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Intervento di Paolo Brini al CC della FIOM del 9 Settembre 2016

maxresdefaultQuello che è accaduto nelle scorse settimane mi pare dimostri come la linea dettata dalla famosa lettera della BCE dell’agosto 2011 abbia trionfato su tutti i fronti e come il sindacato, la Cgil, abbia completamente rinunciato a qualsiasi ipotesi di contrasto e di scontro su questo.
Le ultime due intese confederali siglate con Confindustria non fanno che ribadire questo dato di fatto. Lasciatemi anche dire, apro solo una piccola parentesi sul tema costituzionale, che se è senz’altro importante che la Cgil abbia preso esplicita posizione per il NO al referendum trovo davvero pretestuoso che non aderisca ai comitati promotori del NO quasi a voler dire che ci opponiamo ma non troppo.
Entrando nello specifico, l’accodo su detassazione e welfare in primo luogo sancisce il principio tanto caro ai padroni per cui i soldi in più ai lavoratori si danno se ci sono, quando ci sono e soprattutto dopo che si sono fatti. Qui
ndi nero su bianco, proprio come chiesto da Confindustria, si scarica sui lavoratori il rischio di impresa. In secondo luogo rafforza il concetto per cui gli aumenti non li devono dare le aziende ma devono essere frutto di meno tasse, con danno evidente per il finanziamento dello stato sociale. Inoltre viene formalmente avallato il Welfare Aziendale, ovvero il ritorno al pagamento in natura anziché in denaro. Forma di pagamento nemmeno aggiuntiva agli aumenti di stipendio bensì sostitutivi, con la scusa che sono forme di retribuzione detassate. Su questo dovremmo essere molto chiari e spiegare molto bene ai lavoratori che il welfare è una truffa ai loro danni e dell’erario. Infatti non è vero che mille euro di welfare valgono di più di mille euro di aumento, perché attraverso il welfare è l’azienda che ci guadagna non pagando i contributi creando un danno al lavoratore ed al suo salario indiretto. Oltre che il welfare impone al lavoratore cosa fare dei propri soldi! In più si riducono le entrate per pagare scuola, sanità, pensioni ecc.Dulcis in fundo in quell’accordo si rinuncia a qualsiasi tentativo di radicamento del sindacato in azienda. Infatti dove non c’è RSU il padrone può stipulare direttamente con i lavoratori un accordo sul welfare e PDR totalmente unilaterale. Siamo al trionfo del rapporto individuale tra il padrone e il lavoratore.
La dichiarazione di intenti sulla gestione della crisi poi, è un evidente cazzotto in faccia alla linea che la Fiom ha tentato di portare avanti in questi anni di dire “no ai licenziamenti”. Infatti questa intesa sancisce che la soluzione alla crisi è la risoluzione “consensuale” del rapporto di lavoro, ovvero i licenziamenti. Non contenti, nel testo si stabilisce anche qual è l’incentivo massimo!!!! che un lavoratore può prendere. Insomma torniamo all’Inghilterra del ‘700
dove c’erano leggi che stabilivano il salario massimo (non minimo).Un tempo, quando la Cgil sottoscriveva accordi del genere la Fiom faceva fuoco e fiamme. Prendeva posizione pubblica, dava battaglia nei direttivi, chiariva a Federmeccanica che non avrebbe applicato quegli accordi. Oggi invece regna il silenzio più totale. Io penso che oggi il Comitato Centrale dovrebbe prendere posizione pubblicamente contro, ma non accade. Questo credo anche perché parti significative di questi temi sono stati già assimilati dalla Fiom stessa nella sua contrattazione.
Penso per esempio all’accordo Fincantieri, il secondo gruppo industriale più importante del paese, proprio durante la trattativa per il rinnovo del ccnl. Un accordo al ribasso, in cui scambiamo pezzi di salario con welfare e in cui accettiamo l’applicazione del CCNL separato di Fim e Uilm del 2012. Un accordo che l’amministratore delegato Bono elogia in quanto anch’esso appunto stabilisce il principio per cui i soldi ai lavoratori si danno solo se e quando ci sono e
dopo che l’azienda li ha incassati. Un accordo per il quale la Fiom, dimostrando tutta la propria debolezza, ha pagato il prezzo più alto poiché l’enorme valanga di voti contrari al referendum sul contratto aziendale sono stati di iscritti, simpatizzanti e militanti della stessa FIOM. Questo monito inevitabilmente si riversa sulla vertenza per il rinnovo del contratto nazionale. Ad oggi, anche su questo versante, siamo fermi sulle gambe. Abbiamo evitato di fare lo sciopero generale a luglio con la scusa che si sarebbe tenuta l’assemblea unitaria dei delegati di tutte le categorie, ma in realtà perché non volevamo rompere con Fim e Uilm che lo sciopero non lo volevano fare. Ovviamente l’esito di quella assemblea è stato il nulla più totale. Oggi siamo appesi all’incertezza se tra i padroni prevarranno i falchi o le colombe. Io dico molto sinceramente che sono molto più preoccupato se dovessero, come temo, prevalere le colombe data la cedevolezza che abbiamo già dimostrato sul tavolo Fincantieri. E’ chiaro che se faranno una qualche proposta di mediazione, sarà comunque per noi indigeribile. A quel punto le alternative sono due. O respingiamo e contrastiamo l’affronto padronale riprendendo lo scontro oppure accettiamo di gestire la situazione. Su questo non può essere il livello di rapporti di forza che riusciamo a mettere in campo che deve stabilire se accettiamo o meno la trattativa. I rapporti di forza possono determinare
che tipo e che grado di iniziative mettiamo in campo. Ma se accettiamo o no di mediare dipende se questa mediazione lede o meno i diritti dei lavoratori. Siccome l’ipotesi in campo dei padroni è esattamente questa noi non possiamo accettare la mediazione. Per questo io credo che dal comitato centrale di oggi dovremmo uscire con una indicazione chiara che dica, qualora dall’assemblea di Federmeccanica del 13 settembre non escano aperture ACCETTABILI la Fiom proclamerà lo sciopero generale e la ripresa immediata della mobilitazione. Ancora una volta tutto passa per il contratto dei metalmeccanici e ancora una volta siamo chiamati ad una scelta di coerenza e coraggio e soprattutto intransigenza!

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