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La vittoria di Pirro di Macron

Qualunque sarà la sua portata, la 14a “giornata d’azione” contro la vergognosa riforma delle pensioni di Macron, programmata per il 6 giugno, non avrà un impatto sul governo maggiore rispetto alla 13a. Anche se Macron non ha veramente ottenuto la “riconciliazione” che sperava, può trarre la conclusione che, per quanto riguarda la riforma delle pensioni, ha indubbiamente vinto la battaglia, almeno per il momento. Tuttavia, dal punto di vista della borghesia francese, questa è una vittoria di Pirro, nella quale il vincitore emerge molto più debole, nel complesso, del perdente.

In pochi mesi, Macron è chiaramente riuscito a rafforzare l’opposizione – e, spesso, lun vero e proprio odio – che suscita nella massa della popolazione. La prima ministra Élisabeth Borne e i pezzi grossi del suo governo – Le Maire (ministro dell’Economia), Darmanin (ministro dell’Interno), Dussopt (ministro del Lavoro), Véran (ministro per i Rapporti con il parlamento), Guerini (ministro della Funzione pubblica), ecc. – non godono di maggiore consenso del capo di Stato. Quanto alla segretaria di Stato Marlène Schiappa e alle sue numerose bravate, si tratta della perfetta sintesi della credibilità di questo governo. Anche in seno a vasti settori delle classi medie che continuano ad appoggiare Macron per paura dell’“estremismo”, l’entusiasmo del 2017 ha ceduto il passo a una crescente irritazione, che talvolta si trasforma in esasperazione. Il prossimo passo sarà sostenere uno degli “estremisti”.

Senza una maggioranza nell’Assemblea nazionale sulla riforma delle pensioni, il governo ha dovuto mettere in campo due articoli della Costituzione – il 47.1 e il 49.3 – per aggirare il dibattito e il voto in Parlamento. Anche l’articolo 40 potrebbe essere utilizzato con lo stesso scopo. Per ben due volte il Consiglio costituzionale ha respinto la richiesta di organizzare un “referendum di iniziativa condivisa” (un plebiscito pubblico), in un contesto che vede tutti i sondaggi nettamente a sfavore della riforma. Tutto ciò ha avuto luogo sotto lo sguardo attento e indignato di milioni di giovani e lavoratori, che hanno giustamente concluso che la “democrazia” francese è una farsa totale.

Questi eventi hanno dunque accresciuto la crisi del regime a livelli molto pericolosi, dal punto di vista della borghesia. Quando non sono solo questo o quell’altro esponente del governo, ma tutte le istituzioni “democratiche” a essere screditate fino a questo punto, la classe dominante cammina si trova sul filo del rasoio. Nel 2018 e 2019 il movimento dei gilets jaunes è stato un assaggio delle conseguenze esplosive a cui può portare una situazione del genere.

E si è trattato solo di un primo assaggio, perché ciò che ribolle nel profondo delle masse francesi, le cui tradizioni rivoluzionarie sono note in tutto il mondo, farà apparire il movimento dei gilets jaunes come una semplice scaramuccia in confronto.

 

L’impasse del regime

Tutto sommato, la borghesia avrebbe tutto l’interesse a incassare la riforma delle pensioni e fare pressione su Macron perché sciolga l’Assemblea nazionale, nella speranza che nuove elezioni possano ripristinare un minimo di apparenze democratiche.

Ma la borghesia non esercita questa pressione. Perché? Perché la crisi politica ha raggiunto una profondità tale che elezioni legislative anticipate potrebbero aggravarla, anziché mitigarla. D’altra parte, che razza di maggioranza parlamentare potrebbe restituire una nuova tornata elettorale nei prossimi mesi?

Davanti alla debacle rischiata da La République en marche (Lrem) di Macron e lo sbriciolarsi dei repubblicani, la tradizionale forza di centrodestra, è improbabile che questi due partiti formeranno una coalizione. È a sua volta da escludersi una coalizione tra Lrem e la Nupes (il principale raggruppamento di sinistra) finché quest’ultimo è dominato dalla France Insoumise (Fi). E proprio per via di questa funzione egemonica della Fi, la classe dominante è nettamente contraria alla prospettiva di una maggioranza assoluta della Nupes, dal momento che ha urgente bisogno di drastiche controriforme che non può affidare alla Nupes.

Resta la possibilità di un governo di coalizione con il Rassemblement national di Marine Le Pen: una formula simile a quella dell’attuale governo italiano. Ma si tratta di un’opzione senza alcuna certezza di successo elettorale, per non parlare dell’effetto elettrizzante che avrebbe su vasti strati dei giovani e della classe lavoratrice.

