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Il risveglio della classe operaia turca

I lavoratori turchi stanno cominciando a far tremare la classe dominante. Un’ondata di scioperi si sta diffondendo rapidamente in tutto il paese. Gli scioperi, iniziati tra settori di lavoratori maggiormente precari, si sono poi diffusi nelle fabbriche. Dal 6 gennaio al 14 febbraio ci sono stati 65 scioperi in tutta la Turchia, uno nuovo ogni giorno. Il progredire di questa ondata di scioperi, minaccia di coinvolgere i battaglioni pesanti della classe operaia, aggregando lavoratori dalle zone tradizionali d’insediamento di Erdogan.

Una grave crisi economica attanaglia l’intero Paese e la classe dominante cerca di farla pagare ai lavoratori. A questi non è stata lasciata altra scelta che contrattaccare.

Nel corso di questa lotta, la coscienza di ampi strati della classe operaia si sta rapidamente trasformando. I lavoratori stanno cominciando a essere consapevoli della loro forza. Stanno cominciando a comprendere quanto siano vitali nel processo di produzione. Ci sono scioperi e sospensioni del lavoro che si verificano spontaneamente quando i lavoratori iniziano a fare pressioni con le loro rivedicazioni, ma si sta rapidamente andando oltre lo sciopero sporadico. Qua e là si sono verificate occupazioni di fabbriche, mentre i lavoratori impegnati in vertenze locali hanno cominciato sempre di più a collegare le diverse lotte.

Questa nuova ondata di combattività sta cominciando ad attrarre un nuovo strato di combattenti di classe nei sindacati. E questi sono pronti ad andare molto oltre rispetto ai vecchi attivisti. Inevitabilmente, questi nuovi militanti entrano in conflitto con la vecchia leadership, dando un’indicazione di ciò che si sta preparando sotto la superficie della società turca.

Questa svolta dei lavoratori verso la combattività nel settore industriale è una rottura completa con il passato.

Massiccia ondata di scioperi dei corrieri

Il 24 gennaio, circa 200 lavoratori di Trendyol Express, il servizio di spedizione di Trendyol, la più grande azienda di e-commerce in Turchia che impiega 12.000 corrieri, hanno lanciato uno sciopero a livello nazionale dopo aver incrociato le braccia presso la filiale di Maslak, Istanbul. Il loro sciopero era in segno di protesta contro un aumento salariale dell’11%, che era meno di un terzo del tasso di inflazione ufficiale (in quel momento). Il giorno successivo, tutte le filiali Trendyol del paese erano in sciopero.

La vittoria dei lavoratori di Trendyol è servita da magnete in questo settore ipersfruttato. Un’ondata di scioperi e una spinta diffusa alla sindacalizzazione si stanno diffondendo in tutto il settore. Il 27 gennaio, i corrieri di Hepsijet hanno incrociato le braccia, seguiti dai corrieri di Scotty, Sürat Kargo e Aras Kargo, chiedendo tutti di avere salari in linea con l’inflazione. Il 1 febbraio hanno seguito l’esempio i lavoratori di Yemeksepeti, il più grande servizio di consegna di cibo del paese con 8.000 corrieri, poi quelli di Yurtiçi Kargo. Il sindacato Nakliyat-İş (DİSK) è ora alla guida dello sciopero di Yemeksepeti, dove da ottobre è in corso una mobilitazione sindacale.

Uno dei corrieri di Trendyol ha dichiarato in un video sui social media: “Trendyol è un’azienda che ha 10 anni. Hai mai visto un’azienda crescere così rapidamente in 10 anni? È tutto merito nostro. Trendyol esiste, solo se noi esistiamo”. Sulla base di un brevissimo periodo di lotta, i lavoratori hanno imparato che sono loro a creare tutta la ricchezza della società e che hanno anche il potere di colpire i profitti dei padroni.

