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La Brexit riapre il conflitto in Irlanda del Nord?

Scontri e disordini tornano ad essere protagonisti per le strade di Belfast e dell’Irlanda del Nord. All’inizio di aprile per diverse notti gruppi di giovani e giovanissimi, provenienti dai quartieri protestanti, hanno incendiato auto e lanciato molotov e bengala, provocando la reazione dei giovani dei quartieri cattolici.

Esponenti dei gruppi paramilitari lealisti hanno minacciato nelle scorse settimane gli agenti doganieri, responsabili dei controlli alla frontiera marittima. Gli stessi gruppi avevano annunciato a inizio marzo il ritiro dall’accordo del Venerdì Santo, stipulato nel 1998.

Il Dup (Partito unionista democratico, di destra), il principale partito politico dell’Ulster, che era stato determinante per la maggioranza dei governi May prima e Johnson poi, è stato scaricato dai conservatori sull’altare dell’interesse preminente della classe dominante britannica: l’accordo sulla Brexit con l’Unione europea

Con il protocollo firmato tra governo di Londra e Unione europea, l’Irlanda del Nord è rimasta di fatto nel mercato unico; per non richiudere il confine terrestre tra nord e sud, di fatto “virtuale” fintanto che il Regno Unito era parte dell’Ue, Johnson ha creato un confine sul mare che separa l’Irlanda del nord dal resto della Gran Bretagna. I partiti unionisti lo vedono come un vero e proprio tradimento, considerando l’unità tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna una questione di principio.

Arlene Foster, principale leader del Dup, potrebbe fare proprie le parole di Edward Carson, storico politico reazionario protestante, pronunciate giusto un secolo fa, al momento dell’istituzione dell’Home Rule che avrebbe consentito la nascita della repubblica d’Irlanda: “Che sciocco sono stato! Ero solo una marionetta, e così l’Ulster, e così l’Irlanda, nel gioco politico che doveva portare il partito conservatore al potere”.

 

“Divide et impera”

Il conflitto nordirlandese è il prodotto della politica dell’imperialismo inglese, che sottopose l’Irlanda a secoli di dominio e di oppressione coloniale, e che successivamente, davanti alla lotta di massa per l’indipendenza, decise di concedere nel 1922 uno Stato agli irlandesi, ma con una clausola. L’Irlanda sarebbe stata divisa, e le sei contee del nord dove viveva la popolazione protestante, cuore industriale dell’isola e base necessaria alla Marina militare, sarebbero rimaste territorio britannico. In questo intento, Londra fu assecondata dalla borghesia irlandese, che tradì la lotta eroica delle masse per un’Irlanda unita e indipendente. La classe dominante britannica applicò in Irlanda una delle più classiche strategie dell’imperialismo, quella del “divide et impera”, fomentando l’odio religioso tra le comunità cattoliche e protestanti e legando a sé i protestanti, minoranza in tutta l’isola, ma maggioranza nel nord.

Agosto 1969: Le residenti di Bogside a Derry preparano le molotov per la difesa del quartiere

Nel corso di diversi decenni Londra potè governare l’Ulster in maniera quasi incontrastata, ma il fuoco della rabbia per le discriminazioni politiche e civili covava sotto la cenere. I cattolici erano discriminati nella ricerca del posto di lavoro, nell’educazione, ed anche nelle elezioni, con il tracciamento dei collegi elettorali a favore dei protestanti. Ad esempio a Derry, negli anni ’60 del secolo scorso, i cattolici erano i tre quinti della popolazione, ma eleggevano meno dei due quinti del consiglio municipale.

La rabbia esplose nella seconda metà degli anni ’60, con il movimento per i diritti civili. Nel secondo dopoguerra la borghesia britannica era giunta alla conclusione che fossero necessarie in Irlanda del Nord alcune riforme dall’alto per evitare una rivoluzione dal basso, fino a non escludere una possibile riunificazione con il sud dell’isola. L’interesse economico e militare scemava, mentre i costi del controllo economico e politico diventavano gravosi.

Le parziali aperture di Londra svilupparono un movimento spontaneo di dimensioni di massa, assolutamente non previsto dalla direzione dell’Ira (Irish republican army) né voluto dalla borghesia irlandese al sud, che da tempo aveva abbandonato ogni ipotesi di unificazione dell’isola.

Il movimento, ispirato dall’ascesa rivoluzionaria in diversi paesi del mondo e particolarmente dal maggio francese, all’inizio unì al suo interno sia cattolici che protestanti e davanti alle provocazioni della polizia nordirlandese e dei reazionari protestanti, prese ancora più forza, culminando nell’estate del 1969, quando a Derry vennero erette le barricate nel quartiere cattolico di Bogside (poi denominato “Bogside Free Derry”) dove il controllo delle strade era nelle mani del Derry Citizen Defence Committee (Comitato di autodifesa dei cittadini di Derry) una vera e propria milizia popolare. I Giovani socialisti di Derry, guidati dalla Tendenza marxista, vi giocavano un ruolo guida.

