Le lezioni del voto in Emilia-Romagna
Il voto in Emilia-Romagna del 26 gennaio ha rappresentato un voto contro Salvini e contro la Lega.
Con un’affluenza del tutto simile a quella delle europee del maggio scorso, a cui crediamo sia corretto paragonare queste elezioni regionali, la mobilitazione di piazza fa crescere il Pd, la lista Bonaccini e (più parzialmente) Coraggiosa, vale a dire le liste ritenute più utili a fermare la destra.
La vittoria di Bonaccini è ancora più netta nei grandi centri. In particolare a Bologna, Modena e Reggio Emilia la sua coalizione va oltre al 60% o ci si avvicina. Il centrosinistra vince praticamente in tutte le località con una popolazione superiore ai 30mila abitanti, se si eccettuano le province di Piacenza e Ferrara. Sono i luoghi dove la mobilitazione delle Sardine è stata più massiccia: in queste elezioni regionali, il celebre detto “piazze piene, urne vuote” è stato contraddetto.
È inoltre un voto giovanile. Secondo una ricerca condotta da Tecnè, il 64% degli studenti vota Bonaccini. Sempre secondo questa ricerca, Bonaccini guadagna i consensi del 51% degli operai, invertendo una tendenza che nelle ultime tornate elettorali aveva premiato M5S e Lega fra la classe lavoratrice, anche in Emilia-Romagna. Se analizziamo il voto del capoluogo della regione, l’orientamento dei ceti popolari è ancora più chiaro: il voto nelle periferie premia il centrosinistra. A Borgo Panigale con il 63,9%, nel quartiere Navile con il 67%, a San Donato col 65,3%: sono i quartieri di Bologna dove il reddito medio è più basso. Al Pilastro, il quartiere di periferia teatro della citofonata di Salvini in cerca di spacciatori, Bonaccini supera il 60%.
Il desiderio di fermare Salvini ha individuato l’unico strumento considerato affidabile per ottenere l’obiettivo. E questo strumento (certamente pieno di mille contraddizioni) era costituito dal Pd e dalle liste ad esso collegate: di fronte a questo pericolo, il programma di Bonaccini, del tutto simile a quello della Borgonzoni, è passato in secondo piano.
Il Partito democratico ottiene quasi 750mila voti (34,7%). Se sommiamo ad essi la lista del presidente (5,8%) i democratici superano il 40%, una percentuale che non raggiungevano dai tempi di Renzi nelle Europee del 2014. Emilia-Romagna Coraggiosa, la lista che ha raccolto la sinistra legata ai democratici (Sinistra italiana, Articolo uno, Possibile) raggiunge il 3,8% e raddoppia i voti ottenuti da Sinistra italiana alle Europee.
Il M5S viene letteralmente cannibalizzato da Bonaccini. In soli 8 mesi perde oltre 200mila voti, passando dal 12,8 al 4,7%; il suo candidato alla presidenza, Benini, arriva solo al 3,5%. Due grillini su tre si sono spostati verso il centrosinistra.
Nel contesto della polarizzazione accentuata, continua il prosciugamento del centro. Forza Italia crolla al 2,6%, perdendo oltre 120mila voti. Più Europa non va oltre l’1,5% dimezzando i voti delle Europee.
Il voto disgiunto è stato scelto da un settore dell’elettorato, soprattutto da quello pentastellato e della sinistra “radicale”. Bonaccini prende circa il 3% n più rispetto alle liste che lo sostenevano, mentre Borgonzoni lascia l’1,2% per strada. Il centrosinistra, dunque, avrebbe vinto comunque, visto che il distacco tra Bonaccini e Borgonzoni è superiore all’8%. Il totale dei voti delle liste che appoggiano il centro sinistra è superiore a quelle del centrodestra.
Anche in ragione di questo dato Salvini subisce una battuta d’arresto dal voto del 26 gennaio. Il leader della Lega ha battuto palmo a palmo tutta la regione per oltre due mesi, chiarendo a tutti che la sconfitta di Bonaccini avrebbe rappresentato la spallata definitiva al governo nazionale.
Non solo ha fallito, ma la Lega subisce un travaso di voti (da 785mila a 685mila), principalmente verso Fratelli d’Italia (che cresce da 104mila a 184mila).
Il consenso alla destra continua a essere rilevante (in regione i due partiti assieme sorpassano il 40%) ma Salvini non riesce a sfondare. Anzi, possiamo dire che è stata proprio la sua campagna a generare un rifiuto fra molti lavoratori e giovani che nelle regionali del 2014 avevano disertato le urne. Clamorosa è stata la provocazione di stampo squadrista al quartiere Pilastro di Bologna a pochi giorni dal voto.
In queste ultime settimane, quando la campagna elettorale è entrata nel vivo, il leader leghista è stato sistematicamente inseguito da contestatori in ogni città e paese, grandi e piccoli. I numeri degli anti-Salvini quasi sempre superavano quelli dei leghisti, e la composizione giovanile di queste proteste era considerevole, fino ad arrivare agli oltre 30mila che hanno riempito Piazza Otto Agosto a Bologna per il concerto del 19 gennaio. Pd e Cgil hanno giocato un ruolo nell’organizzazione, ma la partecipazione è stata in larga parte spontanea.
Le liste a sinistra alternative a Bonaccini, insieme, raggiungono a malapena l’1%. Come abbiamo spiegato in altri articoli, i limiti programmatici avevano posto dei limiti importanti allo sviluppo di una campagna elettorale credibile fin dall’inizio. A questi si è aggiunto un settarismo diffuso nei confronti delle piazze delle sardine, che è arrivato al vero e proprio sberleffo da parte del Pc di Rizzo. Il fatto che tutte e tre le liste non solo non siano state in grado di intercettare il movimento di massa contro Salvini, ma ne siano state travolte, segna la condanna definitiva del loro progetto politico.
Il governo Conte tira un sospiro di sollievo dal risultato emiliano-romagnolo, ma le contraddizioni al suo interno non sono affatto scomparse, anzi si sono complicate dal crollo elettorale dei Cinque stelle.
Sul versante del governo regionale, il voto contro Salvini non significa una delega in bianco al Partito democratico.
Già in questi primi giorni successivi alla vittoria elettorale, Bonaccini ha ribadito le architravi del suo programma filopadronale. L’avvio immediato dell’autonomia differenziata, le porte ancora più spalancate alla sanità privata, una vagonata di miliardi di euro per le grandi opere, dal passante di mezzo a Bologna fino alla Cispadana (tutto naturalmente coperto da una spruzzata di retorica “green”) non lasciano spazio a fraintendimenti.
La giunta Bonaccini sarà una giunta di attacchi allo stato sociale al tenore di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Attraverso l’esperienza un settore crescente di coloro che hanno animato le piazze di questi mesi e di lavoratori comprenderà la necessità di un’alternativa di classe. È alla costruzione di tale alternativa che siamo impegnati.
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