Ci sono circa 900.000 corrieri in Turchia, la maggior parte dei quali sono impiegati come cosiddetti “corrieri artigiani”. Vale a dire, sono responsabili di tutti i costi operativi e, essendo ufficialmente dei “lavoratori autonomi” e non sono tutelati da alcun diritto. Dopo aver coperto le spese, viene loro lasciato un salario che è in media la metà di quello dell’attuale soglia di povertà. I lavoratori del settore sono abitualmente costretti a lavorare in condizioni estremamente precarie. Quattro corrieri sono morti sul lavoro in un solo giorno, il 24 gennaio, quando i padroni si sono rifiutati di sospendere il servizio in mezzo a forti nevicate. Nel frattempo, il settore è cresciuto del 75,6% solo nella prima metà del 2021, portando il fatturato a 161 miliardi di lire turche (TL) [circa 10 miliardi di euro] in soli sei mesi.

Mentre i lavoratori di Trendyol hanno ottenuto un aumento salariale del 38,6%, le lotte degli altri corrieri sono ancora in corso. I lavoratori in sciopero di Yemeksepti hanno fatto appello al boicottaggio poiché i capi si rifiutano di sedersi al tavolo dei negoziati. La risposta è stata incredibile. Gli ordini a Yemeksepeti sono diminuiti del 70%, rendendo questo il più grande boicottaggio lanciato dai lavoratori nella storia della Turchia.

Tali livelli di simpatia a livello nazionale e di solidarietà di classe sono sorprendenti. In passato, i corrieri impiegati in modo precario, quasi privi di diritti legali, erano considerati completamente non-organizzabili. Ora, questi stessi strati sono un esempio di militanza e un tema caldo discusso dall’intera classe operaia.

L’ondata di scioperi si diffonde

Lo sciopero dei corrieri ha acceso un’ondata di scioperi in fabbriche, magazzini, porti e agenzie di comunicazione. La crescente ondata di scioperi si è ora diffusa tra i camionisti, i lavoratori dell’energia, i lavoratori edili, quelli del settore navale e i dipendenti municipali.

Il 1 febbraio, 2.000 lavoratori dell’Alpin Çorap, una fabbrica tessile di Beylikdüzü, Istanbul, hanno interrotto la produzione contro l’imposizione di salari da fame. Il giorno successivo, gli scioperi stavano scoppiando in tutta Istanbul, arrivando fino alle vicine città industriali di Gebze e Çorlu. Da lì l’ondata di scioperi si è diffusa: da Çiğli, Smirne sulla costa occidentale, a Hopa, Artvin nella regione del Mar Nero, attraverso Eskişehir e Afyon, toccando la provincia orientale di Erzincan.

Una volta che l’ondata di scioperi ha raggiunto la provincia sud-orientale di Gaziantep, una roccaforte dell’AKP (il partito di Erdogan), si è diffusa a macchia d’olio. Il 2 febbraio, i lavoratori della Zafer Tekstil, una fabbrica tessile nel parco industriale di Başpınar, hanno lasciato il lavoro a causa dei bassi salari. Sono stati seguiti dai lavoratori di altre 24 fabbriche, con la partecipazione di oltre 10.000 lavoratori. La forza lavoro prevalentemente disorganizzata della provincia è ora travolta da una spinta alla sindacalizzazione da parte del Sindacato dei lavoratori della tessitura e della pelle (BİRTEK-SEN), un sindacato indipendente formato solo una settimana fa.

Mentre alcuni degli scioperi si sono conclusi, altri sono ancora in corso. I lavoratori della fabbrica di Has Çuval hanno ottenuto un aumento di stipendio di 1.630 Lire turche (TL – circa 103 euro) dopo che i padroni avevano inizialmente offerto 1.000 TL (circa 64 euro).

Altrove, i lavoratori hanno dovuto affrontare una risposta brutale da parte dei padroni. Tutti i 150 lavoratori della fabbrica di Ahmet Alansoy sono stati licenziati il ​​15 febbraio per aver partecipato allo sciopero del 9 febbraio. Nella fabbrica di Elyaf İplik, dove i lavoratori hanno scioperato il 9 febbraio, i padroni hanno licenziato quattro lavoratori che avevano guidato la lotta. Nella fabbrica Güler Çuval, dieci lavoratori sono stati licenziati.

