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La crisi della giunta Raggi smonta la demagogia a Cinque Stelle

Il giovedì nero di Virginia Raggi (lo scorso primo settembre) – con cinque dimissioni tra assessore al bilancio, capo di gabinetto e dirigenti di due delle tre ex municipalizzate fondamentali della capitale – manda in mille pezzi l’idea fondamentale su cui si è basato il successo del Movimento Cinque Stelle. L’illusione che, tutto d’un tratto, sarebbero sparite le incompetenze, le inettitudini, le furberie della combriccola di mascalzoni che, secondo una vulgata giornalistica, sarebbero il principio e la fine dell’abisso in cui è sprofondata negli ultimi anni l’amministrazione capitolina.

Con i grillini al potere, si diceva, si sarebbero trovati i cittadini più onesti e più competenti che, non dovendo seguire nessun interesse di parte, seppelliti i concetti di destra e sinistra, si sarebbero messi onestamente al servizio dei loro concittadini.

Scelti a giugno, la Raggi li caccia tutti a settembre perché in conflitto permanente con i suoi fedelissimi!

Ora, per stessa ammissione del gruppo dirigente nazionale (se così si può dire) del M5S, l’unico criterio con cui verranno scelti i sostituti, di quelli che occupavano i cinque posti chiavi ora vacanti, sarà la inconfutabile fedeltà alla neo-sindaca, salita al Campidoglio col 70% dei voti contro il candidato del PD.

Le epurazioni della sindaca

Con un blitz in giunta sotto ferragosto, la Raggi ha stretto il cappio attorno al suo capo di gabinetto, Carla Raineri, magistrato della Corte d’Appello di Milano (profilo impeccabile… o no?) fino a costringerla alle dimissioni a fine agosto. Seguono a ruota quelle di Marcello Minenna, condirettore della Consob, laurea alla Bocconi (altro profilo indiscutibile), del presidente dell’AMA (la municipalizzata dell’ambiente) e (queste ultime dimissioni solo in parte riconducibili all’allontanamento della Raineri) di amministratore delegato e direttore generale di Atac.

Tecnici che erano già, molto apprezzati, nella squadra del commissario-sceriffo Tronca (quello che aveva sostituito Marino e si faceva dettare l’ordine del giorno dal prefetto Gabrielli, famoso per la sua frase d’esordio d’ora in poi ogni nuova occupazione due sgomberi).

Una cabina di regia tecnica da far paura e da richiamare con terrore il ricordo dei governi tecnici Amato – per chi se lo ricorda – e, più recente, Monti.

Ora verranno diramati i nomi di chi verrà, sta di fatto che acquisiscono maggiore potere l’ex alemanniano Raffaele Marra (prima vice capo di gabinetto) e Salvatore Romeo, un oscuro funzionario promosso a capo segreteria della sindaca con una consulenza d’oro da 120mila euro all’anno quando lo stipendio di partenza era un terzo. Bell’esempio di trasparenza e di contenimento dei compensi di chi fa politica!

I sostituti confermeranno l’impronta del governo tecnico (il nuovo assessore al Bilancio, De Dominicis, viene dalla corte dei Conti) ma saranno tecnici più legati alla Raggi. Di sicuro rimarranno legati a doppio filo agli interessi economici predominanti che aspettando di fare affari sullo stadio, sulle Olimpiadi e attraverso le privatizzazioni: non per caso la prima dichiarazione del neo-assessore al Bilancio è: le Olimpiadi a tutti i costi a Roma nel 2024.

In tutti i casi quanto di più lontano dal governo dei cittadini. E non basta la retorica sull’onestà (per quanto anche questa macchiata dalle indagini che lambiscono alcuni assessori), un marchio di fabbrica dei Cinque Stelle. Il nuovo assessore De Dominicis l’ha già fatto capire sin dalle prime interviste: sarà onestamente e in maniera rigorosa al servizio delle uniche politiche possibile se non si rompe con le compatibilità del capitalismo, tagli, privatizzazioni e grandi opere per grandi affaristi.

I primi passi dei cinque stelle a Roma

Ci sono due questioni sulle prime pagine della cronaca romana e non solo: le Olimpiadi e lo stadio della Roma. Su nessuno dei due dossier il M5S ha preso una posizione definita.