Il 14 agosto 1969, l’esercito inglese venne inviato dal governo laburista, a parole per “difendere le comunità cattoliche e la pace” in Irlanda del Nord. Seimila soldati presero il controllo di Belfast e Derry e in realtà ristabilirono l’ordine capitalista, reprimendo l’insurrezione delle masse cattoliche.

La nostra organizzazione, che allora si chiamava Militant, fu l’unica nella sinistra britannica ad opporsi all’intervento militare. Un esercito in una società divisa in classi non può mai essere “super partes” ma difenderà sempre gli interessi della classe dominante. E fu così anche in Irlanda del Nord, come fu dimostrato immediatamente in molte occasioni, tra cui la più celebre e tragica, la Domenica di sangue (Bloody sunday), quando il 30 gennaio 1972 l’esercito britannico sparò sui manifestanti a Derry, uccidendone 14 e ferendone altri 26.

 

La politica dell’Ira

La radicalizzazione di quel movimento ebbe naturalmente effetti profondi nelle organizzazione repubblicane ufficiali, come l’Ira, che in quegli anni si spostava a sinistra, influenzata dal marxismo. La borghesia di Dublino, terrorizzata dagli effetti nella Repubblica del movimento di massa, provocò in maniera deliberata una scissione nell’Ira, denominata “Provisional Ira”, in opposizione all’“Official Ira”.

Il corpo esanime di Bernard McGuigan, padre di sei figli, colpito alla testa dall’esercito inglese mentre soccorreva il 17enne Hugh Gilmour (sullo sfondo)

Il fulcro della politica dei “Provos” non era la lotta di massa, ma la lotta armata. Anticomunisti fanatici, furono massicciamente armati e finanziati da Dublino. Davanti alla repressione feroce dell’esercito britannico e agli attacchi dei paramilitari protestanti, la Provisional Ira era l’unica a possedere delle armi e così negli anni settanta i giovani cattolici vi entrarono in massa.

I marxisti non negano la necessità dell’autodifesa e dell’uso delle armi nell’insurrezione rivoluzionaria. Il più grande marxista irlandese, James Connolly, organizzò l’Irish Citizens’ Army, la forza principale che organizzò l’insurrezione di Pasqua a Dublino nel 1916. Ma la Citizens’ Army era strettamente legata al movimento operaio e alla lotta della maggioranza degli oppressi. I metodi dell’Ira erano opposti. In questo caso la “lotta armata” fu condotta da una minoranza di “liberatori” che si sostituirono al movimento di massa.

Questo tipo di azioni militari, in realtà atti terroristici, non servono a sviluppare la coscienza di massa, anzi, favoriscono un atteggiamento di passività. Tutto quello che viene chiesto alle masse è di stare alla finestra ad applaudire i “liberatori”.

Nel caso dell’Irlanda, le azioni dell’Ira hanno contribuito per tutto un periodo storico a scavare un fossato profondo tra il proletariato cattolico e quello protestante. Inoltre, il fatto che l’Ira credesse di poter cacciare dall’isola uno dei più potenti eserciti del mondo sulla base della forza militare pura e semplice si rivelò una tragica illusione. L’esercito britannico non esitò a ricorrere ai metodi più spietati per spezzare la resistenza repubblicana. I diritti democratici più elementari furono negati per decenni. La fine di Bobby Sands e degli altri prigionieri politici repubblicani, lasciati morire dalla Thatcher dopo un eroico sciopero della fame di cui in questi giorni ricorre il quarantesimo anniversario, ne è un esempio.

La borghesia inglese non poteva permettere una guerra civile in Irlanda del Nord, anche per le conseguenze che avrebbe avuto in Gran Bretagna, dove in tutte le città principali risiede tuttora una percentuale significativa di irlandesi cattolici.

La campagna dell’Ira degli anni settanta ed ottanta si rivelò un fallimento totale. Dopo 3500 morti, la direzione del Sinn Fein, braccio politico del movimento, accettò gli Accordi del Venerdì Santo, con cui rinunciava alla lotta armata e veniva integrata nella gestione del sistema capitalista delle sei contee insieme ai partiti protestanti. Con questa capitolazione si esprimeva il vicolo cieco del nazionalismo e della “lotta armata”, e la mancanza di una prospettiva rivoluzionaria.

Nell’accordo, sia il Sinn Fein che Dublino rinunciavano esplicitamente ad ogni prospettiva di un’Irlanda repubblicana unita. L’Ira ha dovuto naturalmente riconsegnare le armi, mentre la nuova forza di polizia (la Psni) ha incorporato gran parte degli elementi e delle catene di comando della vecchia Ruc, da sempre legata a doppio filo ai paramilitari unionisti.