Nella fabbrica della Melike Tekstil, i lavoratori hanno scioperato il 3 febbraio perché veniva offerto uno stipendio di 5.200 TL (331 euro), mentre loro ne chiedevano 6.000 (382 euro). I padroni hanno accettato chiedendo però di aspettare una settimana. Una volta che i lavoratori sono tornati al lavoro, hanno scoperto di essere stati ingannati e che avrebbero ricevuto solo 5.600 TL. L’esito degli scioperi allo stabilimento della Gürteks e allo stabilimento della Bade Halı è stato simile.

I lavoratori stanno imparando molte lezioni dalle loro vittorie, così come dalle loro sconfitte. Queste lezioni stanno alimentando il processo di crescita della coscienza di classe. Un lavoratore della Gürteks ha parlato con l’Evrensel Daily: “Non eravamo organizzati, siamo atomizzati. Dobbiamo rafforzare la nostra unità”. Mentre un lavoratore della Bade Halı ha dato uno sguardo al futuro: “Ci prepareremo per essere più forti. La nostra lotta non è finita”.

Occupazioni dei luoghi di lavoro

In un certo numero di fabbriche e altri luoghi di lavoro i lavoratori, provocati dai metodi repressivi dei padroni per fermare gli scioperi, sono andati oltre lo sciopero, adottando misure più combattive. In molti di questi luoghi di lavoro, abbiamo visto i lavoratori occupare le fabbriche, sfidando direttamente il dominio padronale a livello di fabbrica.

L’ondata di scioperi spontanei è stata una fonte d’ispirazione anche per lo sciopero dei lavoratori della Migros, una delle più grandi catene di supermercati in Turchia, dove i lavoratori si battono per un salario dignitoso, il diritto alla rappresentanza sindacale e per porre fine ai licenziamenti avvenuti durante tutto il periodo della pandemia. Più di 400 lavoratori del magazzino di Esenyurt (Istanbul), hanno incrociato le braccia il 3 febbraio, rivendicando un aumento salariale. Quando i padroni si sono rifiutati di incontrare i lavoratori, hanno occupato l’edificio.

I lavoratori sono giunti a conclusioni molto avanzate nel corso della loro lotta. Il leader dello sciopero della Migros ha parlato con Redfish, spiegando:

Hanno costruito questo sistema per sé stessi, non per la classe operaia. E stanno cercando di mantenere attivo questo sistema. Stanno facendo di tutto per metterci a tacere. Hanno portato fuori sei cannoni ad acqua e 10 veicoli della polizia. Stanno impedendo ai 350 lavoratori che stanno fuori di unirsi a noi. Aspetteremo qui fino all’ultima goccia del nostro sangue! Resisteremo fino alla fine. Non vogliono che siamo uniti. L’unità è una cosa negativa per loro. I soldi significano tutto per loro”.

La polizia è entrata nell’edificio e ha brutalmente posto fine all’occupazione, arrestando oltre 150 lavoratori, tra cui 3 funzionari sindacali. I padroni hanno licenziato 257 lavoratori. Attualmente, i lavoratori stanno protestando davanti alla sede della Migros sotto la bandiera della DGD-SEN, un sindacato indipendente, che ha avviato una mobilitazione sindacale nel posto di lavoro.

Il 19 gennaio, 600 lavoratori della fabbrica della Farplas, un’azienda che produce componenti in plastica per automobili a Gebze, hanno interrotto la produzione, chiedendo salari più alti. La Farplas ha quattro stabilimenti nel parco industriale TOSB e secondo quanto si dice possiedono 22 diverse società di subappalto. Lo sciopero, iniziato con il turno di notte presso lo stabilimento T2, si è esteso ai turni del mattino negli stabilimenti T1 e T3. I padroni, temendo che lo sciopero si estendesse ad altre fabbriche, hanno cercato di manovrare, chiedendo una settimana per soddisfare la richiesta dei lavoratori di aumenti salariali.

I lavoratori hanno accettato il rinvio ma hanno iniziato a sindacalizzarsi con il sindacato Birleşik Metal-İş (Dİş), a cui i padroni hanno risposto licenziando più di 150 lavoratori nel tentativo di interrompere la mobilitazione sindacale. Gli operai hanno occupato la fabbrica chiedendo il reintegro dei lavoratori licenziati.

