L’appello di Falcone-Montanari e l’ipocrisia riformista

L’appello lanciato da Anna Falcone e Tommaso Montanari sul Manifesto del 6 giugno: “Un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza” è l’ennesima operazione destinata al fallimento che ci viene riproposta dalla sinistra riformista da almeno 10 anni a questa parte (Sinistra Arcobaleno, Federazione della sinistra, Rivoluzione civile, ecc.) con una dose se possibile anche maggiore di ipocrisia rispetto a quelle che tristemente l’hanno preceduta.

Trascurando l’immancabile riferimento al Papa (che certo non è a capo di una democrazia ma di una monarchia assoluta, parte integrante di un sistema che genera disuguaglianze), l’appello ha un vago richiamo a un’ispirazione anti-liberista.

Si parla di diritto al lavoro, di reddito di dignità, di diritto alla salute, alla casa all’istruzione, di un modello non basato sul profitto ma che allo stesso tempo “affronti i problemi di bilancio contrastando evasione ed elusione fiscale e promuovendo equità e progressività fiscale”.

Ci si propone di affrontare i “problemi di bilancio”, senza ripudiare il debito e le relative istituzioni europee che ci impongono i piani di ristrutturazione, contro le quali non si dice (non a caso) assolutamente nulla.

Non si capisce su quali basi l’”alleanza popolare” dovrebbe riuscire in Italia a fare ciò che non è riuscito a Tsipras in Grecia.

Come conciliare questo timido approccio riformista con il “rifiuto dell’austerità e di politiche recessive” è un segreto equivalente al terzo mistero di Fatima (chissà che Bergoglio non possa aprir loro le stanze del Sant’Uffizio per illuminargli la strada).

Coerentemente con un impianto tipico di un riformismo senza riforme l’appello parla di: “una Sinistra Unita, in un progetto condiviso e in una sola lista”.

Non si tratta di un abbaglio, si parla di una sola lista che vada dunque da Articolo 1-Mdp fino alle forze della cosiddetta sinistra radicale. Coerentemente con questo si richiamano i soggetti che il 4 dicembre hanno votato No al referendum.

Tra questi c’era come è noto anche D’Alema, che non a caso nella campagna referendaria ha stretto ottime relazioni con Falcone e Montanari, che erano a capo del comitato per il No.

La mano di D’Alema è talmente evidente in questa operazione che come rivela il Manifesto di oggi nell’articolo di Daniela Preziosi, nella riunione dei parlamentari di Mdp assieme a quelli di Campo Progressista si sarebbe detto che: “Sarà un fiume, ogni affluente avrà un suo ruolo” e secondo l’articolista, Mdp cerca di mediare fra i separati dell’ultimissima scissione (l’area di Campo progressista è composta in gran parte da ex Sel).

Non a caso alla riunione di lancio convocata il 18 giugno a Roma da Falcone e Montanari, sono già annunciate le presenze di esponenti del Mdp e secondo alcune indiscrezioni anche di Pisapia (sebbene abbia votato Sì al referendum).

Pare che l’ex sindaco di Milano abbia dovuto fare anche un parziale passo indietro rispetto all’unicità della riunione dell’1 luglio che aveva precedentemente convocato e che al momento non sappiamo ancora se e in quale forme realizzerà.

Ora in tutto questo resta da spiegare come è possibile che i segretari di Sinistra Italiana, Possibile e Rifondazione Comunista abbiano dato la loro adesione a un appello dietro il quale, seppure in forme mascherate, c’è la mano dei dalemiani.

Mdp ha forse cambiato idea rispetto all’alleanza con il Pd? Non ci pare, ancora ieri Bersani a Dimartedì (La7) ha confermato la posizione coniando lo slogan: “Se volete il centrosinistra noi siamo il voto utile. Perché noi con la destra non ci andiamo” e ha ribadito che in tema di alleanze la volontà di Mdp è quella di unirsi al “popolo del Pd”.

Non bastasse questo basterebbe vedere come i più convinti sostenitori del governo Gentiloni, al momento sono proprio gli esponenti di Mdp, visto la volontà manifesta di Renzi di staccare la spina al governo.

