La capitolazione della Cup in Catalogna
La Cup (Candidatura d’unitat popular), il raggruppamento “anticapitalista e indipendentista” della Catalogna, premiato da un 8% di voti nelle elezioni autonomiche del 27 settembre, ha riprodotto in salsa catalana lo stesso voltafaccia di cui si era reso protagonista Tsipras la scorsa estate.
Questi in sintesi i fatti.
Le forze indipendentiste raccolgono alle elezioni di settembre il 48% dei consensi (40% la coalizione borghese Junts pel si (JxSì), 8% la Cup). Il leader di JxSì, Artur Mas, aveva dato un carattere plebiscitario a queste elezioni, vale a dire che in caso di vittoria avrebbe dato inizio al “processo” verso la separazione della Catalogna dal resto dello stato spagnolo.
Mas, un politico borghese corrotto e screditato, aveva sempre dichiarato come fosse imprescindibile il suo ruolo per condurre in porto il processo verso l’indipendenza.
Di conseguenza si è candidato alla presidenza della Generalitat della Catalogna.

Carles Puigdemont (a sinistra) e Artur Mas
I dirigenti della Cup, a partire dal capogruppo Antonio Baños, in tutti questi mesi avevano dichiarato che non avrebbero mai dato l’investitura a Mas.
Aprono un tavolo di trattative, che si concentrerà su un piano di investimenti contro l’emergenza sociale (plan de choque social) chiedendo al futuro presidente della Generalitat investimenti per 5 miliardi di euro in politiche sociali, ottenendone solo 270 milioni.
Messa alle strette dall’apparato di Cdc ed Erc (i due partiti che compongono la coalizione Junts pel si) per raggiungere un accordo la Cup decide di consultare la propria base.
Convoca un’assemblea dei propri militanti il 29 novembre, nella quale circa 2/3 dell’organizzazione si pronunciano contro l’investitura a Mas.
La decisione sembrava presa a quel punto, ma sorprendentemente i dirigenti della Cup dichiarano che avrebbero tenuto aperto il tavolo di trattativa con Junts pel si, per riconvocare i propri militanti dopo le elezioni politiche generali del 20 dicembre.
Il 27 dicembre, oltre ai militanti verranno coinvolti anche i simpatizzanti della Cup, per un totale di 3.500 compagni circa che si riuniranno a porte chiuse nel palazzetto dello Sport di Sabadell. Alla terza votazione, con scrutinio segreto, si arriverà a un rocambolesco e incredibile pareggio: 1515 a favore dell’investitura di Mas, 1515 contro. La decisione spetta dunque al Comitato federale, il massimo organismo decisionale.
Il 3 gennaio dopo aver consultato decine di assemblee territoriali, la posizione contro l’investitura prevarrà per 4 voti. Tutto lasciava pensare che mancando il sostegno della Cup, non sarebbe stata possibile l’investitura di Mas e il 10 gennaio si sarebbe tornati a votare.

Anna Gabriel annuncia il voto di fiducia della Cup a Puigdemont
Parte una campagna furiosa contro la Cup, che trova sponde importanti all’interno dell’organizzazione, in particolare nel settore moderato dell’organizzazione (Poble Lliure) che dichiara pubblicamente che la decisione tradisce il “processo” verso l’indipendenza. In rapida sequenza arrivano le dimissioni di Baños, che dichiara di non saper difendere la decisione assunta dal Comitato federale. Mas approfitta della situazione di divisione interna per rivolgere un attacco durissimo alla Cup, che viene accusata di tradimento e di collaborazionismo con Madrid. La rabbia di Mas era del tutto comprensibile visto che la sua credibilità era totalmente compromessa, così come quella del suo partito Cdc.
Le pressioni sulla Cup hanno effetto e nel giro di 48 ore viene completamente ribaltata la decisione.
Si tratta di un epilogo umiliante e grottesco.
L’accordo sottoscritto il 9 gennaio prevede:
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la consegna di due ostaggi permanenti al partito di Artur Mas. Questi due deputati della Cup verranno sostanzialmente integrati nel gruppo parlamentare di Junts pel si assicurando loro la maggioranza assoluta (64 su 126).
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La Cup non potrà mai votare, proposte che generino instabilità, né le proprie né quelle provenienti da altri gruppi parlamentari, su insindacabile giudizio del gruppo Junts pel si. In sostanza saranno comandati dal gruppo di Mas.
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I deputati più “discoli” della sinistra della Cup, contrari all’investitura, saranno obbligati alle dimissioni. Possiamo supporre che a partire da oggi tutti i militanti critici disponibili al fronte unico con Ada Colau ed En Comù Podem (che è uscita vittoriosa alle elezioni politiche del 20 dicembre ribaltando i risultati delle autonomiche) verranno accusati, citiamo dalle parole dal portavoce di un movimento catalanista (Cci) Castor Bayo, di essere “infiltrati del comunismo espanolista”.
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In pratica la Cup diventa un protettorato di Junts pel si e sacrifica la propria esistenza alla sopravvivenza di una forza politica condannata quale era Cdc, prima di questo vergognoso accordo.
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Il tutto viene accompagnato da un’umiliante lettera di scuse per i danni arrecati al “processo” indipendentista e per la loro belligeranza contro Junts pel si.
In cambio la Cup ottiene che Mas venga sostituito da Puigdemont, esponente della destra di Cdc, che rappresenta la continuità assoluta con le politiche di Mas, come lui stesso si è affrettato a dichiarare dopo l’investitura.
La montagna ha partorito il topolino. La sinistra della Cup, che risponde alla tendenza Endavant, ha preferito piegarsi, accettando il ricatto del settore moderato della Cup per mantenere un’unità fittizia del movimento, che servirà solo a salvare politicamente Artur Mas e Cdc. Una volta che il limone sarà ben spremuto la borghesia catalana assesterà un bel calcione nel sedere ai “ragazzotti” della Cup. Quella che poteva essere una grande vittoria nelle elezioni del 6 marzo per una candidatura sociale contro i tagli e l’austerità nella difesa intransigente dei diritti democratici del popolo catalano verrà sacrificata da un abbraccio mortale agli interessi della borghesia catalana.
Ai militanti combattivi della Cup resta una sola strada, rompere con quest’accordo vergognoso per unirsi al movimento En Comù Podem, l’unico che può battersi contro le politiche di austerità provenienti dal governo di Madrid e di Barcellona unendo le forze del movimento operaio aldilà delle barriere nazionali.
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