I padroni hanno poi chiamato la polizia, che è entrata nella fabbrica, sparando proiettili di gomma e spray al peperoncino contro i lavoratori, prima di manganellarli e trascinarli su un autobus della polizia, che era stato portato dentro la fabbrica. Più di 200 lavoratori sono stati tratti in custodia. Proseguono le proteste dei lavoratori al Parco Industriale per il reintegro dei lavoratori licenziati e il loro diritto alla rappresentanza sindacale.

Metalmeccanici

La cosa più preoccupante per la classe dominante turca è che questa ondata di scioperi ha minacciato di trascinare nella lotta i battaglioni pesanti della classe operaia: i metalmeccanici.

Il 14 gennaio, 835 lavoratori dello stabilimento di Çimsataş, nella città meridionale di Mersin, hanno iniziato uno sciopero spontaneo dopo che i lavoratori hanno rifiutato di accettare un nuovo contratto collettivo che coinvolgeva 140.000 lavoratori metalmeccanici, che era stato firmato collettivamente dai sindacati Birleşik Metal-İş (DİSK), Türk Metal (Türk-İş), Özçelik-İş (Hak-İş) e l’Associazione delle aziende metallurgiche turche (MESS).

I metalmeccanici avevano rifiutato un’offerta di aumento salariale del 6% e ne avevano invece chiesto uno del 50%. La dirigenza sindacale ha tuttavia firmato un accordo per un aumento del 27% per i primi 6 mesi e del 30% per i secondi 6 mesi. Sebbene i dirigenti sindacali inizialmente avessero preso una posizione combattiva, il loro scopo era chiaramente quello di disinnescare il movimento dei metalmeccanici. Il fatto che questa ondata di scioperi minacci di estendersi ai metalmeccanici, che rappresentano una parte estremamente forte e meglio organizzata della classe operaia turca, è motivo di enorme allarme nella classe dominante.

I padroni dipendono dai dirigenti sindacali per frenare la lotta di questi settori. Nel prossimo periodo i dirigenti sindacali , o sosterranno, perché costretti, le lotte dei lavoratori o verranno cacciati. A gennaio, prima che l’accordo venisse firmato, dieci fabbriche metalmeccaniche avevano votato per lo sciopero. Questo malcontento riemergerà a un livello più alto.

Le lotte si collegano

Con l’avanzare dell’ondata di scioperi, la classe operaia turca è arrivata a vedere la necessità di unire e collegare questi movimenti tempestosi e spontanei.

Questo è evidente ad esempio nel settore sanitario. I lavoratori del sistema sanitario nazionale turco hanno organizzato scioperi e proteste ininterrotte durante tutto il corso della pandemia per condizioni di lavoro, dispositivi di protezione, incentivi e aumenti salariali migliori in linea con l’inflazione. I lavoratori hanno imparato i limiti delle lotte isolate e ora stanno unendo le loro lotte sotto un programma comune di rivendicazioni.

L’Associazione medica turca (TTB), un sindacato di medici, e il sindacato dei lavoratori della salute e dei servizi sociali (SES) hanno condotto separatamente diversi scioperi, proteste e manifestazioni nella capitale per portare avanti le loro richieste e ora hanno unito le forze. Sono riusciti ad aggregare altri operatori sanitari.

Gli operatori sanitari rappresentati dalla TTB, dalla SES, dall’Associazione dentisti turchi (TDB), dal Sindacato rivoluzionario dei lavoratori della sanità (Dev Sağlık-İş), dall’Associazione dei tecnici di radiologia e dei tecnici generici (TÜMRAD-DER) e dall’Associazione dei servizi professionali (SHUDER), hanno guidato un sciopero di un giorno a livello nazionale l’8 febbraio. Lo sciopero, che non coinvolgeva gli operatori del pronto soccorso e della terapia intensiva, ha bloccato il sistema sanitario nazionale.

Stiamo anche assistendo al collegamento delle lotte dei dipendenti municipali a livello nazionale, come parziale reazione agli sforzi dei leader sindacali che in collaborazione con i padroni, hanno cercato di mantenere ogni lotta ristretta a livello locale.