Dunque hanno forse cambiato idea Fratoianni ed Acerbo che da mesi rilasciano dichiarazioni sulla fine del centrosinistra e sulla loro indisponibilità ad accordi con il Pd? Staremo a vedere, i nodi verranno al pettine e ciascuno si misurerà con le proprie coerenze.

Ma anche volendo dare credito alle intenzioni dei segretari di Sinistra Italiana e del Prc dovremmo comunque criticare la loro fulminea adesione a un appello che parla di liste civiche, di processo dal basso, di una sinistra di popolo che rinasce dal popolo. Cose sentite, trite e ritrite il cui tanfo si sente a miglia di distanza.

Non a caso la compagna Forenza, eurodeputata del Prc, non ha potuto fare a meno di notare la cosa in un post su facebook: “non mi è chiara una cosa: ma SI e POSSIBILE anziché rispondere dopo 1 ora all’appello di Montanari e Falcone non facevano prima a scriverlo loro? O siamo al punto che dobbiamo far sembrare civiche le proposte dei partiti perché sembrino credibili?”

Qualcuno pochi minuti più tardi gli ha fatto notare che ancora prima di Fratoianni e Civati erano arrivate le adesioni di Acerbo e Ferrero.

La cosa sarebbe ironica se non fosse tragica rispetto al modus operandi di un ceto politico che in questi anni ha decretato la bancarotta della sinistra in Italia.

Gli stessi che ci hanno portato alla disfatta nel 2008 e alla drammatica esperienza del governo Prodi non hanno imparato nulla dall’esperienza e in un’eterna coazione a ripetere ripropongono ad ogni scadenza elettorale operazioni da saltimbanchi della politica, tese ad incantare un popolo di sinistra che in buona parte si è già gettato nelle braccia di Grillo.

Per tutte queste ragioni non ci saremo all’assemblea di Roma del 18 giugno.

La proposta politica a cui vorremmo aderire si propone di rompere con queste logiche e viole essere totalmente alternativa alle proposte della sinistra riformista.

La nostra opposizione al Pd è incondizionata, si struttura ad ogni livello, prima, durante e dopo le elezioni, così come nei confronti del M5S e delle destre reazionarie.

Dal nostro punto di vista essere di sinistra significa costruire un progetto politico che sia in grado di aggredire i punti centrali della crisi che in questi anni è stata scaricata sulle spalle delle classi subalterne.

Impossibile farlo senza ripudiare i trattati europei, il debito e l’Unione europea. Allo stesso tempo bisogna avanzare un programma di nazionalizzazione delle aziende strategiche e delle banche sotto il controllo dei lavoratori.

In definitiva è necessario avanzare un programma che metta in discussione i capisaldi di una società basata sul profitto di una minoranza che nega alla maggioranza un futuro e la soddisfazione dei bisogni più elementari.

L’unica proposta in grado di dare risposte serie ai programmi di austerità portati avanti in questi anni da tutti i governi, anche dai riformisti di sinistra, che si ispiravano agli stessi valori e alle stesse idee dell’”alleanza popolare” proposta da Falcone e Montanari.

A tutti quelli che leggendo questa dichiarazione immancabilmente ci accuseranno di settarismo, di non considerare il bisogno di unità a sinistra, dello sbarramento al 5%, ecc., rispondiamo con totale serenità: continuate pure sulla vostra strada ma quella catena che da Renzi, anello dopo anello arriva fino ad Acerbo, si spezza con noi e con coloro che in questa battaglia vorranno unirsi a noi per la presentazione alle prossime elezioni politiche di una lista di classe, rivoluzionaria e anticapitalista.

L’ambizione che ci anima è solamente una: schierarci dalla parte giusta della barricata, con i lavoratori, i precari, i disoccupati, le donne, i pensionati e tutti coloro che si battono contro l’iniquità di un sistema che, come ha dimostrato l’evidenza dei fatti, non può essere riformato, va semplicemente rovesciato.

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