Sulle Olimpiadi a Roma nel 2024 nessuna posizione di incontestabile contrarietà. E sì che Roma ancora subisce i danni dei Mondiali di Nuoto: un antipasto degli scandali di corruzione che hanno travolto la città e l’inaugurazione del metodo emergenziale con il quale la protezione civile passava sopra la testa della collettività per imporre opere di devastazione del territorio (a l’Aquila ne sanno qualcosa…).

Come fu per i Mondiali di Nuoto del 2009, ci sono potentati economici che non aspettano altro che gli affari da fare nelle aree all’interno delle quali sorgeranno gli impianti sportivi. Speculazioni edilizie che hanno già devastato Roma quando si sono tenuti i mondiali di una sola disciplina, pensiamo a quello che può succedere con le Olimpiadi!

Tor Vergata, il quartiere con al centro la seconda università, ha già alcune cattedrali nel deserto che risalgono al 2009. È l’area prescelta per tenere il maggior numero di manifestazioni per le Olimpiadi e sono per la maggior parte terreni che, per utilizzarli, si dovrà pagare laute concessioni a Caltagirone (il più famoso costruttore di Roma, proprietario de Il Messaggero, iscrittosi honoris causa a Legambiente da quando la costruzione dello stadio della Roma è stata affidata ad un altro costruttore). Ecco perché il nuovo assessore al Bilancio dice che le Olimpiadi a Roma si devono fare!

Roma è una città con due stadi: uno quasi completamente ristrutturato (l’Olimpico) ed un altro bellissimo e in stato di completo abbandono (il Flaminio); però se ne vuole fare un terzo! Con corredo di speculazioni edilizie per regolare i conti tra Unicredit (proprietaria di un consistente pacchetto azionario della Roma) ed uno dei maggiori costruttori romani (Parnasi). Si daranno a Parnasi centinaia di milioni di euro per costruire un nuovo agglomerato di case nel nulla, confermando l’opera di imbruttimento della città portata avanti da Veltroni, Rutelli e Alemanno con la costruzione di quartieri nel nulla pieni solo di casinò e slot machine. Posti dove è deprimente vivere e impossibile crescere, con il primo cinema e la prima biblioteca a decine di chilometri di distanza.

Ecco cosa ci sarà attorno al nuovo stadio. Posti orrendi ma dei veri affari per i costruttori!

La Raggi, sia sullo stadio che sulle Olimpiadi, dà tanto l’impressione di chi vorrebbe dire sì ma non sa come.

La Raggi e i dipendenti comunali

Per ora solo melìna sulle questioni decisive che hanno diviso Roma negli ultimi anni: il salario e i diritti dei dipendenti comunali e la privatizzazione delle aziende comunali.

Tutt’e due scaturiscono dal debito accumulato dall’amministrazione comunale, arrivato ormai a 13 miliardi di euro, che si vuole scaricare tutto sui lavoratori e i dipendenti delle ex-municipalizzate.

La neo-sindaca grillina finora non ha dato nessun segno di discontinuità rispetto agli attacchi ai lavoratori del comune e alle politiche di privatizzazione. Si è, al contrario, perfettamente inserita nella propaganda sui dipendenti pubblici fannulloni, il corredo ideologico al taglio dei salari e all’aumento dei ritmi che ha scatenato le proteste a Roma.

C’è una martellante campagna per risolvere il problema del debito comunale spingendo l’acceleratore sul terreno delle privatizzazioni. Il SOLE 24 ORE ha pubblicato uno specchietto dal quale risulta che da sole ACEA (acqua ed elettricità), AMA e ATAC, risucchiano due miliardi di euro di stanziamenti ogni anno.

Con la totale privatizzazione questo problema non ci sarebbe… E la Raggi?

Su Acea si è scagliata contro la crescita del pacchetto azionario di Caltagirone (il più potente costruttore romano). Per fermare la privatizzazione? No! Per sostenere l’idea che la privatizzazione deve favorire l’altro soggetto azionario privato, i francesi di GDF-Suez.