All’inizio del 2021, un’ondata di scioperi dei dipendenti municipali si è interrotta quando i leader sindacali hanno collaborato con i comuni per smobilitare il movimento.

Mentre 2.300 lavoratori di Kadikoy, nel comune di Istanbul, erano in sciopero, la dirigenza del Genel-İş (DİSK) ha firmato il contratto collettivo (TİS) con il comune. La stessa cosa è accaduta quando 1.500 lavoratori del comune di Maltepe hanno scioperato. Quando i lavoratori del comune di Atasehir (Istanbul) hanno votato per lo sciopero dopo la rottura dei negoziati, la leadership del Genel-İş ha firmato il TİS il giorno prima dell’inizio dello sciopero. Al Comune di Kartal il TİS è stato firmato poche ore prima dello sciopero. Le direzioni sindacali hanno collaborato anche con altri comuni per evitare gli scioperi. Facendo questo, si sono smascherati e i lavoratori stanno ora cercando di scavalcare questi leader.

I 450.000 lavoratori municipali in Turchia – la maggior parte dei quali sono lavoratori in subappalto – sono tornati alla lotta con una campagna unitaria sotto il titolo “Accordo aggiuntivo” (Ek Protokol) chiedendo un aumento dei salari in linea con l’inflazione.

Alcuni settori stanno vivendo le prime lotte sindacali della loro storia, quando i lavoratori si uniscono ai sindacati, cercando una via d’uscita dalla crisi.

I lavoratori dei servizi nel settore dell’accoglienza turistica, rimasti senza reddito durante la pandemia, hanno lanciato una campagna dal nome “Contratto di squadra” (“Takım Sözleşmesi”), contro il lavoro precario e in nero. È iniziata una spinta alla sindacalizzazione attraverso il sindacato indipendente dei lavoratori alberghieri e turistici.

Nel settore edile – altro settore fortemente subappaltato – i due sindacati edili, l’İnşaat-İş, sindacato indipendente, e il Dev Yapı-İş (DİSK), hanno avviato il 1 febbraio una mobilitazione all’insegna del “Ora basta, vogliamo indietro i nostri diritti usurpati” (“Artık Yeter, Gasp Edilen Haklarımızı İstiyoruz”).

Si sta aprendo la strada allo sviluppo di un movimento operaio indipendente e organizzato in Turchia.

“Siamo affamati! Non possiamo farcela!”

Il peso insopportabile e schiacciante della crisi economica ha accelerato la spinta verso la sindacalizzazione. In particolare l’inflazione che è schizzata alle stelle sta rendendo impossibile la vita di milioni di persone.

I turchi hanno salutato il nuovo anno con una serie di nuovi aumenti dei prezzi di servizi e beni essenziali. I nuovi aumenti, annunciati poco prima della mezzanotte di Capodanno mentre i turchi stavano salutando l’anno vecchio, sono entrati in vigore il giorno di capodanno stesso.

Il prezzo del gas naturale è stato aumentato del 25-50%, mentre l’elettricità è aumentata del 50-125%. Dal 2018 i prezzi dell’elettricità sono aumentati del 370% e quelli del gas naturale del 147%, mentre il prezzo del carburante è più che raddoppiato nell’ultimo anno.

Gli aumenti dei prezzi dell’energia hanno a loro volta portato a un altro ciclo di aumenti dei prezzi di tutti i tipi di trasporto. Abbiamo spiegato altrove come questa crisi stia esasperando le masse. Le cose continuano a peggiorare di settimana in settimana. Si è arrivati il punto in cui da alcune parti i negozianti non si preoccupano più di mettere i cartellini dei prezzi sugli articoli perché dovrebbero cambiarli spesso, mentre gli addetti dei supermercato dicono che non riescono a stare al passo con le variazioni dei prezzi.

Una parte crescente della popolazione ora può fare solo affidamento sul pane a prezzo calmierato dal governo. Nella sola Istanbul ci sono più di 1.500 chioschi del pane. Le masse gridano: “Siamo affamati!”

La parola “Geçinemiyoruz“, che significa “non ce la facciamo“, in turco è diventata uno slogan per il movimento operaio, un hashtag sui social media e può essere vista sui muri delle strade turche.

