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Il vicolo cieco delle azioni eclatanti

Negli scorsi mesi hanno avuto ampio risalto mediatico una serie di azioni intraprese da piccoli gruppi di attivisti di Ultima Generazione e altre organizzazioni ambientaliste, sia in Italia che a livello internazionale: blocchi stradali, lanci di vernice, quadri celebri imbrattati, ecc.

Smuovere le coscienze?

L’obiettivo dichiarato di queste azioni eclatanti è quello di “sensibilizzare l’opinione pubblica” in merito al problema del riscaldamento globale. In realtà, al di là delle buone intenzioni e della dedizione dei partecipanti, l’effetto ottenuto è esattamente quello contrario. Bloccare per ore nel traffico chi va al lavoro la mattina o danneggiare opere d’arte unanimemente riconosciute come un patrimonio dell’umanità è il modo migliore per suscitare l’ostilità della “gente comune” nei confronti della causa ambientalista, isolare gli attivisti ed esporli più facilmente all’azione repressiva dello Stato. Certamente chi protesta va difeso contro denunce e arresti, ma bisogna anche cercare di non rendere la vita fin troppo facile agli apparati statali repressivi.

Serve peraltro a poco sottolineare, come fanno alcuni esponenti di Ultima Generazione, che la vernice lanciata contro i muri del Senato era “lavabile”, o ricordare che I girasoli di Van Gogh non sono stati davvero danneggiati in quanto protetti da un pannello di vetro. In questo modo non si va ad esaltare il carattere simbolico della protesta, ma si trasforma tutto in una sorta di scherzo difficile da prendere sul serio.

Al di là dell’inefficacia dei metodi, anche sulla correttezza dei fini ci sarebbe da discutere. Siamo davvero sicuri che il problema che abbiamo di fronte sia di scarsa sensibilizzazione sui temi ambientali? Perché invece sembra proprio che la questione del cambiamento climatico si sia imposta nella coscienza di larghi settori della popolazione, soprattutto tra i più giovani (ma non solo). Il punto è semmai un altro e cioè che, di fronte ad un problema percepito come grave e urgente dalla maggioranza della società, i governi e le grandi aziende non hanno messo in campo soluzioni degne di questo nome. Questo non avviene perché ministri e amministratori delegati “chiudono gli occhi” di fronte alla realtà – e hanno bisogno che qualcuno glieli apra con azioni scioccanti (o presunte tali) – ma perché rispondono agli interessi economici dei grandi gruppi capitalistici.

Sostituirsi alle masse

Uno dei limiti principali della cosiddetta “azione diretta” è che inevitabilmente può essere portata avanti solo da gruppi molto ristretti di persone e limita la possibilità di coinvolgere settori più ampi. Questo rappresenta un passo indietro rispetto al movimento Fridays For Future (FFF), che nei suoi momenti migliori ha invece visto la mobilitazione di centinaia di migliaia di giovani in Italia e in tutto il mondo.

D’altro canto va detto che i FFF si trovano in una situazione di impasse. Ci sono state tante giornate internazionali sul clima, alcune molto partecipate, che però non sono bastate a costringere la classe dominante ad avviare una reale transizione ecologica. Questo pone un problema di strategia per il movimento. Il 3 marzo ci sarà un nuovo sciopero globale per il clima, al quale sarà ovviamente necessario garantire la massima partecipazione, ma diventa sempre più evidente che non sarà sufficiente
un altro grande corteo per sbloccare la situazione.

È dunque comprensibile che alcuni esponenti dei FFF, alla ricerca di forme di lotta più radicali per raggiungere i loro scopi, le abbiano trovate nelle pratiche dell’azione diretta. Ma è una falsa illusione credere che le azioni isolate di piccoli gruppi possano ottenere di più delle mobilitazioni di massa.

Il vero punto debole è che tanto le grandi parate dei global strike tanto i gesti eclatanti nei musei sono concepiti come uno strumento per fare pressione sui governi e le multinazionali dell’energia, lasciando però tutte le decisioni – e tutto il potere politico-economico – nelle loro mani. L’anti-capitalismo evocato nelle lotte per l’ambiente si limita alla (sacrosanta) denuncia dei mali dell’economia di mercato, ma non viene spinto fino alla sua naturale conclusione: la necessità di espropriare i capitalisti e sostituire alla loro gestione un sistema di pianificazione democratica basato sul controllo dei lavoratori.

E’ su questo aspetto cruciale che la coscienza deve fare un ulteriore passo avanti a livello di massa e che dovrebbe essere fatta opera di “sensibilizzazione”. Il compito dei militanti più avanzati è quello di organizzarsi per dare voce e corpo a questa prospettiva rivoluzionaria all’interno del movimento, non quello di separarsi da esso con fughe in avanti e pratiche minoritarie.

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