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La crisi delle Banche venete e… dintorni

Domenica 25 giugno il governo Gentiloni ha varato un Decreto legge d’urgenza per effettuare il “salvataggio” di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Lo stato di crisi delle due banche venete era noto da tempo e una delle condizioni poste dall’Unione europea (ovvero principalmente la BCE) per evitare la liquidazione coatta era quella di reperire fra gli investitori privati almeno 1,25 miliardi di euro per concorrere alla ricapitalizzazione. Non si è trovato nemmeno un euro!

Si è arrivati così all’ultimo giorno utile per evitarne il sostanziale fallimento ed impedire che il giorno dopo gli sportelli delle due Banche rimanessero chiusi. Possiamo immaginare l’effetto che questo avvenimento avrebbe prodotto.

I due Istituti bancari hanno crediti deteriorati per oltre 20 miliardi di euro e l’accordo con l’Ue recepito nel Dl del 25 giugno prevede quanto segue:

  • lo Stato Italiano interviene subito con 5,2 miliardi di euro che fanno parte del “plafond” dei 20 miliardi complessivi stanziati a dicembre 2016 per il “salvataggio” del sistema banche Italiane. Un onere che va a gravare interamente sul debito pubblico.
  • Banca Intesa rileva ed incorpora le due Banche pagandole simbolicamente 50 centesimi ciascuna.
  • L’intervento immediato dello Stato per 4,78 miliardi va a garantire i “capital ratio” (indicatori di equilibrio patrimoniale) di Banca Intesa, gli altri 400 milioni finanziano garanzie per potenziali rischi futuri.
  • L’esborso “cash” di cui sopra prevede che 1,5 miliardi siano destinati al fondo esuberi del personale in “eccedenza”. Infatti il piano di ristrutturazione che segue all’acquisizione da parte di Intesa San Paolo prevede esuberi complessivi nel “nuovo gruppo” per circa 4000 unità che saranno scaglionati negli anni a venire ma di cui mille saranno subito con la chiusura di 600 sportelli sui 900 complessivi delle due Banche incorporate.
  • Ma non è finita qui. Sono previste altre garanzie per circa 12 milardi di euro di cui 6,3 mld per retrocessione di crediti “non in bonis” (non solvibili) e 4 mld per crediti “in bonis” ma ad alto rischio.

L’accordo non rientra nelle regole del Bail In, (letteralmente “salvataggio interno” che avviene attraverso il coinvolgimento esclusivo dei suoi azionisti, obbligazionisti e correntisti) infatti si tratta di una “liquidazione pilotata “ dei due Istituti di credito, ma valgono quelle del “burden sharing” ovvero la conversione delle obbligazioni in azioni del gruppo. I possessori di titoli subordinati delle Banche in questione, il cui ammontare complessivo è di 200 milioni di euro, saranno indennizzati all’80% per il restante 20% ci sarebbe un impegno ad intervenire da parte di Banca Intesa.

I termini dell’accordo e del conseguente provvedimento di legge sono chiarissimi, a pagare quasi interamente il costo di questa ristrutturazione saranno i lavoratori del settore con il “piano esuberi” e lo Stato, dunque pertanto i contribuenti (sappiamo inoltre chi contribuisca maggiormente alle entrate fiscali del bilancio statale) con l’accollo dei costi monetari al debito pubblico. Banca Intesa rileva ed incorpora le due Banche Venete garantendosi per l’oggi e per il domani, anzi ricattando il governo quando afferma che se il decreto non sarà convertito in legge così com’è “salta tutto”.
L’accordo ed il conseguente Dl è stato così commentato dal premier Gentiloni: “Il salvataggio si indirizza innanzi tutto a favore dei correntisti e dei risparmiatori delle due banche, a favore di chi nelle banche lavora, più in generale a favore dell’economia del territorio…”. A seguire le considerazioni del ministro dell’economia Padoan: “Vorrei che le persone che fanno critiche e dicono che ci sono alternative migliori mi dicessero quale era l’alternativa migliore perchè io francamente non la vedo. L’unica alternativa era la liquidazione disordinata o spezzatino”.