In breve, l’epoca dell’“alternanza politica”, quando destra e “sinistra” si alternavano al potere, imitando il ticchettio tranquillo di un vecchio orologio, è finita e non tornerà. La crisi profonda del capitalismo ha rotto l’ingranaggio. In ultima analisi, la crisi del regime del capitalismo francese è l’espressione politica di una crisi del sistema economico e sociale che lo sottende. E questa crisi è tutt’altro che prossima alla fine.

 

L’alternativa rivoluzionaria

La conclusione che ne consegue, dal nostro punto di vista di classe, è perfettamente chiara: per mettere definitivamente fine alla crisi economica e sociale è necessario portare i lavoratori al potere, espropriare la grande borghesia e riorganizzare la società su basi socialiste. In altre parole, sulla base della pianificazione democratica delle forze produttive.

Ogni altra “soluzione” non è che un diversivo e un inganno. Sempre più giovani e lavoratori stanno cominciando a trarre questa conclusione, anche se non hanno sempre le idee chiare sui modi per conquistare tutto questo.

Purtroppo non sono d’aiuto i dirigenti ufficiali della sinistra e del movimento sindacale, disperatamente aggrappati al loro riformismo logoro, i quali non fanno che dire che un capitalismo “dal volto umano” è possibile… proprio mentre questo sistema minaccia di gettare l’umanità nella barbarie generale.

Ecco la contraddizione centrale della situazione, in Francia così come altrove. Che resta coerente con quanto Trotskij scrisse nel 1938 in apertura del Programma di transizione:

“La situazione politica mondiale è caratterizzata innanzi tutto dalla crisi storica della direzione del proletariato.”

 

Le “teorizzazioni” di Sophie Binet

Per farsi un’idea del livello di confusione sparso dai vertici del movimento sindacale basta ascoltare l’intervista concessa il 10 maggio a Médiapart dalla neosegretaria generale della Cgt, Sophie Binet. Com’era prevedibile, Binet non presenta nemmeno la possibilità di abbattere il capitalismo, ma è degno di nota anche ciò che dice sulle grandi mobilitazioni degli ultimi mesi.

In risposta al giornalista che le chiedeva perché la Cgt non si sia mobilitata a livello nazionale anche sulla scottante questione dei salari, così risponde Binet:

“Le pensioni e i salari non funzionano allo stesso modo. Con i salari, il primo interlocutore è il padrone, e perciò le mobilitazioni sono nelle aziende, nei luoghi di lavoro, collegate in via diretta alle negoziazioni salariali. Ma un movimento nazionale e trasversale sui salari è molto più raro e non si vede quasi mai.”

La segretaria della Cgt Sopie Binet

Binet ce la mette tutta per coprire il proprio conservatorismo sotto un velo “teorico”. Ma questa “differenza decisiva” tra salari e pensioni è ridicola scolastica burocratica. Come spieghiamo da gennaio, confinando il programma della lotta alla sola questione delle pensioni, in un contesto in cui i tutti i lavoratori sono duramente colpiti dall’inflazione – tra gli altri problemi –, i dirigenti del movimento sindacale hanno limitato il potenziale della lotta.

E infatti, in più posti di lavoro e diversi settori, i lavoratori hanno colto l’occasione della battaglia contro la riforma delle pensioni per lanciare anche scioperi sui salari e sulle condizioni di lavoro. È il caso, in particolare, dei lavoratori scesi in sciopero all’azienda di abbigliamento Vertbaudet, il cui coraggio e determinazione, davanti a una direzione aziendale implacabile e alle intimidazioni poliziesche, ha suscitato l’ammirazione e la solidarietà di ampi settori della popolazione. Ecco la migliore risposta che possiamo dare ai ragionamenti astratti di Binet.

Indipendentemente da quel che pensa la segretaria generale della Cgt, sono all’ordine del giorno grandi lotte a livello nazionale non solo sulla questione delle pensioni, ma anche su quella dei salari, così come su tutti i problemi che affliggono la massa degli sfruttati e oppressi. Dobbiamo preparaci a queste lotte spazzando via le tesi reazionarie che cercano di limitare i metodi e la portata della lotta.

Alla fine, la nostra classe otterrà la sua vittoria decisiva quando avrà espropriato il pugno di giganti parassiti che dominano questo Paese, e riorganizzato la società su basi socialiste.

1 giugno 2023

 

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