La Turchia sta affrontando i livelli di inflazione più alti in quasi due decenni. Nel solo 2021 la valuta ha perso il 45% del suo valore. L’Istituto statistico turco (TÜİK), un’agenzia statale, ha riferito che l’inflazione è ora al 48,7%, ma questa cifra impressionante è stato confutato dall’Inflation Research Group (ENAG), un organismo indipendente, che ha calcolato l’inflazione reale a tre cifre al 114,87 percento. Ci si sta avvicinando all’iperinflazione.

Per contenere l’aumento dei disordini sociali, a dicembre il regime di Erdoğan ha aumentato il salario minimo del 50 per cento a 4.250 lire, che è entrato in vigore contemporaneamente all’aumento dei prezzi. Mentre il precedente salario minimo di 2.825 lire valeva 384 dollari a gennaio 2021, il salario minimo aumentato ora vale 275 dollari.

Le più recenti soglie minime di fame e povertà definiti dalla Confederazione Unita delle Imprese Pubbliche (Kamu-İş) affermano che la soglia minima della fame ha ora raggiunto le 4.924 lire e la soglia di povertà ha raggiunto 15.013 lire. Il salario minimo, che era leggermente al di sopra alla soglia della fame quando è stato annunciato a dicembre, è sceso al di sotto di tale soglia ancora prima di entrare in vigore.

Un lavoratore di Kayseri, nel cuore della tradizionale base dell’AKP, ha parlato con l’Evrensel Daily del salario minimo:

Se il prezzo al mercato non scende, chi se ne frega se fai il salario minimo, 5.000 lire o 10.000 lire. Che differenza fa? Due giorni fa ho comprato il riso a 8 lire, oggi sono 12 lire. Non ho 1 lira in tasca, oggi è il 23 del mese, non mi pagano per altri 15 giorni. Cosa farò? Ma andate a dare un’occhiata alle tasche dei parlamentari, sono piene di dollari”.

Erdoğan è disperato

Questa crisi ha portato il sostegno a Erdoğan ai minimi storici. Quando Erdoğan è salìto al potere si è presentato come un “uomo del popolo”, in opposizione all’establishment kemalista afflitto dalla corruzione. All’epoca, l’AKP era un partito con il sostegno di milioni di attivisti. Il boom economico gestito dal regime ha portato a un aumento generale del tenore di vita, soprattutto per le masse della regione dell’Anatolia che erano state emarginate dall’establishment kemalista.

Ma mentre la stampa borghese salutava il “miracolo economico” di Erdoğan, c’era una profonda disuguaglianza rispetto a chi fosse il beneficiario di questa crescita. Il 10 per cento più ricco della Turchia possiede il 54,5 per cento della ricchezza totale del paese, mentre il 50 per cento più povero possiede il 12 per cento.

Una volta che il sistema è entrato in crisi, tutte le contraddizioni sono emerse in superficie e il “miracolo economico” di Erdoğan si è trasformato in un incubo economico.

Durante un discorso televisivo a novembre, Erdoğan ha parlato della critica per la sua cattiva gestione della crisi economica dicendo: “Dicono che la gente abbia fame. Abbiamo scritto il libro dell’economia!”

Quando l’AKP, il partito della parte della borghesia turca prima relegata a un ruolo minore, la borghesia anatolica, è salito al potere, ha portato avanti delle riforme che hanno orientato l’economia turca lontano dal mercato interno e verso il mercato internazionale, aprendola al capitale straniero e al commercio.

L’AKP ha avuto la fortuna che la sua ascesa al potere abbia coinciso con il boom economico mondiale dei primi anni 2000, che ha portato a un boom senza precedenti in Turchia. Ma il boom si basava sul fatto che la Turchia fosse una fonte di manodopera a basso costo ai margini dell’Europa che potesse essere sfruttata dalle nazioni avanzate.

Mentre l’AKP abbracciava il libero mercato, stava metodicamente atomizzando la classe operaia e indebolendo il movimento operaio. Nel 2003, due mesi dopo l’insediamento di Erdoğan alla carica di primo ministro, è stata approvata la “Nuova legge sul lavoro”, che ha ampliato il sistema dei subappalti, ha minato la sindacalizzazione e ha promosso le privatizzazioni. Da quando è salito al potere, il regime di Erdogan ha utilizzato la legge sullo stato di emergenza in 17 occasioni per fermare scioperi che hanno coinvolto 194.000 lavoratori. La legge risale alle misure repressive attuate dopo il colpo di stato militare del 1980.