La crisi del sistema bancario italiano si inserisce nella crisi internazionale del sistema capitalistico con la “complicazione” di alcune peculiarità del “sistema paese”, vale a dire la struttura del sistema produttivo e distributivo caratterizzato prevalentemente da medie e piccole imprese che ricorrono quasi esclusivamente al credito bancario per le necessità di finanziamento. A questo si aggiunge il sistema clientelare della concessione degli affidamenti (domanda: ma dove era la vigilanza bancaria? ). A questo riguardo si rimanda a quanto già scritto in un precedente articolo pubblicato su Rivoluzione n. 27.

La vicenda di cui ci stiamo occupando come quella di MPS, delle altre banche già decotte e come quelle che seguiranno ci porta a fare almeno tre considerazioni fondamentali:

  • Chi paga veramente il costo di questa crisi?
  • Questi soldi e questi provvedimenti serviranno a stabilizzare il sistema banche?
  • Per rispondere anche alla domanda posta dal ministro dell’economia Padoan, c’erano altre strade da perseguire ?

Per quanto riguarda la prima domanda, paghiamo sempre noi: i lavoratori e le loro famiglie.

Per quanto riguarda il secondo interrogativo è davvero difficile supporre che ci sia una stabilizzazione anche a breve o medio termine del settore. Occorre tenere presente l’andamento dell’economia mondiale che dopo una debole ripresa sta ora conoscendo nuovi segnali di rallentamento. I livelli di espansione monetaria hanno raggiunto livelli non più sostenibili nel medio-lungo periodo. Il processo di concentrazione capitalistica continua ma a beneficiarne sono stati quasi esclusivamente gli utili aziendali, cioè la remunerazione del capitale a svantaggio del monte salari. Infine la produttività non aumenta in maniera soddisfacente.

L’Italia da questo punto di vista è in una situazione peggiore di tanti altri paesi dell’Ue. Per capire quanto sia difficile la situazione delle Banche Italiane basta fare riferimento ai dati statistici sui crediti in sofferenza (gli Npl). L’ammontare complessivo ammonterebbe a 360 miliardi di euro (non tutti alla fine saranno effettivamente inesigibili ma una gran parte si).

Alla fine del corrente anno si stima che gli Npl dismessi e conferiti nelle Bad Bank saranno pari a 83 mld così ripartiti:

  • MPS 26 miliardi – Unicredit 18 miliardi– Popolare Vicenza / Veneto Banca 18 miliardi – REV (Bad Bank di Banca Marche,Banca Etruria,ecc.) 10,3 miliardi – Carige 3,5 miliardi – CR Rimini, Cesena, San Miniato 4,5 miliardi -Intesa San paolo 2,1 miliardi – Credito valtellinese 1,5 miliardi – Banca BPM 1,35 miliardi.

Richiamiamo infine l’attenzione sulla situazione di MPS : ricapitalizzazione precauzionale per 5,4 miliardi con intervento dello Stato che diventa azionista al 70%. Azionisti ed obbligazionisti privilegiati contribuiscono per 4,3 miliardi. La ristrutturazione prevede 4800 esuberi, 750 uscite da turnover, 450 uscite da cessioni di attività. A fronte di questo ridimensionamento della forza lavoro sono previste 500 nuove assunzioni.

Da quanto esposto possiamo capire l’entità della crisi ed i suoi effetti devastanti nel tempo.

Infine la terza domanda cioè c’erano altre strade da seguire? Dal punto di vista capitalistico, che è poi quello del ministro Padoan e dell’Ue, sostanzialmente no.

L’unica vera altra strada è quella della nazionalizzazione. Attenzione, non vogliamo un’ennesima socializzazione delle perdite, come nel caso descritto di Mps. La nazionalizzazione deve avvenire sotto il controllo dei lavoratori, tutelando i piccoli risparmiatori e senza indennizzare i banchieri. Ma questo implica complessivamente altre scelte che non sono certamente nelle corde dell’attuale governo borghese in carica.

 

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