che sarebbe potuto entrare nella storia come l’architetto del governo “più progressista” della storia spagnola.

Ma soprattutto è l’arrogante disprezzo per la classe operaia, una caratteristica tipica del piccolo-borghese opportunista, che spiega le politiche di UP. Una direzione che ha fiducia nella classe operaia e nella sua capacità di apprendere e trarre conclusioni sarebbe stata felice di andare all’opposizione, certa che il tempo e gli eventi avrebbero dimostrato la correttezza delle sue prospettive e del suo programma. Ma i leader che diffidano delle masse sono condannati a macchinazioni di breve termine nei corridoi del potere e trattano la politica come un gioco di scacchi.

Inutile dire che nemmeno una volta nel corso di questa lunga situazione di stallo politico, Iglesias ha mobilitato la base per esercitare pressioni su Sánchez. Una campagna di assemblee e manifestazioni in tutta la Spagna attorno ad alcune rivendicazioni basilari (deroga alla riforma del lavoro, deroga alla legge bavaglio, revoca dei tagli nella sanità e nell’istruzione, ecc.) avrebbe messo Pedro Sanchez alle corde e mostrato la natura superficiale delle sue credenziali “di sinistra”. Invece, Pablo Iglesias e i leader di UP ripongono tutta la loro fiducia in manovre “intelligenti” a porte chiuse nei corridoi del potere. In effetti, UP non è più sceso in piazza dalla sua manifestazione di massa del gennaio 2015, che ha segnato l’apice dello sviluppo del partito. Iglesias è un ammiratore dello stalinista italiano Palmiro Togliatti e del Partito comunista italiano post-1945. Ha l’ambizione di poter godere di una grande autorità da parte della borghesia, esercitando il controllo politico sulla classe operaia, diventando un potente arbitro nella lotta di classe. Ma la Spagna nel 2019 è molto diversa dall’Italia nel 1945. La classe operaia non sarà facilmente addomesticata.

La destra in tilt

La sconfitta dell’insurrezione catalana dell’ottobre 2017 ha scatenato un’ondata di sciovinismo reazionario spagnolo. La caduta di Rajoy non era altro che una battuta d’arresto temporanea, poiché la destra era fiduciosa di poter tornare trionfalmente in sella. Ciudadanos, che in passato si fingeva un partito di centro o addirittura di centrosinistra, ha virato a destra, spogliandosi delle sue foglie di fico liberali. Vox, che in precedenza era una setta irrilevante, sembrava emergere come una grande forza, trainando dietro di sé un carico di isteria franchista. Tuttavia, questa atmosfera era superficiale, come dimostrato dalle elezioni dell’aprile 2019. In effetti, la destra si trova ora in una situazione difficile, divisa tra tre forze fra loro ostili, che cercano di superarsi a vicenda nello sfruttamento dei pregiudizi più barbari che esistono negli oscuri recessi della società spagnola.

Questo non piace alla classe dominante. Aiuta a polarizzare la società e galvanizza la classe lavoratrice e i giovani attorno alla sinistra. Ma, soprattutto, aggrava la frammentazione della politica spagnola e rende difficile la creazione di alleanze durature. Il governo prescelto dalla borghesia era una coalizione tra il PSOE e Ciudadanos. Questi ultimi, tuttavia, hanno rifiutato, ponendo richieste impossibili a Sánchez. Sono guidati dalla preoccupazione per la propria sopravvivenza politica, a causa della concorrenza con il PP e Vox, e ciò prevalica le esigenze temporanee di capitalisti e banchieri.

Il fatto è che la classe dominante spagnola non ha più partiti affidabili al suo servizio – una caratteristica comune a molti paesi nell’epoca attuale. In tempi normali, i partiti borghesi fungono da cinghie di trasmissione per la classe dominante. La politica è l’attività grigia e ordinaria della gestione degli interessi borghesi. Questo meccanismo è oliato dalla crescita economica, dall’apatia che segue le sconfitte e le battute d’arresto nella lotta di classe e dalla corruzione delle leadership riformiste che agiscono come ammortizzatori del malcontento popolare. La crisi del 2008 ha tuttavia inceppato questo macchinario. La rabbia diffusa e il malcontento hanno reso più difficile per i partiti tradizionali vincere le elezioni. Ha aperto lo spazio a nuovi partiti e correnti. I politici borghesi preoccupati per la loro carriera non possono più diventare strumenti passivi nelle mani dei loro burattinai: devono rivendicare una certa autonomia e impegnarsi nella demagogia. Ciò spiega la deriva “populista” delle leadership politiche in Spagna e altrove.

Dove va la Spagna?

Sánchez spera di vincere le elezioni anticipate, come suggeriscono la maggior parte dei sondaggi. Eppure gioca con il fuoco perché la sua incapacità di formare un governo di sinistra genererà cinismo e preoccupazione tra molti dei suoi elettori e anche tra quelli di Iglesias. In effetti, esiste uno sfinimenti comprensibile tra le masse sulla politica ufficiale del partito. Ma il disinteresse prevalente non è un segno di noncuranza, ma di rifiuto della politica borghese, dei suoi carrieristi corrotti e delle chiacchiere infinite in parlamento. Se oggi questo si esprime attraverso il cinismo, domani può trasformarsi in rabbia. Qualunque sia il risultato delle elezioni di novembre, è chiaro che la crisi politica spagnola non sarà risolta e di fatto peggiorerà. Governi deboli, provvisori e parlamenti incontrollabili saranno la norma. Questo episodio di acuta instabilità politica coinciderà con una nuova turbolenta fase dell’economia mondiale, caratterizzata da una nuova crisi economica e dagli effetti dirompenti della Brexit.

La nuova crisi scuoterà la coscienza delle masse. Sono trascorsi 10 anni dallo scoppio della precedente recessione e nessuno dei problemi del capitalismo spagnolo è stato risolto. La ripresa si è basata su precarietà, austerità e disuguaglianza, mentre i problemi politici si sono intensificati. Tra questi ci sono la questione nazionale, la frammentazione del parlamento e l’incapacità di formare governi forti, la polarizzazione tra sinistra e destra e il crescente discredito dei pilastri istituzionali del regime del 1978 (la monarchia, la Chiesa, la magistratura ecc.). Le lotte di massa degli anni precedenti non sono state vane. Sono state una scuola per la maturazione politica della classe lavoratrice e dei giovani. Se la recessione del 2008 ha inizialmente creato stupore, la prossima produrrà collera.

19 settembre 2019

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