Sull’AMA idem con patate; con la ciliegina che l’assessore all’ambiente della nuova giunta è indagata per consulenze milionarie proprio dall’AMA. Finora dalla nuova inquilina del Campidoglio sono usciti progetti di riorganizzazione con più esternalizzazioni e più “efficientamento”, senza nessuna idea di dove andare a reperire le risorse per sostituire o ammodernare impianti che a fine anno saranno al collasso mentre i rifiuti di Roma fanno il giro d’Italia e d’Europa, con l’unica sicurezza (come denunciato più volte dai sindacati) che si cercherà di far partire la privatizzazione che è più indietro rispetto a quelle di ACEA e ATAC.

Con le dimissioni dei due principali dirigenti (A.D. e D.G.), l’ATAC ora è senza piano industriale (che doveva durare fino al 2019 e sul quale si è aperto lo scontro con il Comune sulla prima parte dei finanziamenti che dovevano arrivare). Il debito è quasi a 1,7 miliardi di euro e le condizioni dei trasporti sono sempre più allo sfascio, dal momento che ora si rischia una tragedia al giorno con i tubi dell’aria condizionata posizionati sotto il tetto degli autobus che in più d’un caso si sono staccati per via della anzianità dei veicoli e del dissesto delle strade.

L’Assessore Berdini e la sinistra romana

Il prossimo assessore a dimettersi sarà Paolo Berdini. Esponente molto riconosciuto della sinistra a Roma, molto noto anche a livello nazionale per le sue battaglie contro le devastazioni del territorio, Berdini, come assessore all’urbanistica, si è trovato al centro dei due casi più spinosi, quello dello stadio e delle Olimpiadi.

Dire che la sua linea è stata ondivaga è un eufemismo.

Dopo più di un NO, sulle Olimpiadi – dopo che la maggioranza grillina in consiglio comunale ha bloccato la proposta di referendum fatta da Sinistra Italiana – è recentemente arrivata una apertura a condizione che arrivino finanziamenti che possano permettere di migliorare gli impianti in periferia proprio dopo le Olimpiadi più blindate della storia (quelle di Rio) tenutesi all’interno di un fortino assediato senza nessuno contatto con la città. Sullo stadio Berdini ha cercato di cavarsela, per non mettersi di traverso, provando a passare semplicemente da passacarte alla Regione per iniziare la conferenza dei servizi, che però non inizia se il comune di Roma e Berdini per primo non danno il loro parere di conformità.

Quel che è peggio è che il giovedì nero d’inizio settembre, per sua stessa ammissione in un’intervista a la Repubblica del 4 settembre (che sa tanto di lettera d’addio), lascia da solo Berdini (unico in giunta a battersi contro le epurazioni della Raggi) e vacilla tremendamente quella micidiale illusione, di poter influenzare la sindaca grillina, coltivata da più parti nella sinistra romana: da settori dell’USB ai centri sociali orfani della rappresentanza istituzionale con la scomparsa di Rifondazione prima e la parabola verso il nulla di SEL dopo.

L’abbaglio che si potesse condizionare da sinistra la giunta Raggi, creando dei contrappesi che ne spostassero il baricentro verso le questioni sociali.

Un miraggio ovviamente allargato a dismisura dalla presenza di Berdini in giunta, il quale ha alimentato queste illusioni per cercare di restare meno isolato nella giunta stessa. Ultima occasione, una assemblea cittadina della Sinistra per Roma di inizio luglio dopo l’esito disastroso della candidatura di Fassina, con Berdini presente a cullare l’idea di farsi portavoce dei movimenti in giunta per spostarne a sinistra l’asse. La parabola della Raggi e l’isolamento dell’assessore all’urbanistica seppelliscono questa mistificazione della realtà.

Se si smettesse una volta per tutte di pensare che la sinistra si ricostruisce cercando le sponde istituzionali e si partisse con una campagna d’autunno che lega il NO all’austerità ai tagli mostruosi fatti a Roma per ripianare il debito, legandoli alle vertenze dei dipendenti comunali già sul piede di guerra contro la Raggi sulle vertenze del salario accessorio e delle privatizzazioni, sarebbe già un buon inizio.

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