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Il Testamento di Lev Trotskij, a 81 anni dal suo assassinio

Il 20 agosto 1940, 81 anni fa, Lev Trotskij veniva assassinato da un sicario di Stalin a Città del Messico. Ricordiamo uno dei più grandi rivoluzionari di tutti i tempi, protagonista dell’Ottobre e fondatore dell’Armata Rossa, pubblicando il suo testamento, scritto pochi mesi prima della sua morte.

 

La mia pressione alta (e in continuo aumento) inganna chi mi sta vicino sullo stato reale della mia salute. Sono attivo e abile al lavoro, ma la fine, evidentemente, è vicina. Queste righe saranno rese pubbliche dopo la mia morte.

Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v’è una macchia sul mio onore rivoluzionario. Non sono mai sceso ad accordi, né direttamente né indirettamente, o anche solo a trattative dietro le quinte coi nemici della classe operaia.

Migliaia di oppositori di Stalin sono caduti vittime di accuse analoghe, e non meno false. Le nuove generazioni rivoluzionarie ne riabiliteranno l’onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si meritano.

Ringrazio con tutto il cuore gli amici che mi sono rimasti fedeli nei momenti più difficili della mia vita.

Non ne nomino nessuno in particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto facendo un’eccezione per la mia compagna, Natalia Ivanovna Sedova. Oltre alla felicità d’essere un combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato la felicità d’essere suo marito. Durante i circa quarant’anni di vita comune, lei è rimasta per me una sorgente inesauribile di amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto nell’ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.

Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell’errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico e quindi da ateo inconciliabile. La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente che nei giorni della mia giovinezza, anzi è ancora più salda.

Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile e l’ha aperta in modo che l’aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell’erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al di sopra del muro, e sole dappertutto.

La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore.

Coyoacan, 27 febbraio 1940

 

Un’aggiunta fu redatta il 3 marzo 1940, che riguardava principalmente ciò che sarebbe dovuto accadere se la malattia di Trotskij si fosse aggravata. Si conclude con le seguenti parole:

…Ma quali che siano le circostanze della mia fine, morirò con fede incrollabile nell’avvenire comunista. Anche ora, questa fede nell’uomo e nel suo futuro mi ispira una forza di resistenza quale nessuna religione può dare.

 

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