Il parlamento nordirlandese, l’assemblea di Stormont, ha vissuto un equilibrio precario in questi 23 anni. Non è mai stata un governo con pieni poteri ma è stata sospesa più volte dal governo britannico (una volta per ben quasi cinque anni, dal 2002 al 2007), fino alla svolta della Brexit, che cambia completamente le carte in tavola.

 

Crisi dell’unionismo

Il protocollo sull’Irlanda del Nord è diventato il catalizzatore di una crisi che si preparava da diversi anni per l’unionismo. Boris Johnson lo ha firmato perché la necessità del capitalismo britannico di avere un accesso al mercato dell’Ue è più stringente rispetto all’alleanza con i partiti unionisti.

I funerali di Bobby Sands

È un dilemma la cui soluzione è impossibile: con il “divide et impera” la classe dominante inglese ha creato un mostro di Frankestein, impersonato dalle formazioni politiche e militari lealiste, assai difficile da contenere (soprattutto in un contesto di crisi del capitalismo) e che ora ha interessi propri e in contrasto con quelli di Londra.

A causa della fiducia concessa a Johnson, il Dup è screditato e sta perdendo consensi a favore di partiti ancora più a destra, come il Tuv (Traditionalist Unionist Voice) che nei sondaggi è dato al 10%.

Le azioni dei gruppi paramilitari lealisti non potranno che aumentare, in particolare verso il periodo tradizionale delle marce orangiste, che culmina il 12 luglio. Per queste bande reazionarie è una questione di vita o di morte e non esiteranno a mobilitare settori di sottoproletariato a tal fine.

Anche perché, visti i cambiamenti demografici (favorevoli ai cattolici) e politici la possibilità di un Primo ministro del Sinn Fein a Stormont non è così remota. Il Sinn Fein è in grande crescita nei sondaggi (dopo essersi affermato anche nelle elezioni politiche del Sud nel 2020) e Alliance, partito non settario e pro europeista incalza la supremazia del Dup nel campo protestante. La sua crescita è anche un segnale che settori crescenti delle masse protestanti non desiderano un ritorno ai Troubles degli anni settanta e ottanta.

 

La nostra alternativa

I marxisti hanno sempre difeso la rivendicazione di un’Irlanda unita e continueranno a farlo. Ancora oggi, come ai tempi di Marx, l’abolizione delle frontiere tra nord e sud (come di tutte le frontiere!) avrebbe un significato assolutamente progressista. Allo stesso tempo, l’esperienza di un secolo di esistenza della Repubblica d’Irlanda dimostra come sotto il capitalismo, il paese non è mai stato veramente libero, ma sottoposto al dominio economico dell’imperialismo britannico e statunitense.

Lo spiegava già James Connolly “Se si eliminasse l’esercito inglese domani e si issasse la bandiera verde in cima al Castello di Dublino, a meno che non si disponesse l’organizzazione della Repubblica Socialista i vostri sforzi sarebbero inutili. Il Regno Unito vi governerebbe comunque: lo farebbe tramite i suoi capitalisti, i suoi coloni, i suoi finanzieri.

La crescita economica degli ultimi trent’anni è il prodotto di paradisi fiscali e bassi salari. I lavoratori protestanti sanno bene che in un’Irlanda capitalista e in un’economia in crisi, sarebbero loro ad essere trattati come cittadini di serie B.

Le speranze dei repubblicani borghesi e piccolo borghesi (in primo luogo del Sinn Fein) di una soluzione democratica tramite referendum non danno risposta su questo punto decisivo, per non parlare del fatto che Londra, Dublino e Bruxelles non possono rischiare un effetto valanga: come potrebbero negare, infatti, agli scozzesi o ai catalani il diritto a una pacifica autodeterminazione se questo venisse concesso in Irlanda?

Un’Irlanda veramente unita potrebbe essere realizzata solo col socialismo, attraverso la lotta di classe unitaria dei lavoratori protestanti e cattolici e un programma di rivendicazioni che affrontino i problemi comuni, causati dai capitalisti sia protestanti che cattolici. Questo programma non potrebbe che essere rivoluzionario, di rottura col capitalismo. Una repubblica socialista delle 32 contee d’Irlanda, legata a una Federazione socialista di Inghilterra, Scozia e Galles e a una Federazione socialista d’Europa, garantirebbe il pieno rispetto dei diritti democratici di tutte le nazionalità e credo religiosi. Nell’attuale contesto di ascesa della lotta di classe a livello mondiale, questa prospettiva internazionalista può essere fatta propria dalle migliori avanguardie in Irlanda del Nord, come lo fu alla fine degli anni sessanta.

A questa prospettiva lavora la Tendenza marxista internazionale in Irlanda e in Gran Bretagna.

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