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La scuola di Draghi – Precariato, gerarchia e tagli!

Non è lontano dal vero affermare che ogni ministro della pubblica istruzione degli ultimi 50 anni ha pubblicamente e reiteratamente recitato il medesimo canovaccio: “La scuola è la risorsa centrale per il futuro del Paese!”; “È miope non investire sui giovani!!!” e via di punti esclamativi. È invece certo che quanto più ciascun ministro si è ipocritamente sbracciato per difendere questi nobili princìpi, tanto più ha poi lavorato in direzione diametralmente opposta. Non fa eccezione l’attuale, Patrizio Bianchi.

L’ennesima controriforma dell’istruzione riguarda allo stesso tempo le modalità di assunzione del nuovo personale docente e la disciplina degli aumenti di chi docente di ruolo lo è già. I principali sindacati della scuola, a lungo assopiti davanti al “governo dei migliori”, hanno proclamato uno sciopero generale del settore per il 30 maggio.

 

Gironi danteschi per gli insegnanti precari

Per quanto riguarda l’assunzione del nuovo personale si inizia con un grande classico, ignorare le decine di migliaia di precari che già svolgono l’attività di insegnamento da anni, ma a tempo determinato, ponendo con ciò l’ovvia domanda: se queste persone hanno insegnato come precari fino ad oggi, cosa cambierebbe con la loro assunzione diretta a tempo indeterminato? Mistero.

Per diventare insegnanti il Miur ha dunque pensato a tre passaggi: 1) percorso abilitante; 2) concorso; 3) prova di valutazione finale.

I percorsi abilitanti saranno attivati sulla base del “fabbisogno” stabilito dal governo, che non fatichiamo a credere sarà sistematicamente sottostimato, come da tradizione. Ciò detto, ci si abiliterà acquisendo “crediti formativi” (Cfu) che si ottengono partecipando a corsi di “alta formazione” gestiti da privati; è il classico segreto di Pulcinella che il 99% di questi corsi ha un valore formativo prossimo allo zero, mentre il loro costo varia dai 350 euro per 6 Cfu alle maxi-offerte da discount per cui si possono acquisire 24 Cfu con “soli” 500 euro!

Pagati, quindi, un minimo di 1.000/1.500 euro, si dovrà poi sostenere un esame conclusivo del “percorso abilitante”, al termine del quale si sarà abilitati a sostenere un ulteriore esame; ma stavolta “concorsuale”. Superato il concorso si entrerà infine nell’anno di prova, nel quale si dovrà effettuare un test finale e attendere il parere del Dirigente Scolastico.

Ciliegina sulla torta: nel decreto è espressamente scritto che le – scarse – risorse che il governo destinerà a questo progetto saranno trovate riducendo l’organico degli insegnanti di 10.000 unità e tagliando di un quinto il già misero bonus formazione di 500 euro, previsto peraltro per il solo personale di ruolo.

 

Diseguaglianze nel personale docente

La controriforma non si limita al personale neoassunto, ma va a erodere, e sarebbe la prima volta, i diritti acquisiti di chi in ruolo è già. I futuri aumenti contrattuali, infatti, non scatteranno più solamente sulla base del criterio di anzianità, perché si rispolvera una vecchia idea della prima bozza della famigerata “Buona Scuola”: disciplinare gli scatti del personale sulla base del “merito”, ovvero della partecipazione a concorsi a pagamento con annesso ennesimo esame finale.

Avremo così per legge tre tipi di insegnanti: a) docenti di ruolo che potranno accontentarsi dei fondi che il governo destinerà agli scatti di anzianità, ma che dovranno comunque obbligatoriamente partecipare a corsi di formazione sulla “didattica digitale” fuori dal loro orario di servizio; b) docenti di ruolo che potranno partecipare ai corsi di “formazione incentivata” ma fuori dall’orario di servizio, a loro spese e previo il superamento di un ulteriore esame finale. Peraltro solo il 40% di chi supererà l’esame conclusivo potrà accedere allo scatto stipendiale, ma solamente per un triennio, al termine del quale ricomincerà l’infernale gioco dell’oca; c) infine i neoassunti che saranno obbligati per l’intera vita professionale a seguire i corsi della formazione “incentivata”. Il potere di Dirigenti Scolastici e Comitati interni di valutazione non farà che crescere e alimentare diseguaglianze tra lavoratori.

Una persona di buon senso si potrebbe domandare in che modo un simile calvario dovrebbe formare insegnanti migliori. La verità è semplice: questo è l’ultimo dei problemi di chi ci governa; ciò che interessa è un corpo insegnante docile, fedele esecutore di test Invalsi, attento alle esigenze delle aziende e, magari, poco sindacalizzato.

A fronte di tale scenario dobbiamo constatare che il livello dello scontro scelto dalle principali organizzazioni sindacali, in primis la CGIL, è del tutto inadeguato. Lo sciopero del 30 maggio, al quale parteciperemo attivamente, arriva tardi e non è propagandato nelle scuole con l’impegno che sarebbe necessario. La prospettiva indispensabile di un approfondimento della lotta mediante il blocco degli scrutini non viene affrontata seriamente. Cosa fare, dunque, il 31 maggio se il governo non facesse marcia indietro?

L’attacco alla scuola ha un carattere straordinario e altrettanto straordinarie devono essere le iniziative di mobilitazione e di lotta. L’esperienza della lotta contro la “Buona Scuola” deve costituire un insegnamento: la scuola non ha avuto e non avrà paura di lottare anche fuori dalle regole imposte per legarle le mani dietro la schiena, ma ha bisogno di una piattaforma, metodi di lotta e gruppi dirigenti all’altezza della situazione.

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