Ma nonostante tutti i mezzi repressivi e l’atomizzazione che il regime di Erdogan ha imposto alla classe operaia turca, misure che i cinici immaginavano avrebbero reso impossibile la lotta, la classe operaia turca sta cominciando a rialzarsi. I lavoratori nei settori fortemente subappaltati si stanno ora rivolgendo ai sindacati e stanno organizzando campagne volte all’unità delle lotte. La pressione dei lavoratori sta diventando così immensa che i sindacati, compresi i sindacati legati al regime, stanno lottando per contenere la base proprio come facevano una volta.

I padroni e il governo potrebbero riuscire a placare temporaneamente il movimento operaio con manovre e repressione. Ma anche dove i lavoratori vengono temporaneamente sconfitti, stanno imparando importanti lezioni sulla loro forza, sulla necessità dell’unità di classe, sul ruolo dello stato, ecc. Le successive ondate di scioperi prepareranno il terreno per un’esplosione molto potente che scuoterà il capitalismo turco alle sue fondamenta.

A dicembre Erdoğan ha annunciato un “nuovo modello economico” in cui il suo regime adotterà il “modello cinese” dell’economia per “attirare gli investitori stranieri” perché “la Turchia ha più vantaggi rispetto alla Cina, siamo più vicini ai mercati”.

Il fantastico piano di Erdoğan di trasformare la Turchia in un paradiso da sfruttare per i capitalisti, in modo che possa continuare a vivere in una ricchezza opulente a spese delle masse lavoratrici, non tiene conto di un fattore: la classe operaia turca. La classe operaia in Turchia è cresciuta di milioni di unità sotto il suo governo e dal 1980 non ha subito sconfitte. Ora sta cominciando a mobilitarsi.

Una crisi che si approfondisce di giorno in giorno

La crisi del capitalismo turco si aggrava di giorno in giorno. Anche quando i lavoratori ottengono aumenti salariali, questi si dissolvono rapidamente, a volte prima ancora che siano entrati in vigore. Ognuna di queste lotte è radicata nella crisi del capitalismo. La soluzione sta nello sradicare questo sistema, che condanna milioni di persone alla povertà e alla miseria per il profitto della classe dei padroni.

C’è un cambiamento significativo nella coscienza che sta avvenendo tra ampi strati delle masse. Sempre più lavoratori capiscono che è necessaria l’unità per vincere le lotte. Uno strato significativo della classe operaia sta cominciando a sentire la propria forza. Questo alimenta ulteriormente un processo di radicalizzazione e una crescente coscienza rivoluzionaria tra gli strati più avanzati.

Per sconfiggere i padroni, queste lotte devono uscire dal loro isolamento e convergere attraverso un programma comune.

Il movimento operaio deve partire dai bisogni oggettivi dei lavoratori stessi e collegare queste lotte alla lotta per il socialismo. È necessario un programma di rivendicazioni transitorie: per la nazionalizzazione delle aziende energetiche, dei grandi monopoli e delle banche sotto il controllo operaio.

I padroni e i loro rappresentanti stanno affilando le armi per l’ondata di lotta di classe che si sta sviluppando. Ma le loro armi non possono competere con le armi che possiede la classe operaia: la sua capacità di fermare la produzione, il suo numero e la sua crescente unità. Ciò che serve ora è un programma marxista rivoluzionario per guidare il movimento nell’azione.

Non c’è potere che sia più forte del potere della classe operaia organizzata. La classe operaia turca è la classe operaia più numerosa e potente del Medio Oriente. Una volta armata di un chiaro programma marxista, può facilmente far cadere il regime di Erdoğan, e con esso l’intero sistema capitalista che condanna le masse alla miseria.

Nelle parole dei lavoratori in sciopero di Yemeksepeti: “Se i lavoratori sono uniti, faranno tremare il mondo!”

18 febbraio 2022

 

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