Le donne, prime vittime della barbarie capitalista
MESSICO – Secondo i dati dell’Instituto nacional de estadística y geografía (Inegi) dal 2005 al 2010 in Messico sono state uccise 9.385 donne, nel solo 2010 si registrano 6,4 presunti omicidi al giorno. Nello stesso studio emerge che tra il 2007 e il 2008 c’è stato un aumento del 32,5% dei femminicidi. Nello Stato di Chihuahua dove si stimano 32,8 presunti omicidi ogni 100mila donne, in Durango 10,7, Sinaloa 7,7. Città come Ciudad Juarez sono tristemente famose per le centinaia di donne sequestrate, torturate e uccise ogni anno, ma come emerge dai dati non si tratta di un caso isolato o specifico delle zone di confine.
Nonostante le cifre da bollettino di guerra, il governatore dello Stato del Messico Aruviel Avila non sembra preoccupato, infatti ha respinto tutte le richieste dell’Observatorio ciudadano nacional del feminicidio (Ocnf) di ottenere un incontro affermando che ci sono cose più importanti di cui occuparsi.
Negli ultimi anni sono state promulgate leggi dai titoli progressisti e rassicuranti come la “Ley de igualdad entre hombres y mujeres” del 2006 o come l’introduzione nel codice penale di sanzioni specifiche per i delitti di femminicidio. Tuttavia questa normativa non ha cambiato niente perché il più delle volte non viene applicata.
Le istituzioni che dovrebbero occuparsi dell’applicazione della legge sono corrotte, invischiate in un sistema di copertura reciproca tra militari, polizia, procure e narcotrafficanti.
Le vittime di violenza si trovano intrappolate tra la paura di scatenare ulteriori rappresaglie e la consapevolezza che lo Stato non dà loro alcuna garanzia di giustizia. è per questo che solo un caso di violenza su dieci viene denunciato, mentre il 95% dei casi di violenza resta impunito. Secondo la coordinatrice dell’Ocnf María de la Luz Estrada Mendoza, questi omicidi trasmettono il messaggio che chiunque può uccidere una donna senza doversi preoccupare delle conseguenze giudiziarie.
La violenza non è un carattere astratto o tanto meno genetico che ad un certo punto colpisce la popolazione, è il prodotto delle condizioni concrete di vita. In una società in cui non sono garantite l’istruzione, il lavoro, la salute, la casa, una parte della popolazione è costantemente soggiogata e questa è il terreno fertile in cui la criminalità può spadroneggiare.
Lo sviluppo dell’industria maquiladora ha avuto un impatto molto forte sulla vita delle donne (e degli uomini) in Messico. Fabbriche in cui si assumevano preferibilmente donne, giovani, non qualificate e con un salario di circa 4 dollari al giorno per 10 ore di lavoro.
La disoccupazione e la povertà fanno sì che ci sia un altissimo livello di ricattabilità: le dipendenti sanno che dietro di loro c’è un vero esercito disposto a prendere il loro posto di lavoro e i padroni hanno incensato un modello di lavoratrice dalle mani abili, mite, non interessata ai sindacati né a rivendicare qualche diritto.
Laddove la campagna ideologica non fosse sufficiente, interviene il terrore di poter essere assassinata per strada andando o tornando dal lavoro, senza che nessuno se ne accorga.
Secondo alcune interpretazioni il femminicidio è una conseguenza del machismo ofendido, un senso di vendetta contro l’integrazione delle donne nel processo produttivo e quindi la minaccia della loro indipendenza. Il machismo ofendido, così come il razzismo, è uno strumento per dividere la classe lavoratrice, creando delle rivalità inesistenti in cui far deragliare una rabbia che altrimenti si indirizzerebbe contro i veri
rivali di classe.
Nel corso degli anni anche gli uomini sono stati assunti nelle maquilladoras, soprattutto dopo il crack del 1994 quando la crisi economica del paese ha esecerbato le condizioni di povertà e disoccupazione. Se nel 1975 gli uomini nelle industrie erano il 12%, nel 2000 sono arrivati al 44% ma a patto di dimostrarsi miti, abili e disinteressati ai sindacati tanto quanto le loro compagne di lavoro.
Che siano donne, uomini, studenti non cambia niente per il cinismo della classe dominante: se uccidere migliaia di persone serve a rompere un fronte che minaccia i loro privilegi, che si faccia pure una strage.
Articoli correlati
Covid 19 e violenza contro le donne
La pandemia ha fermato quasi tutto, ma non la violenza contro le donne, anzi l’isolamento sociale e la convivenza forzata hanno aggravato una condizione già difficile che molte donne vivono in quel luogo che ormai non può essere più considerato il più sicuro: la casa e con essa la famiglia.
Il giorno della donna
In occasione della Giornata internazionale della donna, oggi 8 marzo pubblichiamo questo articolo scritto nel 1913 da Aleksandra Kollontaj, rivoluzionaria russa e dirigente del partito bolscevico.
Adelina è morta. Le sue idee meritano rispetto
Adelina Sejdini è morta. Si è lanciata da un ponte, non ce la faceva più a combattere, malata, la sua battaglia disperata per ottenere la cittadinanza italiana, lei che grazie al fatto di essersi ribellata ai suoi aguzzini aveva consentito l’arresto di 40 persone coinvolte nel racket della prostituzione e della mafia albanese.
“Maternità agile” – Ipocrita regalo ai padroni!
Nella manovra economica 2019 è stata approvata dalla Commissione bilancio alla Camera una misura voluta dalla Lega sul congedo di maternità, il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro che spetta alle donne durante la gravidanza e il puerperio.
23 novembre – Donne ancora in piazza!
Il 23 novembre scenderemo nuovamente in piazza a Roma per la manifestazione nazionale “Siamo rivolta”, contro la violenza di genere. Che ci sia la necessità di mobilitarsi contro l’oppressione e le discriminazioni contro le donne ce lo ricorda ogni giorno la cronaca, in Italia e nel mondo.
Donne, madri e lavoratrici: indietro non si torna!
In vista del convegno “Libere di lottare!” del 6-7 marzo, cominciamo la pubblicazione di una serie di articoli sulla condizione femminile a cominciare da cosa voglia dire oggi in Italia essere madri e lavoratrici. Per partecipare al convegno registrati qui.